Autunno 1942, Siberia. Il sergente Dorotov ha pianificato il viaggio in ogni dettaglio. L’automezzo, un camion di fabbricazione sovietica ZIS-6, abbandonato dall’Armata Rossa per una falla nel radiatore, partirà da Tjumen’ e attraverserà una serie di centri urbani per sottrarsi alle insidie delle campagne che potrebbero celare agenti della controrivoluzione. In ogni città dovrebbe esserci un manipolo di uomini scelti, pronto a contenere i rischi. L’uso della violenza non è stato escluso a priori. Lo scopo, uno solo: sottrarre al controllo delle autorità sovietiche il corpo imbalsamato di Vladimir Il’ič Ul’janov, anche noto come Lenin, che è stato spostato in fretta e furia dalla capitale minacciata dall’invasione nazista. Insieme al sergente Dorotov ci sono il soldato semplice Antonov, reduce da una lobotomia per aver notato una certa mobilità nel venerabile cadavere, e Olga, una donna dagli occhi verdi e ostinati che sembrano suggerire a chi le sta intorno l’urgenza di un matrimonio per spegnere quell’impudenza nel suo sguardo. Dietro di loro, l’impetuosa avanzata della 4 a armata corazzata tedesca del generale Hoth. Alla fine del percorso, sulla mappa, una sola scritta: Itinerarium mentis in Lenin. È così che l’ascetica determinazione del sergente Dorotov conduce i suoi compagni in un pellegrinaggio fisico e mentale attraverso la Grande Russia, un’avventura del pensiero alla ricerca della moralità incorrotta, della totale integrità ideologica, dell’assenza dei guasti che hanno rovinato il socialismo. In altre parole, di un mondo utopico e perfetto. Uno in cui nemmeno la morte esista più. La Repubblica popolare di Leninesia.
«L’ultimo viaggio di Lenin si legge come un romanzo d’avventura. È una storia colta e ironica, anche, e in fondo parla del desiderio che abbiamo tutti: quello di vivere in un mondo perfetto». Andrea Tarabbia
Dalle premesse questo libro aveva tutte le carte in regola per essere una lettura eccezionale, sembrava scritto apposta per me. Alla fine ho trovato qualcosa di diverso, ma non per questo meno interessante o affascinante.
La prima cosa da sottolineare è che sembra di leggere un vero romanzo russo: lo stile, la struttura, la costruzione della storia, il modo in cui è popolato di decine di personaggi, appena tratteggiati ma subito riconoscibili nelle loro individualità. Un lavoro di ricostruzione, anche stilistica, fantastico. Una storia che unisce il brutalismo sovietico di Stalin con una visione mistica e onirica del marxismo, in una prospettiva che, oltre a vincere le diseguaglianze, punta allo scopo supremo e ultimo del comunismo: vincere la morte.
Ingredienti d'eccezzione, una struttura atipica, che da uno sguardo diverso, ma non per questo meno interessante, alla narrazione. Mi aspettavo molta più attenzione sul lato mistico ed esoterico, invece il tema si incentra molto più sul potere, sulle fragilità umane e su quello che si riconferma uno dei miei temi preferiti in letteratura: il tradimento dell'ideale e la malinconia, la rabbia, il senso di sconfitta che ne segue. Che non impedisce, però, una flebile scintilla di speranza.
Non una lettura che fa per tutti, sia chiaro, e capisco chi non l'ha apprezzato. Ma per chi cerca un testo più filosofico e mistico, profondo e non banale, con una forte impronta "russa"... Un tentativo a L'ultimo viaggio di Lenin consiglio di darlo.