Il romanzo nato dall'incontro fra l'autrice finalista al Premio Strega e Rosa Bazzi.
Nel primo pomeriggio dell'8 gennaio 2007, Rosa Bazzi e Olindo Romano lasciano Erba sui sedili di una volante dei Carabinieri. Pensano che gli agenti li stiano portando in salvo dai giornalisti che, dall'alba, assediano la loro casa. In meno di un'ora si trovano dentro il carcere di Como, dove comincia una detenzione destinata a diventare ergastolo, condannati per aver ucciso quattro vicini di casa e averne ferito gravemente un quinto - uno dei più grandi casi di cronaca recente, conosciuto come la strage di Erba. Alessandra Carati incontra Rosa Bazzi per la prima volta all'inizio del 2019. Tra luglio e febbraio dell'anno seguente, le fa visita in carcere ogni settimana in sessioni che durano ore. "Mi sfogo con te come con il prete" le dice Rosa Bazzi, e la travolge con discorsi contraddittori, inattendibili, al limite della comprensibilità. La costringe al suo caos. L'autrice credeva che conoscerla di persona le avrebbe permesso di separare i fatti dai detti; invece la vicinanza ha offuscato il quadro. Nel tentativo di capire, cerca lo sguardo di chi negli ultimi diciassette anni ci ha avuto a che la psicologa del carcere, gli avvocati, e poi il cappellano, il marito Olindo attraverso le lettere che le scrive. Scopre così un'infanzia negletta, il lavoro ancora bambina a servizio delle famiglie dell'erbese, il matrimonio a vent'anni e la dipendenza da Olindo, il faticoso adattamento al carcere. Solo allora torna da Rosa. Lei però non è conforme a nessun racconto che ne è stato fatto, continua a resistere come un disturbo indecifrabile. È proprio in quel momento, nella rinuncia a ogni immagine di lei - e nella fatale domanda su dove si sono formate quelle immagini, a quali condizioni, con quali conseguenze - che affiora, come in una polaroid, Rosy.
Disagio è la sensazione che mi ha lasciato la lettura di questo testo cui non saprei assegnare un genere.
Direi le impressioni ricavate dalla Carati dalla conoscenza de visu di Rosa Bazzi, colei che al momento è nota alla cronaca per essere stata condannata insieme al marito Olindo Romano della strage di Erba.
Le persone implicate in fatti efferati di cronaca, spesso finiscono di essere persone ma semplicemente vengono ricordate solo per aver incarnato un ruolo in tali vicende: vittima o carnefice. Ma dietro questi ruoli possono esserci personalità sconcertanti, che creano in chi viene in contatto con loro una sorta di senso di colpa misto a disagio per essere così diversi da loro. Dove diversi significa situazione di privilegio non tanto in senso economico/etico quanto proprio in termini di capacità intellettiva: non già la genialità ma l'essere semplicemente normodotati ( in grado di leggere, scrivere, fare un discorso logico consequenziale a sostegno di ciò che si è vissuto e saperlo esporre nello stesso modo per la seconda volta)
"Stavo dall’altro lato della barricata e mi sentivo superiore, anzi, in salvo, perché scampata al suo destino. E non intendo il carcere, la condanna, intendo l’ignoranza, la povertà, la solitudine."
E questa cosa mette in scacco chi legge grazie all'abile penna della Carati che, con una scrittura che si plasma sulla personalità "non conforme" di Rosy, trasmette appunto grande disagio. "E così mi lascio dominare dalla sua minorità, come accade agli avvocati, come è stato con il processo di primo grado. Ecco il suo potere su di me – la dittatura della fragilità – il groviglio"
Ascoltando le parole di Alessandra Carati, durante la presentazione di questa nuova uscita editoriale, necessaria, giusta e nobile e ancor più leggendo queste pagine dense e a tratti devastanti, mi ha colpito lo sguardo con il quale la scrittrice è stata capace di affrontare Rosa Bazzi e a latere Olindo Romano, i coniugi incarcerati da anni per la strage di Erba; quella minuta osservazione capace di fronteggiare le nostre più profonde angosce, sapendole riconoscere e dandogli forma attraverso pensieri e parole.
E così il romanzo si costruisce proprio attraverso tanti sguardi in avvicinamento: prima quello dei media, poi quello della psicologa carceraria, poi lo sguardo dell’avvocato e quindi quello della protagonista stessa, Rosa. Il lettore, attraversando tutte queste angolazioni, piano piano inizia a comprendere come sia facile esorcizzare la paura della violenza efferata scaricando la colpa su chi è tarato in modo acclarato; come il trovare il colpevole nella persona povera, ignorante e sola, ci metta al riparo dalla possibilità di ipotizzare che possiamo essere come uno di loro, che nel nostro essere umani sia prevista la coesistenza del bene, ma anche del male più feroce.
Carati ha il grandissimo pregio di entrare in contatto con l’umanità di queste persone facendo un lavoro preziosissimo: restituire la dignità al mostro e scardinare le nostre certezze. Questo è un romanzo che ci permette altresì di abbracciarlo questo mostro e attraverso la letteratura guardare nell’abisso, ma non nell’abisso della mente dell’assassino, bensì nella leggerezza con la quale siamo facili al giudizio, con cui siamo capaci di ghettizzare il diverso, arrivando a convincerci che solo quello può incarnare la bestia disumana.
Un’impresa impossibile ma riuscita. Completamente.
Da leggere, per non far vincere la facile sentenza, l’accusa scontata, la leggerezza di opinione.
Letto in circa 4 ore, praticamente divorato. Ho apprezzato moltissimo lo sguardo lucido, e allo stesso tempo coinvolto e umano di Carati. L’autrice scrive veramente bene e ha fatto un lavoro strepitoso, immane, da cui esce il quadro meno pregiudizievole che si sia mai letto sulla vicenda, e che fa riflettere sul circo mediatico e la facile pornografia del dolore che l’Italia ormai ha messo in piedi da anni riguardo i più efferati casi criminali. Pregevole opera, ne avrei voluto leggere di più!
FREE ROSA E OLINDO Un caso di cronaca nera che dimostra le assurdità del sistema giudiziario e una ulteriore prova che due poveri disgraziati sono in carcere da 17 anni. Si sarebbe potuta approfondire la questione della sentenza, ma capisco che senza una formazione in giurisprudenza sarebbe stato un compito davvero ostico. Voto: 8
Rosy non è un romanzo credibile. Questo perché la sua protagonista, Rosa Bazzi, è un personaggio incredibile e pieno di contraddizioni, una matassa di donnina fatta unicamente di narrativa. Impossibile ricostruire la vicenda basandosi su fatti realmente avvenuti: la verità giudiziaria è piena di falle, quella dei presunti responsabili della strage è irrealistica, e quella di coloro che li conoscevano, o millantavano di farlo, è viziata da bias e pregiudizi alimentati dall'inaudito clamore mediatico che ha circondato la vicenda come una nebbia tossica. Si parla di Rosa senza farne un racconto strappalacrime, senza trasformarla in un simbolo o in un'icona, senza mai farla passare né come vittima né come carnefice. Si parla di Rosa attraverso un gioco di sguardi, prima quello dei media, poi quello degli inquirenti, poi quello degli avvocati, della psicologa, fino ad arrivare a quello della scrittrice, che ne svela- o almeno, questo è l'intento-, la dimensione intima della vita in carcere. Un racconto ben fatto, che potrà essere apprezzato soprattutto da chi ama Capote o Carrère, a cui peraltro si ispira l'autrice, e che offre uno spaccato intenso sulla nebulosa Rosy, impossibile da comprendere e definire in modo lineare, struggente e infantile a tratti, e che invita il lettore a chiedersi almeno perché, e a riflettere sugli aspetti macroscopici della società partendo da una donna piccola così.
Andrebbe letto anche solo avere un'idea diversa rispetto allo sguardo brutale e impietoso dei mass media.
“Ci sono piani più sottili dove uno sguardo, una parola pesano. Attentare alla dignità, calunniare, manipolare, anche così si può distruggere un essere umano. Tutti abbiamo bisogno del perdono che restituisce la possibilità di vivere, di non finire schiacciati dal peso di ciò che abbiamo commesso.”
11 dicembre 2006: la strage di Erba.
Ho un ricordo confuso di quella tragedia. Alessandra Carati prova a far luce sulla psicologia di Angela Rosa Bazzi, che con il marito Olindo Romano, l’8 gennaio 2007, fu arrestata, dopo un lungo interrogatorio Vennero descritti come due persone molto chiuse ed isolate, morbosamente attaccati l'uno all'altra.
I due coniugi furono accusati di aver ucciso “a colpi di coltello e spranga Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e infine la vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito di quest'ultima, Mario Frigerio, colpito con un fendente alla gola e creduto morto dagli assalitori, riuscì a salvarsi grazie ad una malformazione congenita alla carotide che gli evitò la morte per dissanguamento. La strage avvenne nell'abitazione di Raffaella Castagna, in una corte ristrutturata nel centro della cittadina. L'appartamento fu dato alle fiamme subito dopo l'esecuzione del delitto.” (Wikipedia).
Alessandra Carati non giudica i fatti. Non etichetta Rosy Bazzi e Olindo Romano come due mostri. Non accende i riflettori come hanno fatto i giornalisti diciassette anni fa, mettendo i due alla gogna.
Tutto ha inizio da una stretta di mano: Rosa Bazzi inchioda Alessandra Carati alla sua storia.
Tutti conosciamo il caso di Erba, ma è davvero così? Scavando nei fatti - e ripeto fatti, non ipotesi sensazionalistiche da tabloid - scopriamo che la realtà sta da tutt’altra parte e che, spesso, il confine per capirla è difficile da superare.
Questo romanzo affronta tutti i lati sbagliati di un caso di cronaca nera di cui si è parlato troppo senza voler capire niente: malagiustizia, malafede, bugie, persone con deficit intellettivi lasciate a loro stesse soprattutto nel momento del bisogno.
Tra tutte, emerge Rosa Bazzi, con il suo caos, i suoi traumi, i suoi vortici di dolore. Una donna che non ha mai imparato a leggere e che ha un passato pieno di abusi, e che alla fine continuerà a subire un destino a cui non sa opporsi e che le viene inflitto come una punizione che spetterebbe ad altri.
Un romanzo che alla fine vi lascerà distrutti per il senso di impotenza e di ingiustizia.
Rosy di Alessandra Carati (Mondadori) è un romanzo che si legge tutto in un fiato. Difficile fermarsi, la vicenda è troppo nota, la curiosità altrettanto forte per appoggiarlo. Certo, io ci ho messo molto tempo a leggerlo ma questa, ormai lo sapete, non è una novità.
L'atmosfera è la stessa de L'Avversario di Carrère (LEGGI QUI la mia recensione) una scrittrice faccia a faccia con il male, con un'assassina. Eppure più andiamo avanti con le pagine, meno ci sembra di avere a che fare con il male assoluto, anzi. Carati si trova faccia a faccia con una donna instabile, insicura, confusa. Possibile che sia un'assassina?
La vicenda narrata in Rosy di Carati è quella di Rosa Bazzi e Olindo Romano che nel 2007 vennero arrestati. Ritenuti responsabili della strage di Erba i due coniugi sono in carcere da anni. In questo romanzo non vengono rivangati i dettagli della strage. RECENSIONE COMPLETA: https://www.lalettricecontrocorrente....
Ho comprato il libro per curiosità come lettura da spiaggia, beccandomi l'accusa di essere morbosa dalla vicina di ombrellone. E ha ragione, ma ai tempi della strage di Erba ero troppo piccola per seguirla in tv e la mia curiosità ha avuto la meglio quando ho letto il retro in edicola. Le premesse erano buone - un libro romanzato sulla strage, con tanto di interviste agli assassini, psicologi e avvocati - ma l’impressione è che il libro non sia scritto per qualcuno che non conosca già i fatti.
La scrittrice continua a dare per scontato che il lettore sappia chi siamo le vittime, cosa dicevano le confessioni degli assassini, del passato di lei, dei servizi in tv. Lo stile di scrittura non aiuta - l’impressione è che per evitare di sembrare un articolo di giornale, la scrittrice si sia lanciata verso una vaghezza stilistica impersonale che confonde solo i fatti. Nelle prime pagine la scrittrice descrive Rosa e Olindo, chiamandoli “la coppia” invece di menzionarli per nome, per poi parlare dei vicini - senza nominare neppure loro. Inizia poi a parlare delle ‘loro’ liti furiose che si sentivano a tutte le ore fin giù al cortile. Ma loro chi, Rosa e Olindo o i vicini?
E di nuovo, qualche pagina dopo descrive le donne del vicinato, tutte menzionate senza nome e riferite come “la donna” “la madre “la vicina”. Scelta stilistica incomprensibile, visto che rende impossibile capire di chi la scrittrice stia parlando quando si riferisce a qualcuno come “lei”. E di nuovo, parlando della prigione: “Una donna aveva un parente al 41 bis e tutti la rispettavano. Siccome Rosa non sapeva cosa fosse, se l’è fatto spiegare da una guardia” - Alessandra, non lo so neanche io. Me lo vuoi spiegare? No. E avanti così.
È stata una buona lettura e la consiglierei a chiunque interessato al crimine e ai media italiani, ma preparatevi a tirare fuori Wikipedia per un ripasso prima di cominciare.
Cominci a leggere questo libro pensando di essere convinta della colpevolezza di Rosy ma finisci rimettendo tutto in discussione. Mi è piaciuto molto il focus che l’autrice ha fatto su Rosy e il suo personaggio. Veramente un bel libro.
“È bello perché qui dentro possiamo comunicare, io parlo parlo e dopo tante cose mi dimentico, invece con te posso dirti: ricordamele. Tu te le ricordi per me.”
Una scrittrice, un efferato fatto di cronaca, l'incontro con il male. "Rosy" di Alessandra Carati ci conduce in una spirale di dubbi, domande senza senza risposta, incredulità, e lo fa in modo forte, netto a tratti tagliente. È il 2019 quando Carati inizia una serie di incontri con Rosa Bazzi ritenuta responsabile insieme a suo marito Olindo Romano di uno dei più conosciuti e atroci crimini del nostro paese: la strage di Erba. Inizia un viaggio intorno alla figura di Rosa che ci viene descritta da più punti di vista: quello dei vicini di casa, quello dei giornalisti, degli avvocati, della psicologa e piano piano il focus aumenta fino ad arrivare allo sguardo dell'autrice. È evidente che Rosa Bazzi non è la donna fredda cinica e calcolatrice che, grazie alla stampa, tutti noi pensiamo: è una donna difficile, estremamente difficile, con un deficit cognitivo che non le consente di intrattenere conversazioni "normali", una donna che non ha una sua identità precisa e che ha sempre vissuto in virtù di suo marito. Ho avuto la sensazione che Rosa sia come un liquido che si adatta perfettamente al contenitore che lo ospita. L'autrice, con enorme difficoltà, raccoglie confidenze e racconti intimi, e si rende conto di quanto lei sia estremamente manipolabile. Un romanzo schietto, diretto, che solleva questioni importanti come la condizione nelle carceri, la modalità degli interrogatori, la possibilità di riabilitazione per i detenuti, e soprattutto il modo di raccontare della TV e dei giornali. Un libro che attraverso uno stile pulito e pieno di ritmo, lascia che sia il lettore a porsi le domande e anche a darsi le risposte. Non ci sono dettagli macabri o cose che non siano già state rivelare dalla stampa, ma c'è l'occhio umano che guarda, ascolta e tira le somme su una vicenda davvero intricata e particolare. Ho amato questa lettura perché la penna dell'autrice è davvero degna di nota, e soprattutto ho ammirato molto la delicatezza e la cura con cui A.Carati ha affrontato una vicenda complessa senza mai mancare di rispetto alle vittime e alle loro famiglie. Assolutamente consigliato! A.
E’ una storia potente. Ho esitato a provare ad immergermi in “Rosy” (protagonista è Rosa Bazzi, quella in carcere per la strage di Erba) ma reduce dal precedente romanzo di Alessandra Carati (E poi saremo salvi), ho contato sulla scrittura pulita e intima: vedi che la reputazione conta? Ho scoperto un racconto compassionevole. Non da’ giudizi, non dice mai è colpevole o è innocente. Racconta la personalità e le vicende di Rosy, le sue fragilità, le sue paure; il suo adattamento alla privazione di libertà, il suo prendere coscienza della sua condizione di donna schiacciata da altri. Fa riflettere molto, fa paura a tratti: soprattutto fa pregare di non entrare mai in contatto con la giustizia e con i suoi giustizieri.
Terzo e ultimo libro letto per il mio compito di giurato. Sono passati quasi 20 anni dalla strage di Erba, dalla storia terribile di Olindo e Rosa, novelli Bonnie and Clyde nostrani. I miei ricordi non sono assolutamente precisi, solo il grande clamore mediatico che la storia all'epoca provocò e l'indignazione pubblica verso i due efferati assassini. Questo libro racconta i dettagli della vicenda, li racconta però non con una ricostruzione "true crime" degli avvenimenti ma attraverso l'analisi dell'inchiesta e le personalità degli imputati, soprattutto di Rosa Bazzi da cui appunto il titolo. Sicuramente scritto molto bene lascia però molti interrogativi, secondo me, che meritavano un maggiore approfondimento. Si intuiscono soltanto le spinte, più o meno sotterranee, che hanno guidato la coppia e gli inquirenti a giungere a determinate conclusioni. C'è una chiara accusa al sistema giudiziario che avrebbe manipolato l'inchiesta ma manca tutto il contorno sociale che a ciò avrebbe portato. Il personaggio di Rosa appare come una macchietta in balia delle onde e incapace di difendersi se non addirittura di pensare, è possibile che tre gradi di giudizio non se ne siano accorti? Non so, non mi ha convinto, penso sia ambizioso voler entrare nelle pieghe di una storia del genere. Direi che mi piacerebbe vederla raccontare da... che so... per esempio Truman Capote.
Mi sono avvicinata a questa lettura con interesse per l'aspetto antropologico e psicologico della figura di Rosa Bazzi. Sebbene sia comprensibile nutrire perplessità sulle indagini, come la mancata richiesta di una perizia psichiatrica immediatamente dopo i fatti, trovo irritante il tentativo costante di presentare i due condannati come vittime, come due novelli Romeo e Giulietta perseguitati dal sistema, senza il minimo rispetto per le vere vittime di questa vicenda. Inoltre, la completa omissione di tutti gli indizi che hanno portato alla condanna di Rosa e Olindo conferisce al libro un taglio innocentista che lo rende privo della decantata imparzialità premessa dall’autrice.
Non ho seguito particolarmente le indagini e le fasi del processo inerenti la strage di Erba. Conosco il fattaccio di cronaca perché ha avuto un'enorme risonanza e sono sempre stata convinta che Olindo e Rosa fossero stati giustamente condannati. So che le Iene, programma che detesto, hanno più volte sollevato dubbi sulla loro reale colpevolezza, ma ho sempre pensato che quella trasmissione volesse solo fare ascolti inventando casi che non esistono. Leggendo questo libro, invece, mi sono resa conto di essere stata superficiale e di essermi fatta trascinare dalla gogna mediatica costruita intorno a questa coppia. Carati ha avuto degli incontri personali con Rosa nel carcere di Bollate e ci presenta una persona estremamente fragile, indubbiamente problematica, cognitivamente limitata e molto molto suggestionabile. Quando l'autrice tratta dello svolgimento delle indagini e riporta alcuni stralci degli interrogatori ai quali i due sono stati sottoposti, risulta inevitabile pensare che ci siano stati degli errori più che grossolani. Rosa e Olindo erano evidentemente spaventati, l'unica loro risorsa era il potere stare insieme per farsi forza l'un l'altra. Per questo i primi giorni in carcere da separati sono stati un incubo per loro, che desideravano soltanto rivedersi e sono giunti alla conclusione che confessare anche ciò che non avevano fatto avrebbe permesso loro di stare insieme. D'altra parte le loro confessioni sono discordanti, piene di inesattezze, di contraddizioni. Pare proprio che abbiano cercato di dire (non riuscendoci) ciò che gli inquirenti volevano sentirsi dire. Ma traspare il fatto che molto probabilmente non sono mai stati sulla scena del delitto perché ne ignorano aspetti fondamentali. Eppure sono stati condannati perché c'era bisogno di imputare la colpa a qualcuno e loro sembravano gli assassini perfetti, sufficientemente strani ed estraniati dal mondo per poter ricoprire il ruolo di carnefici nell'immaginario collettivo di tutti noi. Mi pento di essere stata tanto superficiale e di essere sempre stata contraria a un'eventuale riapertura del processo. Non posso che provare tenerezza per una donna come Rosa che, stando alle parole di Carati e della sua psicologa, sembra essersi in parte ricostruita in carcere, imparando a vivere al di fuori della simbiosi con Olindo. Pare essere riuscita a liberarsi dalla dipendenza totale da lui, tanto che non va più a trovarlo settimanalmente nel carcere di Opera dove è rinchiuso e, anzi, sembra avercela con lui perché l'ha convinta a confessare un delitto non commesso, costringendola di fatto a restare in carcere. Una donna che sta imparando a farcela con le proprie forze e che spera un giorno di poter ottenere dei permessi premio per poter lavorare fuori dal carcere.
Rosy è una lettura che è scivolata rapidamente. Ero restia a cominciarla, quando ho saputo che aveva a che fare la strage di Erba; non sono un'appassionata di casi di cronaca nera, non ho quel tipo di curiosità, addentrarmi in certe storie mi mette a disagio. Ma nel romanzo, scritto peraltro benissimo, la strage rimane sullo sfondo, per quel che è funzionale al racconto. Carati ci parla di Rosa e Olindo in carcere, del loro rapporto simbiotico e dolce, della loro vita dietro sbarre, di quella - a frammenti - che c'era prima, ci restituisce parte della loro personalità. Ripercorre il processo, le indagini, costellate di lacune ed errori. Gli interrogatori surreali. Della confessione inizialmente estorta. Si arriva a empatizzare con i due coniugi: perché è con l'empatia che si possono capire le persone, le cose. Non giustificare, ma capire. Il libro mi ha ricordato molto, in versione nostrana, Carrère e il suo V13. Anche lì un processo, anche lì le difficoltà degli avvocati, anche lì uno sguardo alle persone, senza giudizio. E vi dirò. Quando si chiude l'ultima pagina un grosso punto interrogativo su tante cose rimane sospeso.
Quasi divorato. Non conoscevo l’autrice e non avevo mai letto nulla di lei. Mi ha ricordato, nei presupposti, “L’Avversario” di Carrère, libro che ho molto apprezzato, anche se poi le somiglianze sono solo apparenti. Si tratta di un’intervista che l’autrice conduce, in lunghe visite nelle carceri, a Rosa Bazzi, condannata assieme al marito per la strage di Erba, una degli eventi di cronaca nera italiani recenti più noti e discussi, anche di recente a causa della riapertura del caso.
Ho apprezzato specialmente l’ultima parte, il ritratto psicologico che l’autrice è in grado di dare della Bazzi, con una struttura narrativa che mira non a ricostruire il caso in sé o la vicenda giudiziaria, quanto la persona di Rosa e quello della coppia. Ottima la scrittura, che unisce diversi punti di vista e fa emergere tutta l’ambiguità della storia.
«la morte non ci fa paura perché possediamo la fede e la dignità di esseri umani, anche se il mondo ci considera spazzatura»
Il libro mi è piaciuto molto: permette di conoscere più a fondo Rosy, la donna coinvolta nel noto caso di Erba, un personaggio tanto complesso quanto controverso. L’autrice mette in luce tutte le criticità della vicenda, ma mantiene sempre lo sguardo puntato su Rosa — o Rosy, come preferisce farsi chiamare.
È un racconto che parla di emancipazione e di rinascita, del tentativo di una donna di ritrovare sé stessa nonostante il carcere. Tra le pagine emergono temi profondi come la fragilità, le relazioni, la prevaricazione e la dipendenza.
Consiglio vivamente questo libro sia a chi ama la cronaca nera, sia a chi è attratto da letture più psicologiche, capaci di esplorare la mente umana e le sue sfumature.
Un romanzo che ripercorre uno dei casi di cronaca nera più efferati nella storia italiana con l'intento (palese ) di voler fornire prove a suffragio dell'innocenza della coppia e soprattutto della donna. Nella prima lunga (forse troppo) parte si riportano gli atti giudiziari cercando di evidenziare le debolezze dell'impianto accusatorio. Quello che vuole far emergere la scrittrice e chi sia veramente Rosa, fornendo un ritratto ben lontano da quello della Killer spietata. Molto più interessante la seconda parte nella quale si raccontano i colloqui con Rosy, le sensazioni provate ma entrando in carcere. Questa parte più vera interessante e mio modesto parere meritava Maggiore spazio.
È un libretto, una puntata di Elisa True Crime scritta meglio ma meno avvincente. L'aspetto psicologico dell'assassina (perché quello è, anche se l'autrice tenta di redimerla e giustificarla per l'intera durata della narrazione) è appena accennato solo nell'ultima parte con considerazioni adatte ad un pubblico popolare, credulone, alla Barbara D'Urso. Peccato, un'occasione sprecata, nulla a che vedere con altri titoli dello stesso genere come "A Sangue Freddo" di Capote o "La Città dei Vivi" di Lagioia.
“All'inizio, ero restia a dire che mi occupavo della sua storia, cercavo di capire come l'avrebbe presa il mio interlocutore. Mi vergognavo di lei, quasi fosse parte della mia storia. Nello stesso tempo provavo pena. Stavo dall'altro lato della barricata e mi sentivo superiore, anzi, in salvo, perché scampata al suo destino. E non intendo il carcere, la condanna, intendo l'ignoranza, la povertà, la solitudine. L'ho capito più tardi, allora ero presa da un senso di colpa che nascondevo dietro il proposito di riscattarla attraverso la scrittura.”
Come tutti conoscevo la strage di erba dai giornali, e solo qualche riferimento al fatto che fossero troppo "semplici ' per essere colpevoli... Questo romanzo riporta discorsi e dinamiche che tolgono Personalmente il dubbio che fossero capaci di organizzare una strage... Poi tutto può essere... ma il Romanzo dipinge un ritratto dei protagonisti che ti ammutolisce davanti a tanto abuso nei confronti di persone ignoranti e non equilibrate. Tristezza... Per le vittime e per tosa e Olindo... Consiglio la lettura
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Premetto che sapevo veramente poco sulla strage di Erba, quindi questo libro è stato illuminante. 2/3 del libro è dedicato a un resoconto di ciò che è accaduto subito dopo la strage, i protagonisti sono anche gli avvocati, psicologi e il cappellano del carcere. Alla fine abbiamo un trentina di pagine dove l’autrice racconta degli incontri fatti con Rosa, forse qui mi aspettavo qualcosa di più. Ho trovato comunque la scrittura molto scorrevole e chiara, ma soprattutto umana❤️🩹
il libro ripercorre molto sommariamente le vicende che , bene o male, tutti conosciamo approfondendo la figura di Rosa Bazzi; ci viene mostrata una donna con evidenti problemi mentali che mettono in crisi la sua dichiarazione di colpevolezza e quindi la sua condanna in carcere. non aggiunge chissà quali elementi a ciò che già si sapeva dalla cronaca ma comunque la narrazione delle vicende funziona.
Questo libro ripercorre le vicende della Strage di Erba, con un focus su Rosa Bazzi. Non è un libro che intende aggiungere elementi inediti al caso giudiziario ormai molto noto. Il libro si propone di puntare i riflettori su Rosa, sempre descritta come carnefice, che si rivela in realtà una donna con problemi mentali seri, con poco a che vedere con il ritratto che ne hanno fatto i media italiani.
Sicuramente un libro interessante, ma la sensazione è che manchi profondità.
Non il classico reportage su un caso di cronaca, ma un delicato racconto di un personaggio che è prima di tutto una persona. Mi aspettavo di leggere una specie di “intervista”, invece lo sguardo dell’autrice è molto profondo, trascrive poco delle loro conversazioni, ma sembra quasi di essere lì con loro.