Atiq Rahimi e sua figlia Alice si scrivono durante il uno scambio toccante che mette a confronto due generazioni molto diverse. Un padre e una figlia scrivono. Lontani durante il lockdown del 2020, si inviano timide e-mail per farsi coraggio, parlarsi delle strane giornate sospese, distrarsi dalle tragiche notizie sulla pandemia. Il padre, Atiq Rahimi, scrittore e cineasta di origini afghane, non riesce a dedicarsi al suo romanzo, ha l'impressione di essere rinchiuso in un mondo virtuale dal quale non può scappare. La figlia, Alice, nata in Francia da genitori in esilio, studentessa di recitazione, si interroga sulle sue radici, sulla sua identità. Saranno proprio questi interrogativi a riportare il padre alla realtà del presente, e a risvegliare in lui i ricordi di un passato doloroso. A poco a poco, la loro corrispondenza si fa piú intima e inquieta, e diventa l'occasione per confrontarsi su temi mai davvero approfonditi. Atiq allora si confida con Alice, ripercorrendo gli eventi che l'hanno l'invasione sovietica, la difficile fuga da Kabul, l'odissea per raggiungere l'Europa, la scomparsa delle persone care. E cosí, in questo moderno scambio epistolare due generazioni molto diverse si raccontano la vita e le emozioni di tutta una famiglia, tra la dolce nostalgia di un padre e la luminosa fiducia nel futuro di una figlia.
“In questo momento preciso, qui come altrove, la morte alloggia discreta nei nostri respiri, tra le nostre mani, e passa da un corpo all’altro con le carezze, le cure, l’amore (…) Ognuno di noi sembra portare in sé il germe della morte per l’altro”.
Su questo sfondo, il lockdown del 2020, Atiq Rahimi e sua figlia Alice si scambiano delle e-mail. Il primo, non riuscendosi a dedicare al suo romanzo, scrive a sua figlia “anche nel tentativo di riordinare il mondo caotico in quarantena” dentro di lui. A poco a poco questa attività si intensifica e i due finiscono per raccontarsi, testimoni reciproci del padre e della bambina che sono stati. Si tratta di un moderno scambio epistolare in cui la vita privata di Atiq si srotola sullo sfondo di una storia difficile, fatta di dolori e perdite, una storia che lo ha costretto a fuggire da Kabul negli anni 80 e ad intraprendere un’odissea per raggiungere l’Europa e ottenere asilo politico in Francia. Il racconto dei suoi ricordi, tra i quali non mancano aneddoti come l’incontro con la moglie o la vincita del Premio Goncourt avvenuta nel 2008, è accompagnato da riflessioni illuminanti e analisi interessantissime su molteplici aspetti. Alice invece si mette a nudo completamente, raccontando dall’alto dei suoi 23 anni la bambina e l’adolescente che è stata, ciò che ha provato e come ha vissuto fino al momento in cui scrive, il diploma al Conservatorio, la passione per il teatro e la scrittura. Un libro bellissimo che ci regala immagini che sembrano dei quadri, oltre a importanti testimonianze riguardanti la storia. Il libro è diviso in due parti: la prima marzo-maggio 2020, la seconda settembre-dicembre 2021 ed è proprio in questa seconda parte che la corrispondenza diventa più intensa e intima tant’è che alla fine sarà dura, soprattutto per Alice, mettere un punto a questo raccontarsi. Scrive infatti quest’ultima: “Allora, baba, con la fine di queste lettere è come se ti abbandonassi. Lascerò alle mie spalle uno spazio che mi è diventato familiare. Ho paura della fine (…) Se solo la notte potesse aiutarmi!”
Non conoscevo nè Atiq Rahimi nè sua figlia Alice ed è stata una scoperta grandiosa. Mi piace molto il loro modo di scrivere, il loro raccontarsi in maniera così delicata, ma tanto intensa e coinvolgente. Una scrittura semplice eppure tanto raffinata. Cinque stelle meritatissime!