Lo Statuto dei lavoratori è in vigore in Italia dal 1970. Irene Soave ne rivisita alcuni articoli leggendoli alla luce di quanto succede oggi alle donne e tra le donne nel mondo del lavoro. Nella sua inchiesta sentimentale – condotta col piglio concreto e rapido della giornalista, ricca di dati ma accesa dalla passione di ciò che vede, sente, è – Irene Soave fotografa la collettiva disaffezione al lavoro individuandone le radici, i sintomi e le conseguenze: abbiamo davvero tutti il burnout? Il lavoro flessibile davvero ci rende liberi? Davvero una puerpera su due deve considerare inevitabile abbandonare la vita attiva? Davvero un compito va svolto bene pure se è brutto? Davvero cambiare vita è una soluzione? Irene Soave guarda a sé e al mondo, colleziona storie, torna indietro nel tempo e immagina un futuro possibile per compilare con il suo stile serrato e caldo un compendio di chi siamo e come siamo quando siamo al lavoro oggi, con quali disperazioni e quali prospettive. Ne risulta un’analisi puntuale della nostra società, ancora impigliata negli stereotipi, ancora poco inventiva nel pensare un mondo del lavoro in cui tutti e tutte si stia meglio, si stia bene, si possa stare senza rinunce. Tutti e tutte. Perché “la manutenzione dell’habitat, la cura a che non sia respingente, il conflitto necessario per difenderlo dall’ingordigia e dalla prepotenza di chi lo comanda, e ritiene di possederlo sono mansioni collettive”. E un mondo del lavoro che includa le donne è più abitabile anche per gli uomini.
Un libro che dovrebbe essere reso obbligatorio nelle scuole, per quanto la sua lettura sia oggi necessaria, non solo alle donne ma anche agli uomini. Statistiche che si accoppiano a più intime storie di vita vera dell’autrice e degli intervistati, ho faticato a leggere alcuni pezzi per la rabbia che mi provocava rivedere i la quelle righe tratteggiata cosi precisamente la mia generazione, ma anche quelle delle donne prima.
Un libro che vuole spingere a ripensare il mondo della lavoro tramite forme di collettività, rivendicazioni sociali e non social, lotte per i diritti al lavoro e alla maternità, che non si esauriscono nel tempo di una story di Instagram. Illuminante.
Saggio lucido, necessario e a tratti molto divertente sulla attuale situazione lavorativa italiana. Ci sono tantissimi, troppi spunti da cui attingere. Il commento dell'autrice nel podcast "Voce ai libri" sul libro dovrebbe essere un manifesto. Non posso non consigliarlo a tutte e tutti quelli che lavorano.
Una scrittura brillante e generosa per guardare in faccia il lavoro, oggi, quello che ci piace e quello che ci definisce, il lavoro che faremmo fare ad altri e quello che non ci ricompensa. Il lavoro al femminile, che non è solo il lavoro delle donne. Meraviglioso.
Un libro totalizzante sulla condizione delle lavoratrici ai giorni nostri. Un riflessione profonda sui meccanismi di lotta collettiva, che in Italia sembrano essere stati dimenticati. Una lettura necessaria per chiunque pensi che il riscatto sociale passi dall’importanza attribuita al lavoro e ai lavoratori.
Un interessante saggio sulla questione lavoro, genere e società focalizzato sulla presa di consapevolezza delle barriere sociali all'accesso e allo sviluppo professionale per donne e altre categorie di persone che vengono incluse all'interno del femminile sovraesteso "lavoratrici". Un saggio che affrontando tantissimi temi diversi e variegati riflette la situazione odierna del lavoro e della società, ma soprattutto il bisogno di un approccio comunitario e condiviso per cambiarla e migliorarla. Altamente consigliato.
5 stelle, ma ne meriterebbe di più. Questo è il libro che devi far leggere ai tuoi amici, ai tuoi genitori, ai tuoi parenti e ai tuoi colleghi. Apre gli occhi su tematiche di cui tutti siamo consapevoli ma forse non siamo ancora consapevoli su cosa possiamo fare a riguardo. Come Irene, spero nel cambiamento, prima o poi.
Non sono riuscita a finirlo prima che scadesse il prestito della biblioteca, ma il succo credo di averlo capito. Un’analisi del mondo del lavoro di noi millennials, la generazione più sfigata. Fa sorridere ma anche tanto arrabbiare.