Nel 1494, solo due anni dopo la 'scoperta dell'America', a Tordesillas, una piccola località della Castiglia, veniva firmato un trattato tra Spagna e Portogallo che divideva il mondo in due e inventava l'Occidente come spazio, comunità e cultura. Mai nessuno si sarebbe potuto aspettare che una semplice firma avesse conseguenze così gigantesche e durature.
Questa è la storia di come, tra medioevo ed età moderna, le società europee (all'inizio spagnoli e portoghesi in testa) spinsero le proprie ambizioni sempre più verso l'oceano e così facendo trasformarono l'idea che esse avevano dell' quella che era una direzione divenne poco alla volta uno spazio pensabile. È perciò una storia di grandi navigatori e di dibattiti violenti tra geografi, una storia di sfide e di esplorazioni che solcarono l'ignoto. Ma è anche la storia dei dibattiti culturali che ne seguirono e che inventarono e definirono quell'Occidente che prima mancava dalle mappe. E il punto di arrivo di questa storia siamo noi. In un momento in cui tutto questo appare ormai largamente messo in discussione, forse vale la pena riprendere il discorso da capo e chiedersi come si sia giunti alla nostra idea di Occidente. Come una direzione geografica ha fatto nascere e maturare un'idea di appartenenza. Quel che non possiamo fare è darlo per scontato. Pensare che noi si sia davvero da sempre così, che la nostra storia, la nostra cultura e la nostra civilizzazione corrispondano da sempre a quello spazio indistinto con i piedi in Europa e la testa nell' quell'Occidente che in questo secolo faticoso appare sempre più difficile da stringere nelle nostre idee e nelle nostre mappe.
Alessandro Vanoli è nato a Bologna nel 1969. Si è laureato in storia della filosofia medievale presso l'Università di Bologna dove successivamente si è specializzato in storia con Valerio Marchetti. Ha studiato arabo presso la Bourguiba University di Tunisi ed ebraico a Bologna. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia sociale europea presso l'Università di Venezia sotto la guida di Giorgio Vercellin, con una tesi su Pratiche e immagini della guerra tra Cristianità e Islam nell'alto medioevo spagnolo (secoli X-XI). E' attualmente docente a contratto di Politica comparata del Mediterraneo presso l'Università di Bologna (sede di Ravenna) e docente a contratto di Cultura Spagnola presso l'Università Statale di Milano. Ha svolto ricerca presso università e centri scientifici in Germania (2000), Tunisia (1999, 2000, 2004), Argentina (2004), Spagna (1999, 2000, 2005). Ha insegnato arabo classico dal 2000 al 2004 presso il Centro Poggeschi di Bologna. E' membro dell'Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (ISIAO). E' membro dell'Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (AISG). E' membro del consiglio accademico della Maestría en Diversidad Cultural della Universidad Nacional de Tres Febrero di Buenos Aires (Argentina). E' membro del comitato scientifico della rivista Religioni e società.
Arrivo alla fine e posso dire che il saggio è agile, scritto bene, ricco di notizie storiche interessanti. Parte dall'idea di occidente (più come nozione geografica che come ambito culturale) che hanno avuto i vari popoli antichi, racconta di come si è evoluta tale nozione prima nel Medioevo, e poi con i grandi viaggi d'esplorazione e la scoperta del Nuovo Mondo. Da qui si arriva al trattato di Tordesillas fra spagnoli e portoghesi, richiamato nella quarta di copertina.
Fin qui la narrazione avrebbe anche il suo senso, anche se spesso l'autore divaga su aneddoti che poco c'entrano.
Poi prevale la confusione, i secoli successivi sono riassunti velocemente in due capitoletti piuttosto brevi e giunti alla fine, al nostro presente, non si capisce dove l'autore abbia voluto andare a parare. Come già notato da tutte le altre recensioni a questo libro, alla fine prevale lo smarrimento e l'indeterminatezza sul senso complessivo di questo volume.
Un saggio ben scritto, ma forse un pochino confuso. Capisco bene che riassumere in 200 pagine alba e tramonto della civiltà occidentale è complicato, però temo che in molti capitoli (belli, quello sulle mappe in particolare) si sia andati un filo fuori tema. La chiusa à la Carl Sagan molto gigiona.
Vanoli rastrea en la historia el origen de la idea de Occidente, que comienza tan solo como un término geográfico, especialmente a partir de la conquista de América y de su colonización progresiva, pero que deviene un término más amplio, que comprende lo social, lo cultural y lo político, sobre todo a partir de finales del siglo XIX y, finalmente con la supremacía de los Estados Unidos alcanzada después de las dos guerras mundiales.
Si bien Isidoro de Sevilla ya mostraba un mapa en forma de T invertida que hablaba del occidente y los diversos mapas que mostraban la faz de la Tierra conocida dejaban esa zona en tinieblas y hablaban de ella como Occidente, aunque no siempre, es probablemente, como dice Vanoli, con la irrupción de la cartografía, cuando se empieza a gestar el concepto. Vanoli demuestra un buen conocimiento de los siglos XV y XVI, especialmente de la historia española y portuguesa, como ya demostró en Historia del mar, libro del que vienen algunos pasajes de esta obra, y además lo transmite de forma amena y sin demasiado adorno.
Posiblemente lo que lastra algo el libro es que le falta un hilo conductor más claro, y especialmente para explicar cómo la concepción geográfica se va transformando en un concepto más amplio. A partir del siglo XVIII Vanoli acelera quizá excesivamente la narración y parece pasar de puntillas por ese cambio tan significativo.
Es interesante la reflexión final acerca de la posición de los países en los mapas según quién los proponga y que, por eso, la concepción de Oriente y Occidente no tiene sentido, y mucho menos en un mundo en el que parece que esos conceptos están ya obsoletos y nos dirigimos a un orden mundial difícil de prever.
Un bel viaggio tra oceani mappe carte geografiche e ideologie :) Anche il capitolo finale con le sue considerazioni ispira ragionamenti :) Una bella lettura molto scorrevole nonostante l'argomento.