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Gender and Postsecularity in Knowledge Production and Visual Culture
168 pages, Paperback
Published May 20, 2025
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Community Reviews
Displaying 1 of 1 review
July 22, 2025
Il libro si compone di 7 saggi brevi sugli effetti della convivenza di religiosità (e/o spiritualità) e modernità (intesa come rifiuto della religione e di forme di spiritualità come sintomo di avanzamento evolutivo).
La lente di lettura è il femminismo postcoloniale, e gli attori principali considerati sono le donne e la comunità LGBTQIA+, in particolare la loro (in)visibilità in relazione alle pratiche religiose in epoca moderna.
Il secondo saggio analizza dei casi studio di pratiche artistiche contemporanee evidenziando il rapporto delle narrazioni iconiche religiose in occidente (soprattutto cattoliche e del politeismo dell’antica grecia) con temi femministi e queer, che spesso si contrappongono ideologicamente in un remix critico, personale o collettivo.
Il terzo capitolo si pone in contrasto con il secondo, sfidando i limiti di queste riletture con una critica dell’utilizzo delle icone stesse. “What i am trying to argue is that icons are not innocent”, cita un passaggio. Le icone non sono originali intatti, vergini, inermi. Le icone sono spesso, invece sentieri sterrati che oscurano la capillarità delle tradizioni, a causa della loro stessa esasperazione. “By using the same set of images, we are reinscribing the power of these images as iconic”.
Il quarto capitolo propone di considerare la religione come un sistema di interpretazione che corre a fianco altri sistemi come le discipline accademiche, la legge, l’economia e l’arte.
Il quinto capitolo analizza in modo approfondito la storia dell’accettazione del velo nella cultura occidentale, da simbolo di mistero e sottomissione, a prodotto capitalista di liberazione. Inoltre, nella rappresentazione del velo specialmente nella science-fiction, il suo simbolismo di mistero, eroismo, contatto con il divino, è compreso tramite la cosiddetta REPRESENTATIONAL ECONOMY, teoria secondo cui gli oggetti hanno più significati che possono svilupparsi in base ai contesti culturali in cui sono inseriti, e che sono quindi in conversazione tra di loro.
Il sesto capitolo parte dal presupposto che la religione costituisca una sfida alla modernità e viceversa. Sembra che l’allontanamento dalle religioni istituzionalizzate però, porti ad una deviazione non totalmente laica, di spiritualità non codificate. Alla base di questa apparenza, c’è la natura multiculturale dell’Europa, segnata da secoli di storia coloniale. E’ così che la spiritualità, e le sue forme non istituzionalizzate o non bianche, rappresentano una sfida a quella omogeneità religiosa che era nel cuore del progetto europeo.
Nel settimo ed ultimo capitolo, si affronta il bisogno di includere l’alterità e materie religiose nella ricerca femminista, perché religione e spiritualità sono connesse al potere ed al suo esercizio. Prendendo tre casi studio, si dimostra che (1) la spiritualità può essere istituzionalizzata e diventare un mezzo di esercizio di potere e oppressione (Shinto in Giappone); (2) che la religione può essere uno strumento di coesione per combattere lo stigma contro le persone queer in comunità religiose, ma anche lo stigma contro le persone religiose in comunità queer; (3) che religione istituzionalizzata e spiritualità non codificata possono tornare a convivere per ricucire le ferite dell’oppressione promulgata durante la conversione al cristianesimo; (4) la privatizzazione della religione e la predominanza della modernità negli spazi pubblici crea relazioni di potere complesse legate al sé intimo (appartenenza spirituale, orientamento sessuale).
La lente di lettura è il femminismo postcoloniale, e gli attori principali considerati sono le donne e la comunità LGBTQIA+, in particolare la loro (in)visibilità in relazione alle pratiche religiose in epoca moderna.
Il secondo saggio analizza dei casi studio di pratiche artistiche contemporanee evidenziando il rapporto delle narrazioni iconiche religiose in occidente (soprattutto cattoliche e del politeismo dell’antica grecia) con temi femministi e queer, che spesso si contrappongono ideologicamente in un remix critico, personale o collettivo.
Il terzo capitolo si pone in contrasto con il secondo, sfidando i limiti di queste riletture con una critica dell’utilizzo delle icone stesse. “What i am trying to argue is that icons are not innocent”, cita un passaggio. Le icone non sono originali intatti, vergini, inermi. Le icone sono spesso, invece sentieri sterrati che oscurano la capillarità delle tradizioni, a causa della loro stessa esasperazione. “By using the same set of images, we are reinscribing the power of these images as iconic”.
Il quarto capitolo propone di considerare la religione come un sistema di interpretazione che corre a fianco altri sistemi come le discipline accademiche, la legge, l’economia e l’arte.
Il quinto capitolo analizza in modo approfondito la storia dell’accettazione del velo nella cultura occidentale, da simbolo di mistero e sottomissione, a prodotto capitalista di liberazione. Inoltre, nella rappresentazione del velo specialmente nella science-fiction, il suo simbolismo di mistero, eroismo, contatto con il divino, è compreso tramite la cosiddetta REPRESENTATIONAL ECONOMY, teoria secondo cui gli oggetti hanno più significati che possono svilupparsi in base ai contesti culturali in cui sono inseriti, e che sono quindi in conversazione tra di loro.
Il sesto capitolo parte dal presupposto che la religione costituisca una sfida alla modernità e viceversa. Sembra che l’allontanamento dalle religioni istituzionalizzate però, porti ad una deviazione non totalmente laica, di spiritualità non codificate. Alla base di questa apparenza, c’è la natura multiculturale dell’Europa, segnata da secoli di storia coloniale. E’ così che la spiritualità, e le sue forme non istituzionalizzate o non bianche, rappresentano una sfida a quella omogeneità religiosa che era nel cuore del progetto europeo.
Nel settimo ed ultimo capitolo, si affronta il bisogno di includere l’alterità e materie religiose nella ricerca femminista, perché religione e spiritualità sono connesse al potere ed al suo esercizio. Prendendo tre casi studio, si dimostra che (1) la spiritualità può essere istituzionalizzata e diventare un mezzo di esercizio di potere e oppressione (Shinto in Giappone); (2) che la religione può essere uno strumento di coesione per combattere lo stigma contro le persone queer in comunità religiose, ma anche lo stigma contro le persone religiose in comunità queer; (3) che religione istituzionalizzata e spiritualità non codificata possono tornare a convivere per ricucire le ferite dell’oppressione promulgata durante la conversione al cristianesimo; (4) la privatizzazione della religione e la predominanza della modernità negli spazi pubblici crea relazioni di potere complesse legate al sé intimo (appartenenza spirituale, orientamento sessuale).
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