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L'era dell'umiliazione: Come le aziende, i social media e gli algoritmi alimentano la macchina della vergogna che ci domina

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VERGOGNA! urlano molti commenti sui social, molti cartelli alle manifestazioni. È una voce rabbiosa che si alza dal basso verso l'alto, a chiedere giustizia in una società ingiusta. E d'altra parte gli antropologi ci spiegano che esistono da sempre riti di purificazione collettiva in cui la vergogna è uno strumento attraverso una benefica umiliazione, il trasgressore viene perdonato e ricondotto verso virtuosi comportamenti. Ma è sempre così? Cathy O'Neil è una brillante matematica esperta di algoritmi. Ma è anche una persona che conosce da vicino l' fin da bambina si è impegnata in diete continue e fallimentari, provando sulla sua pelle le mille forme in cui le persone grasse sono ridicolizzate nella società statunitense. Così ha deciso di imbarcarsi in questa ricerca che punta al cuore della vergogna contemporanea, troppo spesso usata come arma di colpisce i poveri nel labirintico sistema dei sussidi, i tossicodipendenti in cerca di recupero, gli anziani, i malati, gli ex carcerati, colpisce gli stranieri che «dovrebbero essere grati», ma anche le donne che «non stanno al loro posto». L'era dell'umiliazione mostra bene, alternando testimonianze, esempi di cronaca e dati statistici, come la "macchina della vergogna" diventi un meccanismo diabolico ogniqualvolta la collettività si disgrega e perde coesione, riducendosi in una rabbiosa guerra tra bande. In questo il mondo digitale ha un ruolo di accelerazione e basta un video di dieci secondi su un social network per rovinare la vita di una persona; e basta consultare una volta un sito di diete per finire perseguitati da mail e pubblicità che fanno leva sulle insicurezze per spillare soldi. Perché, e questa è forse la cosa più odiosa, la macchina della vergogna è anche un business che arricchisce tanto aziende tradizionali che vendono cure miracolose anti-aging quanto giganti dell'hi-tech che lucrano sul traffico creato dalle gogne social. Ma, spiega O'Neil, è possibile sottrarsi a tutto questo, imparando a smantellare la macchina spietata e reimparando invece il ciclo virtuoso della vergogna, fatto di empatia, condivisione e soprattutto perdono.

«L'era dell'umiliazione sfata molti miti pseudoscientifici su diete miracolose e affini, ma è soprattutto una critica sociale, tanto lucida quanto spesso commovente, in grado di portare alla luce i costi umani della "macchina della vergogna".» - The New Yorker

«Forte di una montagna di dati e storie vere, Cathy O'Neil racconta la miriade di situazioni in cui ogni giorno le persone vengono derise e umiliate. E mostra bene come queste storie di dolore nascondano anche una fonte di lucro per qualcun altro.» - The Washington Post

«La vergogna, dimostra Cathy O'Neil, è una lente preziosa attraverso cui guardare le nostre azioni e il sistema in cui viviamo.» - Financial Times

«L'era dell'umiliazione smonta con cura la nostra tendenza ad abdicare al dovere sociale di proteggere chi è più spesso ci convinciamo che chi è povero, o tossicodipendente, se lo merita perché è un fallito.» - The New York Times

250 pages, Kindle Edition

Published June 11, 2024

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About the author

Cathy O'Neil

10 books536 followers
Cathy O’Neil is the author of the bestselling Weapons of Math Destruction, which won the Euler Book Prize and was longlisted for the National Book Award. She received her PhD in mathematics from Harvard and has worked in finance, tech, and academia. She launched the Lede Program for data journalism at Columbia University and recently founded ORCAA, an algorithmic auditing company. O’Neil is a regular contributor to Bloomberg View.

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Profile Image for Svalbard.
1,138 reviews66 followers
June 23, 2025
L’autrice di questo libro, Caty O’Neil, è una scienziata americana in campo matematico, con problemi di obesità.

Partendo proprio dalla sua esperienza personale - il disagio legato all’essere sovrappeso, la vergogna e l’umiliazione - fa una riflessione acuta ed estremamente approfondita sul tema della vergogna in campo sociale ed etico, arrivando a definirla come una specie di artificio a favore della conformità e la normazione sociale. La vergogna, di fatto, come sentimento di marginalizzazione ed esclusione colpisce chi non si situa all’interno del “buon essere” e buon comportarsi”, per volontà o per incapacità. La dinamica più critica, poi. è quella di chi ti indica programmi di reintegro e di reinclusione, a patto che tu riesca ad essere abbastanza “meritevole”, e il tutto ovviamente a caro prezzo: se vuoi dimagrire e sanare una situazione di disagio ci sono infinite diete “miracolose”, percorsi di recupero e quant’altro, dalle statistiche di successo mirabolante che vengono abilmente smontate dall’autrice (che è una matematica e di numeri, evidentemente, se ne intende), e che ovviamente costano (...morale: a nessuno interessa veramente farti “guarire”, perché altrimenti non puoi più essere spennato. Tanto è vero che nella maggior parte dei casi, chi dimagrisce in seguito a una dieta poi, terminata la dieta, il peso lo ricupera anche piuttosto velocemente…). Lo stesso discorso riguarda, ad esempio, le dinamiche di recupero di persone che escono dal carcere: devono dimostrare di essere volenterose e disponibili a reintegrarsi, e per poterlo fare vengono loro offerti lavori faticosi a compensi irrisori (è ovvio che i “datori di lavoro” che partecipano a questi programmi di recupero hanno il loro tornaconto). Non parliamo dei percorsi di recupero dalle dipendenze, o per uscire dalla povertà… Qui la situazione a volte si ammanta di grottesco: certo che esistono provvidenze per aiutare i poveri “senza colpa”, farli studiare, specializzare, eccetera. Ma essi devono accostarsi ai decisori con atteggiamento sofferente e contrito, dichiarare di venire da famiglie disagiate con problemi sociali, eccetera. Se uno dice: sì, io sono povero, non ho mezzi né ne ha la mia famiglia, ma non sono stato mai abusato o picchiato, i miei genitori mi hanno sempre voluto bene… può tranquillamente scordarsi qualsiasi aiuto.

Un altro campo della vergogna è quello che si agisce su internet e sui social. Non c’è bisogno di parlarne più di tanto, ne abbiamo visto tutti di tutti i colori soprattutto ai tempi del covid; come diceva anche Noah Harari in Nexus, i social si “nutrono” di opposti schieramenti, di mettere le persone le une contro le altre, e anche della gratificazione che consiste del fatto di stare dalla parte “giusta”, di ricevere like ogni volta che si parteggia per “svergognare” qualcuno. Internet diventa anche cassa di risonanza di altre vergogne, come quella degli incel, i celibi involontari (tra l’altro è meritorio che l’autrice ne parla estesamente mettendo sotto esame la loro sofferenza e non, come fanno tante donne specificamente di scuola femminista, il loro odio per l’altro sesso). Ed è proprio la vergogna di essere quello che sono, il motore del loro odio. Lo stesso principio di vergogna vale per gli Hikikomori, i ragazzi soprattutto giapponesi che, sentendosi inadeguati a qualsiasi vita sociale, passano la vita chiusi nelle loro camerette.

Il meccanismo di recupero del disagio da vergogna dovrebbe essere proprio il superamento del giudizio umiliante, proprio o altrui; individuare il proprio disagio e parlarne in ambienti non giudicanti può essere un aiuto (qualcosa del genere è stato tentato, con successo, anche con gli Hikikomori, ma può valere un po’ per tutto, per le dipendenze, la disoccupazione, la povertà, il senso di inadeguatezza). Infine, l’autrice identifica anche le vergogne “salutari”, quelle che non giudicano ma ti indirizzano a comportamenti socialmente virtuosi (ex. in ambito covid mettere le mascherine in luoghi affollati). E se il “punching down”, colpire chi sta sotto, in una posizione di svantaggio, non è mai un un atto virtuoso, il “punching up”, ovvero quando un’organizzazione aggredisce e colpisce i comportamenti sbagliati di un detentore del potere, invece può esserlo.

Il libro è estremamente interessante, ed è anche interessante il fatto che l’autrice abbia affrontato la sua vergogna “primale”, quella dell’obesità, rifiutando il giudizio degli altri (si è sottoposta all’intervento di riduzione dello stomaco non per dimagrire ma per ridurre il rischio di diabete) e quindi mettendo “tra parentesi” la vergogna (realisticamente, dice che dalla vergogna non si può mai completamente guarire, bisogna imparare a conviverci).

C’è un altro tema che tuttavia mi sarei aspettato venisse affrontato dalla O’Neil, e che invece manca: quello della vergogna “immaginaria”. La vergogna come fedele compagna di vita non per le proprie condizioni sociali o fisiche, ma per fatti riprovevoli che non si sono commessi,o che si immagina di aver commesso, al punto di arrivare ad “inventarsi una colpa” che non esiste. E’ un meccanismo abbastanza comune che talvolta ha anche la conseguenza di orientare i propri comportamenti “come se” si fosse colpevoli di qualcosa e adottare atteggiamenti di sottomissione e di contrizione del tutto immotivati, o quanto meno di inadeguatezza (dare troppa importanza a errori lievi o lievissimi, in ambito relazionale, scolastico, lavorativo, sportivo…) Un altro modo, insomma, per rovinarsi la vita, facendo peraltro tutto da soli. E’ un po’ come se la tua coscienza si comportasse come un tribunale staliniano: “sappiamo già che sei colpevole, ora dicci quello che hai fatto”.
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