Matilde Serao (1856-1927), scrittrice e giornalista, pubblicò romanzi e racconti con cui sfiorò il Nobel, fondò con il marito tre giornali (tra cui “Il Mattino”) e, da sola, un quarto quotidiano, che diresse fino alla morte, distinguendosi, agli albori del regime, per ferme posizioni antifasciste. Il ventre di Napoli, la sua opera più coraggiosa e innovativa, è il primo grande reportage letterario italiano, tributo lucido e appassionato alla sua città e alla sua professione: “Dal primo giorno che ho scritto, io non ho mai voluto né saputo essere altro che una fedele e umile cronista della mia memoria”.
Matilde Serao (Italian pronunciation: [maˈtilde seˈraːo]; March 7, 1856 – 25 July 1927) was a Greek-born Italian journalist and novelist. She was the founder and editor of Il Mattino, and she also wrote several novels.
Non un vero e proprio romanzo, ma una raccolta di brevi scritti dal tono giornalistico in cui il grande amore della Serao per la città di Napoli e il più che realistico ritratto che ne compone in piu tempi, denuncia la miserevole situazione di una città sedotta dalle grandi promesse del post unità, disillusa dall'aver visto tradite le proprie speranze di ricchezza e benessere, sempre più chiusa, a mo' di protesta, nel proprio umile, ma rassicurante universo di sofferenza, superstizione, umanità.
Nella vita io porto il cuore di bronzo, ma se vi è una cosa che mi indebolisce, che mi fa struggere, è l’amore per Napoli. (Matilde Serao, Lettera a Febea)
Matilde era napoletana, Matilde era la sua città. Il romanzo-inchiesta “Il ventre di Napoli” si apre con forza dirompente, per rispondere all’onorevole Depretis che, dopo aver accompagnato re Umberto nelle strade partenopee, in quel 1884 segnato dal colera, saggiata la lordura e la miseria della povera gente, affermò: “Bisogna sventrare Napoli”.
Efficace la frase. Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, poiché voi siete il governo e il governo deve saper tutto. Non sono fatte pel governo, certamente, le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto, delle signore belle e dei vapori violetti del tramonto: tutta questa rettorichetta a base di golfo e di colline fiorite, di cui noi abbiamo già fatto e oggi continuiamo a fare ammenda onorevole, inginocchiati umilmente innanzi alla patria che soffre; tutta questa minuta e facile letteratura frammentaria, serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata con racconti di miserie. Ma il governo doveva sapere l’altra parte: il governo a cui arriva la statistica della mortalità e quella dei delitti; il governo a cui arrivano i rapporti dei prefetti, dei questori, degli ispettori di polizia, dei delegati; il governo a cui arrivano i rapporti dei direttori delle carceri; il governo che sa tutto: quanta carne si consuma in un giorno e quanto vino si beve in un anno, in un paese; quante femmine disgraziate, diciamo così, vi esistano, e quanti ammoniti siano i loro amanti di cuore; quanti mendichi non possono entrare nelle opere pie e quanti vagabondi dormono in istrada la notte; quanti nullatenenti e quanti commercianti vi siano; quanto rende il dazio consumo, quanto la fondiaria, per quanto s’impegni al Monte di Pietà e quanto renda il lotto. Questa altra parte, questo ventre di Napoli, se non lo conosce il governo, chi lo deve conoscere? E se non servono a dirvi tutto, a che sono buoni tutti questi impiegati alti e bassi, a che questo immenso ingranaggio burocratico che ci costa tanto? E, se voi non siete la intelligenza suprema del paese che tutto conosce e a tutto provvede, perché siete ministro?
È inutile sventrare una città per risanarla; per guarirla va curata, Matilde lo sa:
Per levare la corruzione materiale e quella morale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente, per insegnar loro come si vive - essi sanno morire, come avete visto - per dir loro che essi sono fratelli nostri, che noi li amiamo efficacemente, che vogliamo salvarli, non basta sventrare Napoli: bisogna in gran parte rifarla.
Vent’anni dopo, nel 1904, la città si presenta con un nuovo abito. O così pare. La piazza della stazione non è più grigia e maleodorante: ha la “vastità degna d’una metropoli” con le sue tre ampie strade che si presentano al viaggiatore. Accedendo al Rettifilo, l’occhio stupisce per l’ampiezza della via, per il suo bel disegno. Ma è unicamente l’occhio distratto a stupirsi, a non comprenderne le piante assenti né lo strazio di quei pochi alberelli gracili e sofferenti di cui nessuno si cura: non il sindaco, non l’assessore dei giardini, non i cittadini. Passando velocemente si nota soltanto la maestosità del Rettifilo e non si vede ciò che maschera. Il Rettifilo ha tagliato in due il ventre di Napoli, “attraversando i quattro quartieri popolari e popolosi di Mercato Vicaria, Pendino e Porto”. È, o dovrebbe essere, l’emblema della solidarietà umana; il Rettifilo aveva il compito di sanare e salvare il popolo napoletano e, grazie allo sguardo fugace, all’aridità di domande, alla mancanza di risposte, alla fretta, alla superficialità, pare veramente ch’esso abbia offerto al popolo ciò che gli abbisognava. Basterebbe volgere gli occhi per vedere uno scenario diverso. Si scorgerebbero così le sordide abitazioni ferite da povertà e vizio. Si assisterebbe a uno spettacolo orrido, fatto di miseria, di cenci avvilenti appesi alle finestre, di umanità abbandonata, disprezzata, dimenticata. Spettacolo doloroso e ingiusto che infrange vergognosamente il sogno di felicità del Rettifilo.
Infine è Napoli, con voce pacata, a esprimersi: … io ho bisogno di risorgere. Io non solo debbo vivere, ma debbo svolgere tutte le mie forze sociali e individuali: ognuno dei miei cittadini, sia pure il più oscuro, il più ignoto deve aver lavoro, salute, protezione, educazione, e tutti i cittadini e, io, Napoli, debbo prendere il mio posto bello, nobile, forte, nella vita operosa ed efficace moderna.
Servono capitali che possano contribuire allo sviluppo, ma che sia possibile introdurre senza che qualcuno ne metta la taglia. Servono imprese industriali, ove il capitalista possa “collocare onestamente e securamente il suo danaro” e il lavoratore trovare giusto compenso e aiuto sociale. Servono banche che aiutino le iniziative oneste e sottraggano cittadini e industre all’usura. Tutto deve però esser fatto alla luce del sole, senza accordi dubbi, disoneste concessioni, premi, compensi. Senza corruzioni. Senza guadagni illeciti.
Io invoco il lavoro, invoco le società, invoco le industrie, invoco le banche, che dovranno redimere la mia miseria, il mio ozio e la mia inciviltà: ma tutto questo deve esser fatto in un’altra maniera, non più in quella di prima, in una maniera schietta, leale, franca, in una forma delle più integre, con, una probità perfetta, con quel rigore di coscienza, da tutte le parti, che, in tanto rivolgimento di cose, è la via della verità e della vita.
Un monito, infine, quello di Matilde. Penna autentica, sensibile, coraggiosa: … Faccia il suo dovere chiunque, non altro che il suo dovere, verso il popolo napoletano dei quattro grandi quartieri, faccia il suo dovere come lo fa altrove, lo faccia con scrupolo, lo faccia con coscienza e, ogni giorno, lentamente, costantemente, si andrà verso la soluzione del grande problema, senza milioni, senza società, senza intraprese, ogni giorno si andrà migliorando, fino a che tutto sarà trasformato, miracolosamente, fra lo stupore di tutti, sol perché, chi doveva si è scosso dalla mancanza, dalla trascuranza, dall’inerzia, dall’ignavia e ha fatto quel che doveva.
Esortazione di ieri, che ancora oggi attende d’essere applicata pienamente.
P.S. Vogliate bene a Napoli. E vogliatene a Matilde.
Con una sincerità sconfortante ma necessaria, la Serao ci racconta del popolo napoletano, dei suoi bassi, delle sue superstizioni e della sua umanità. Molte riflessioni, come la critica a chi si preoccupa di salvaguardare la Napoli da cartolina piuttosto che scavare a fondo nei problemi, cercando di risolverli, valgono ancora oggi, più di un secolo dopo (ahimè). Un libro che mi ha fatto molto pensare e mi ha fatto conoscere una donna che rifletteva lucidamente e concretamente, e che ci ha consegnato un ritratto della mia città diverso dai soliti stereotipi, sia belli che brutti.
O passato, tu solamente sei vero! Il ventre di Napoli
Racconti chi sa.
Intenso, forte, un lavoro notevole. Belle la verbosità e la retorica "finalizzate a" e non fine della scrittura, soprattutto quando al loro fondo si percepisce un sentire reale.
Racconti chi sa. Spieghi chi conosce.
Alcuni passi del testo sono poi attuali e generalizzabili.
L'ultima parte mi ha un po' stancata, ma è una lettura che ho trovato stimolante, interessante e che consiglio senza dubbio.
Interessantissima la prima parte, in cui si parla di Napoli, delle sue peculiarità, e dei napoletani. Viene data una immagine piena di particolari della vita del tempo (fine 1800 ) che appare coloratissima. Bella questa parte che racconta di superstizioni, cibo, storia, povertà, vita quotidiana. Peccato che le due parti successive prendano non solo un tono di inchiesta, che non mi dispiace, ma di supplica estrema perché si intervenga a favore della città. Non ci sarebbe niente di male, se non fosse così ridondante. Perde necessariamente potenza, come testo, se letto oggi.
Non ha peli sulla lingua Matilde Serao nell'esaminare la bellezza e la bruttezza della sua città allora come ora vittima di una classe dirigente non all'altezza della sua fama nel mondo, del suo popolo e delle sue potenzialità. Scrive di Napoli durante il Regno d'Italia appena costituito e nel ventennio successivo ma niente è cambiato. Scrittura lucida e inquieta da vera giornalista indipendente qual'era. "Di fronte al mondo che conobbe le mie lunghe sciagure, di fronte all’Europa che si stupì di me, come di un covo di malfattori, di fronte all’Italia, che mi guardò dolorosamente sorpresa, io debbo, ancora una volta e, adesso, più che mai, dimostrare che le mie sciagure mi venivano da ben pochi infami miei figliuoli, che il covo non era che una piccola tana di sporchi rosicanti, che io ho migliaja e migliaja di cittadini onesti e buoni e che, fra queste migliaja, io posso, io voglio scegliere, ancora una volta gli onesti che mi debbono amministrare. Farò, io, veder al mondo, all’Europa, all’Italia che di tutti i doni della sorte, io sono degna, che di tutti gli aiuti fraterni, io sono degna, io, Napoli, paese di gente onesta, mandando al Comune solo gli onesti, chiedendo ad essi, che da essi si prosegua e si esalti la mia riabilitazione!»
Chissà perché ho iniziato a leggere Il ventre di Napoli con la convinzione di leggere un romanzo — mi sono subito trovata spiazzata nel trovarmi di fronte un resoconto giornalistico della Napoli di fine ottocento.
Il titolo forse rimanda al Ventre di Parigi di Zola, uno dei romanzi naturalisti del ciclo Rougon-Macquart, pubblicato una decina d’anni prima dell’osservazione giornalistica dei quartieri più poveri di Napoli.
Come descrizioni invece mi ha ricordato moltissimo le vite strazianti dei cittadini Londinesi cronacate da Jack London ne Il popolo degli abissi.
Serao ricostruisce la vita quotidiana della popolazione più povera della capitale partenopea, suddividendo il libro in due parti dove analizza il cambiamento della città nel giro di vent’anni. Il libro è ulteriormente suddiviso in argomenti, e da qui si possono evincere informazioni riguardanti l’alimentazione e i tipi di lavori dalle paghe abissali, come anche i tipi di svago e la stretta relazione con la scaramanzia.
Non mi sono ritrovata nei luoghi perché non ho ancora avuto la fortuna di visitare Napoli, ma nonostante le mie aspettative fossero diverse prendendo il libro in mano (è da un po’ che volevo leggere di nuovo qualcosa di Matilde Serao dopo aver letto La virtù di Checchina) sono comunque contenta di aver letto questo suo libro.
Lo ammetto: pensavo si trattasse di un romanzo. E invece è una specie di inchiesta giornalistica, ma soprattutto un atto d'amore verso la sua città. "Che chiedo, io, se non l'applicazione della legge umana e sociale, trattar quelli come si trattano gli altri, dar loro quel che spetta loro, come esseri viventi, come cittadini di una grande città? Faccia il suo dovere chiunque, non altro che il suo dovere, verso il popolo napoletano dei quattro grandi quartieri, faccia il suo dovere come lo fa altrove, lo faccia con scrupolo, lo faccia con coscienza e, ogni giorno, lentamente, costantemente, si andrà verso la soluzione del grande problema, senza milioni, senza società, senza intraprese, ogni giorno si andrà migliorando, fino a chè tutto sarà trasformato, miracolosamente, fra lo stupore di tutti, sol perchè, chi doveva si è scosso dalla mancanza, dalla trascuranza, dall'inerzia, dall'ignavia e ha fatto quel che doveva."
Accurato e struggente documentario di una Napoli intricata, complicata, povera e piena di vita. Matilde Serao ci mostra una spaventosa Napoli che si arrangia e si nasconde dietro i grandi palazzi del Rettifilo. Una brillante denuncia all'amministrazione fatta con cuore sincero di napoletana. Un salto nel passato che dona nuova consapevolezza alla Napoli di oggi.
Inchiesta lucida e dolorosa di una giornalista straordinaria operante in un contesto culturale dominato da uomini. La Serao, nella dedica iniziale, definisce la sua opera"un libro di tenerezza, di pietà e di tristezza - per Napoli", e in effetti dalla lettura del libro traspaiono grande attaccamento e infinito sconforto per le sorti della città. La stesura de "Il ventre di Napoli" comincia mentre in città imperversa l'epidemia di colera e si conclude vent'anni più tardi, una volta ultimato il cosiddetto "risanamento" della città, cioè un intervento di demolizione e ricostruzione dell'impianto urbanistico volto ad assicurare standard igienici e sanitari minimi nei quartieri popolari, flagellati dal morbo e da condizioni di vita allucinanti. Lo sguardo della scrittrice vent'anni dopo è quello disilluso e amareggiato di un'intellettuale e cittadina conscia del fatto che, a distanza di anni, il risanamento non ha risolto i mali endemici della città, e poco o nulla è cambiato: un governo centrale che non si cura dei problemi del sud, un'amministrazione locale corrotta e incapace, la metà abbiente di Napoli che si bea della propria agiatezza mentre la metà povera muore di fame, tira a campare e finisce per darsi al crimine. Suona attuale?
Non credo che quest'opera possa suscitare interesse in chi non ha vissuto Napoli o non ha quella sensibilità necessaria per comprendere a fondo una città così difficile. Per un napoletano - per nascita o per disposizione d'animo - si tratta, invece, di una lettura imprescindibile.
Trascrivo l'incipit perché mi sembra di sconcertante attualità: <<"Bisogna sventrare Napoli". Efficace la frase, Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve saper tutto. Non sono fatte pel Governo, certamente, le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto, delle signore incantevoli e dei vapori violetti del tramonto: tutta questa rettorichetta a base di golfo e di colline fiorite, di cui noi abbiamo già fatto e oggi continuiamo a fare ammenda onorevole, inginocchiati umilmente innanzi alla patria che soffre; tutta questa minuta e facile letteratura frammentaria, serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata per racconti di miserie. Ma il governo doveva sapere l’altra parte; il governo a cui arriva la statistica della mortalità e quella dei delitti; il governo a cui arrivano i rapporti dei prefetti, dei questori, degli ispettori di polizia, dei delegati; il governo a cui arrivano i rapporti dei direttori delle carceri; il governo che sa tutto(...)Quest’altra parte, questo ventre di Napoli, se non lo conosce il Governo, chi lo deve conoscere?(...) Per distruggere la corruzione materiale e quella morale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente, per insegnare loro come si vive - essi sanno morire, come avete visto! - per dir loro che essi sono fratelli nostri, che noi li amiamo efficacemente, che vogliamo salvarli, non basta sventrare Napoli: bisogna quasi tutta rifarla.>>
Even at 141 years distant this is still an important and wonderful journalistic take on the city of Naples--and, I think, an important critique of poverty, wealth, and urban renewal in general. Thus it's valuable both as an historical document, but also as a perspicacious look at what's at stake when a governing body sets out to spiff up a diverse and troubled urban environment. I also have to imagine this is the first text ever to raise the issue--without yet knowing what to call it--of gentrification, and to call out government officials for merely throwing money at a problem and spending thousands without solving the problems even minimally, as well as noting that most public expenditure ends up helping the wealthiest rather than the neediest. Aces all around. Matilde Serao is my hero in so many ways.
First of all I have to point out the one thing she couldn't have been more wrong about. In the section on Neapolitan food she describes the first attempt to export pizza to Rome and what a miserable failure it was. She laments that outside of Naples pizza has no chance at all. This is of course hysterical given that I imagine pizza is today the single most successful comestible pretty much worldwide, no? Still, I imagine that in 1884 she was stating the facts as she saw them. It kind of makes me wonder when pizza did begin to catch on in the rest of the world. Hmn.
Anyway, I loved learning about the actual doings and effects of the famous "Risanamento" or "clean up" public works projects that the very young, newly-unified Italian government did to Naples--an ill-fated and poorly executed project to somehow stem the tide of cholera, which had several times decimated this city that had little running water at the time but copious underground quarries that filled with rain water and which the poor made free use of. As she describes it, a lovely wide avenue was plowed through the heart of the city connecting the train station with the old royal castle, it was lined with hotels with running water for foreigners and the wealthy, it gave those who could afford it some air and light, gaslights illuminated the area at night, and the rest of the city continued to rot in poverty, disease, crime, darkness, and total neglect. Just what one expects from a government that always consists at least 80% or more of the super rich.
Serao's solutions--offered in the last three chapters added some 20 years later, for the 1909 edition--are heartfelt and do, I think, note that urban renewal is not a multi-million overnight project, but rather a day-to-day struggle to illuminate, police, clean, and offer assistance to an army of poor people who hate you because of the general injustice of the totally biased-for-the-rich system you've set up for them to survive in. No easy task. But maybe a chance for a government to do some small good for once if they can be distracted for a few moments from wars of conquest and their elite diplomatic galas.
“Il popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l'acquavite, non muore di delirium tremens; esso si corrompe e muore pel lotto. Il lotto è l'acquavite di Napoli.”
Quanto si può amare una città, la propria città? La risposta a questa domanda si ha leggendo “Il ventre di Napoli”, dove Matilde Serao ha condensato tutta l’ammirazione possibile per Napoli, senza scadere in quella fantasticheria patriottiche (spesso ridicole, da vecchia cartolina) che contraddistingue tante scritture odierne sulla città campana. L’amore non è infatti solo ed esclusivamente esaltazione, ma anche, come dimostra Serao, meditazione sui problemi irrisolti e le condizioni reali della città. Il libro è sostanzialmente un racconto, verista ma anche polemico ma anche divertente, della quotidianità napoletana, con le sue abitudini e le sue particolarità, con i suoi difetti e i suoi maneggi. Ne nasce quasi una guida turistica, ma non nel senso che esalta le bellezze dei luoghi ad utilità di chi voglia visitare la città, bensì nel senso che vuole illustrare Napoli a chi non la conosce nel profondo, nel “ventre” appunto e cioè i politici romani che intendono decidere le sorti della città senza prima averne catturato lo spirito, e quindi la diversità rispetto agli altri centri italiani. La polemica politica è quindi dietro l’angolo e quindi “Il ventre di Napoli” diventa quasi un reportage ad uso e consumo di quel Parlamento che si è prestato sin da subito a tentare di risolvere la questione meridionale. In questo senso, dunque, il volume di Serao può ben associarsi alla precedente inchiesta di Franchetti e Sonnino sulla Sicilia. La scrittura dell’autrice napoletana si serve di un lessico preciso è sempre variato, con un’attenzione al gergo locale. Lo stile è privo di retorica e prettamente giornalistico e didascalico, che rispecchia perfettamente l’intento documentale ma anche illustrativo del libro. Una guida a come parlare, anche oggi, di Napoli.
Un insieme di interventi giornalistici di Matilde Serao dal tono di denuncia, attorno alla tragica epidemia di Colera che nel 1884 si diffuse a Napoli e che comportò numerosi problemi, tant’è che l'allora onorevole De Pretis dichiarò che Napoli “dev’essere sventrata”, riferendosi alla condizione igienico-sanitaria di certi quartieri. Matilde scrisse una serie di articoli molto reattivi contro tale affermazione di De Pretis nei quali va a delineare una serie di folclori dei napoletani. Gli articoli riuniti insieme formano “Il ventre di Napoli”, che offre uno spaccato interessantissimo della città a quel tempo, per certi lati disarmante. Descrizioni di quartieri popolari, di certi giochi tipici, ambientazioni tipiche, gastronomia partenopea, episodio di tentativo di esportazione della pizza… Serao descrive le vie strette e piene di fetori distinti, a seconda della gente e delle professioni che inondano certe strade. C’è puzzo di acqua di maccheroni imputridita, di fango, di olio fritto cattivo, di cuoio vecchio, di piombo fuso, di acido nitrico… Le strade che conducono al porto sono mal selciate, sulle selci disgiunte cola sempre una feccia di tintura multicolore. Sulla strade delle “Gradelle di Santa Barbara” ci abitano “femmine disgraziate” che gettano dalla finestra bucce di fichi, cocomero e spazzatura ai passanti. Tutto rimane sui gradini. Le case sono tutte cadenti per vecchiaia, e Serao descrive tutto ciò come la “vera vecchia Napoli”. In particolare, attorno alla piazzetta dei SS. Apostoli, vi sono varie stradine sudicie dove vive una popolazione magra e pallida appestata dalla fabbrica di tabacco lì al fianco. Serao soprattutto si lamenta della Sezione Mercato, così parlata da drammaturghi e poeti, eppur tanto sudicia e abbandonata. Serao si oppone fermamente dunque alla semplicistica soluzione di “sventrare Napoli” di Depretis poiché non basteranno tre o quattro strade attraverso i quartieri popolari: non possono essere lasciate indietro tutte le case uccise dall’umidità, il fango, il freddo d’inverno e il caldo bruciante d’estate; non si possono lasciare cadere miseramente rifiuti umani e animali morti lungo le strade.
“Voi non potrete lasciare in piedi le case, nelle cui piccole stanze sono agglomerate mai meno di quattro persone, dove vivono galline e piccioni, gatti sfiancati e cani lebbrosi; case in cui si cucina in uno stambugio, si mangia nella stanza da letto e si muore nella medesima stanza dove altri dormono e mangiano; case i cui sottoscala, pure abitati da gente umana, rassomigliano agli antichi, ora aboliti, criminali della Vicaria, sotto il livello del suolo”. "Il ventre di Napoli" - Matilde Serao
Per Matilde Serao, non è sufficiente "sventrare" Napoli. Bisogna in gran parte rifarla, a partire da quello spirito di napoletanità inconfondibile e vincitore che la rese grande in passato. Per Serao, è sempre l'ora di riscattare l'idea che "Napule è nu sole amaro" che brilla sempre, sempre più forte.
Lo stile linguistico di Serao è preciso e deciso, tonante e vivido. Le immagini evocate sono pitturate puntualmente e icasticamente; con pochi aggettivi si arriva a “vedere” addirittura la città e i suoi abitanti, grazie alle parole. Non mancano le anafore nel discorso, in stile Ciceroniano, quasi come se Serao fosse davanti a Depretis in una arringa di tribunale. Se siete appassionati della città capoluogo della Campania, della scrittura vivida e sentimentale dentro le inchieste, se avete amato Matilde Serao in altre sue opere... questo documento è per voi imperdibile!
raccontare la napoli tra fine dell'800 e l'inizio del 900 per immagini, denunciando la miseria, l'incuria e lo spreco delle autorità, le condizioni disumane in cui la gente è costretta a sopravvivere. evidenziando i lati belli che sfolgorano nella povertà e nel degrado, suggerendo cosa fare per migliorare e cambiare una condizione che pareva immutabile. oggi diremmo che "il ventre di napoli" è un reportage, un libro di denuncia- e la serao parla chiaro, va fino in fondo, descrive l'abiezione e la povertà senza essere morbosa o pietistica. [rilettura dopo tempo immemore, con alcune immagini della prima lettura adolescenziale ancora vivide in testa]
Escrito en primera persona, esta autora bastante desconocida de los años 20 me ha llegado profundamente al alma. Es un grito de esperanza, es un grito de protesta, pero sobre todo lo que reflejan sus paginas es un profundo amor por su tierra…Napoli.
Para nosotros extranjeros es una ciudad de contrastes, a mí personalmente, siempre me ha cautivado, por su decadencia, por sus gentes, por su autenticidad…
Matilde ya no está con nosotros, pero nos ha dejado una obra sublime, donde critica fuertemente la corrupción del estado y hasta del pueblo llano, la picaresca, que se hable de las sombras , sino que te invita a mirar lo que hay detrás…Incomoda? Es posible, pero es necesario.
Yo que tuve la suerte de vivir en un país tan maravilloso como Italia debo decir que en muchas cosas se me escaba la sonrisa, aquella de la que sabe que es cierto, aquella que sabe que no tanto ha cambiado el país de Dante en muchas cosas. ¿Y no os creáis que es tan distinto a España…os suena trabajar muchas horas por unas simples monedas que apenas llegan para pagarte un alquiler o ni si quiera un siempre piso? ¿Os suenan las diferencias de salarios? ¿El aparentar ante que nada? Un bonito edificio y detrás una barriada con gente hacinada…pues si amigos, eso es el mundo hoy en día.
Pero, este libro no es solamente un llamamiento a autoridades y demás organismos para que pongan orden en este desbarajuste, es la canción de una autora que sobre todo ama a su patria y quiere lo mejor para ella.
En conclusión, aunque no es una lectura fácil, mas que nada porque usa jerga napolitana, aunque bien explicada, para mi si es una obra obligatoria, sobre todo si quieres viajar, desde el sofá o simplemente porque te gusta. Ademas aunque es corto, toca temas de gran interés para el publico en general.
Gracias Donatella sin ti (y aunque se que me he dejado mucho en el tintero), no habría podido descubrir a esta gran mujer…solo te digo que lo siguiente serán “Las Bailarinas” y que sigáis así estas lecturas son las que mueven mi alma.
Una denuncia sociale, un reportage della realtà napoletana, prima nel 1883 e poi nel 1904. Ovviamente molto è cambiato ed anacronistico, pur restando alcune vestigia di quanto la Serao racconta: non già l'analfabetismo, ormai largamente superato, né la povertà così dilagante (certamente c'è, come o più o meno nelle altre città). Né, tantomeno, la mancanza di condizioni igieniche descritta dall'autrice. Chi, nato dopo gli anni '60, legge dopo più di cent'anni questo grido appassionato può farlo solo ripescando nella memoria vaghi racconti di persone anziane e del colera che un tempo decimò la popolazione. Ritrova, questo sì, lo spirito del popolo napoletano raccontato con tanto affetto e passione e condivide lo stesso impeto di un'anima pura che ricerca l'applicazione della giustizia e della carità in senso lato a chi, come Napoli, se l'è vista negare...Molto e poco, paradossalmente, è cambiato, da questo punto di vista: scarso interesse, corruzione...impediscono che si faccia tutto quel che si dovrebbe, ma certo Napoli non è più quella descritta dalla Serao e, recentemente, sempre più quartieri un tempo abbandonati alla malavita e all'incirca stanno diventando poli di attrazione turistica. Della Napoli che ci racconta ci resta lo spirito, l'inventiva, il cuore (anche se pure questo un po' cambiato, in peggio purtroppo, nei tempi attuali dove sempre meno c'è posto per l'anima e l'empatia), le usanze, il modo di essere e di fare. E forte arriva la passione della bella anima della Serao napoletana che grida e si rifiuta di dover accettare una situazione inaccettabile, fiera guerriera di battaglie di cui le anime si fanno cariche.
Quanto coraggio ha avuto la Serao per scrivere un atto di denuncia così forte? Donna, in un periodo non proprio facile per chi volesse raccontare storie scomode, ha avuto il fegato di pronunciare un'accusa pesantissima nei confronti della classe dirigente del tempo. Il tutto unito a una lucidità impressionante nei confronti della città di Napoli. P.S. Questa critica farà sicuramente felice il mio collega Peppe Serao, lontano discendente di questa fantastica scrittrice.
Il risanamento di Napoli descritto con l'emotività travolgente e lo stile puro e meraviglioso di Matilde Serao, che per quanto mi riguarda è sempre un piacere leggere.
Sarà lui? Sara lei? Sarà parte di noi Sarrà 'o cor' e mammà, a reggin' e papà Pruov' già a immaginà a chi po' assumiglià 'E difett' so' 'e mije, 'o caratter' è o tuoj Famm' vivere chistu brivid' 'nziem'a tte Una casa e noi tre Sarrà 'o primm' appuntament 'nziem' 'a vit' p' me e p' te 'O traguard' cchiù important' quand' ciò fann' verè Ma può cchiagnere pecchè 'e 'llacreme so' sultant' pa felicità Tu si pront, ie so' cchiù pront'e te, basta mò voglie sapè cher'è Sarà lui? Sara lei? Sarà un pezzo di noi Sarrà 'o cor' e mammà, a reggin' e papà Pruov' già a immaginà a chi po' assumiglià 'E difett' so' 'e mije, 'o caratter' è o tuoj Famm' vivere chistu brivid' 'nziem'a tte Una casa e noi tre Famm' vivere chistu brivid' 'nziem'a tte Una casa e noi tre
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C’è poco da dire. Bellissimo. Vorrei regalarlo a tutti i miei amici, sperando possano capire le mille facce di Napoli, anche da una versione tradotta di questo libro. C’è tutto: dalle tradizioni più popolari, ai comportamenti borghesi; dalle caratteristiche più romanzate, agli angoli più tetri della città. Davvero magico. Mi ha particolarmente preso leggere descrizioni di Napoli di fine 800. Tutto abbastanza dettagliato da poterlo immaginare con facilità, soprattutto nella passeggiata da pizza Garibaldi al palazzo della borsa. Sarei curioso di vedere la Santa Lucia dell’epoca.
La qualita' delle persone prima degli ideali nel passaggio sottostante. Un'analisi lucida della citta' di Napoli e della sua societa' anche se intrisa della visione romantica ottocentesca a mio parere. La fiducia nelle qualita' del popolo e' eccessiva e quasi assente e' la critica alla borghesia e agli intellettuali. Amara la conclusione visto che i mali di fondo che affliggono Napoli sono ancora gli stessi e nulla e' cambiato se non per cio' che e' stato forzatamente introdotto dai cambiamenti globali. Giustissimo il passaggio sull'ignoranza come ragione di fondo dei problemi sociali ma manca una critica sull'impatto del Risorgimento e dell'unificazione sulle condizioni del meridione in generale e di Napoli in particolare.
"A me importa poco che vadano al Consiglio Comunale dei clericali, dei borbonici, dei moderati, dei liberali, dei democratici, dei socialisti, o degli anarchici: tutto ciò mi è indifferente. Io voglio degli uomini onesti: io voglio delle coscienze secure: io voglio delle anime austere. Le loro opinioni politiche non mi riguardano: solo i loro sentimenti morali m'interessano. Non voglio ladri, io, al Comune; e per ladri non intendo solo quelli che si mettono in tasca il denaro mio, il mio povero e scarso denaro, ma tutti quelli che aiutano i ladri miei o che permettono, chiudendo gli occhi, che mi si rubi. Non voglio, al Comune, nè affaristi, nè compari di affaristi, nè rappresentanti di affaristi, nè amici degli amici degli affaristi. Vi sono, fra i liberali degli onestissimi uomini? Io lo vedrò: io avrò fede in loro, quando avrò veduto e saputo: e io manderò al Comune questi liberali onestissimi. I clericali non amano Roma capitale, non vogliono festeggiare il venti settembre, s'irritano di dover riverire il Re: ma sono onesti? Io voterò per essi, poichè la loro probità mi affida: e, più tardi, penseranno essi a non urtare i miei sentimenti d'italianità. I socialisti sono violenti, sono intemperanti, spesso utopisti: ma sono onesti e vogliono il trionfo della onestà, lo vogliono con tutte le loro forze, come io lo voglio? Io voterò per essi, come un sol uomo. Io voterò per chiunque mi risulti, in faccia al sole che egli sia un galantuomo. Un galantuomo può sbagliare, ma non può tradirmi, un galantuomo può errare, ma non può vendermi. Di fronte al mondo che conobbe le mie lunghe sciagure, di fronte all'Europa che si stupì di me, come di un covo di malfattori, di fronte all'Italia, che mi guardò dolorosamente sorpresa, io debbo, ancora una volta e, adesso, più che mai, dimostrare che le mie sciagure mi venivano da ben pochi infami miei figliuoli, che il covo non era che una piccola tana di sporchi rosicanti, che io ho migliaja e migliaja di cittadini onesti e buoni e che, fra queste migliaja, io posso, io voglio scegliere ancora una volta, gli onesti che mi debbono amministrare. Qualunque sia la veste di cui si copra l'uomo dalla coscienza infida, io lo riconoscerò: qualunque sia la maschera che copra il suo viso, io ne discioglierò i nodi: in qualunque modo mi si tenti di ingannare, non vi si giungerà più.
Troppo ho sofferto nell'onore e nella prosperità: troppo ho lagrimato di vergogna e di indignazione. Io debbo cominciare per salvarmi, se voglio esser salvata da tutto, da tutti. Nelle mie mani è la mia prima risurrezione: cioè quella della mia esistenza, morale, cioè quella del mio decoro sociale. Farò, io, veder al mondo, all'Europa, all'Italia che di tutti i doni della sorte, io sono degna, che di tutti gli aiuti fraterni, io sono degna, io, Napoli, paese di gente onesta, mandando al Comune solo gli onesti, chiedendo ad essi, che da essi si prosegua e si esalti la mia riabilitazione!"
Questo popolo ama i colori allegri, esso che adorna di nappe e nappine i cavalli dei carri, che si adorna di pennacchietti multicolori nei giorni di festa, che porta i fazzoletti scarlatti al collo, che mette un pomidoro sopra un sacco di farina per ottenere un effetto pittorico [...]. Questo popolo che ama la musica e la fa, che canta così amorosamente e così malinconiosamente, tanto che le sue canzoni danno uno struggimento al core e sono la più invincibile nostalgia per colui che è lontano, ha una sentimentalità espansiva, che si diffonde nell’armonia musicale. Non è dunque una razza di animali, che si compiace del suo fango; non è dunque una razza inferiore che presceglie l'orrido fra il brutto e cerca volenterosa il sudiciume; non si merita la sorte che le cose gl'impongono; saprebbe apprezzare la civiltà, visto che quella pochina elargitagli, se l'ha subito assimilata; meriterebbe di esser felice. [...] Ebbene, a questo popolo eccezionalmente meridionale, nel cui sangue s'incrociano e si fondono tante gentili, poetiche, ardenti eredità etrusche, arabe, saracene, normanne, spagnuole, per cui questo ricco sangue napoletano si arroventa nell'odio, brucia nell'amore e si consuma nel sogno: a questa gente in cui l'immaginazione è la potenza dell'anima più alta, più alacre, inesauribile, una grande fantasticheria deve essere concessa. È gente umile, bonaria, che sarebbe felice per poco e invece non ha nulla per essere felice; che, sopporta con dolcezza, con pazienza, la miseria, la fame quotidiana, l'indifferenza di coloro che dovrebbero amarla, l'abbandono di coloro che dovrebbero sollevarla.
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Sono entrata in contatto con quest'opera e quest'autrice in modo del tutto casuale e ne sono rimesta piacevolmente colpita. Questo romanzo è una sorta di "reportage" della Napoli di fine Ottocento inizi Novecento, in cui la penna della Serao ci trasporta nelle viscere di questa affascinante e maledetta città. L'opera è suddivisa in due parti: due fedeli cronache di questa città e della sua popolazione. Nella prima parte troviamo il nascere della questione del Mezzogiorno italiano, siamo nel 1884 e Napoli è colpita da un'epidemia di colera. La Serao descrive il ventre di questa città fatto di quartieri popolari sporchi e degradati i cui abitanti lottano come possono per sopravvivere. Questa è la parte che ho amato di più, poichè, grazie alla bravura della scrittrice, ho respirato il "puzzo" di queste vie, ho visto la sofferenza di questi popolani che non si danno mai per vinti ma trovano sempre una speranza nell'oscurità della povertà che li perseguita. Nella seconda parte il governo annuncia lo sventramento delle zone più degradate di Napoli al fine di risanarle, ma l'autrice ci mostra come questo risanamento non sia sicuramente servito ai veri bisognosi, i quali non sono stati aiutati ma semplicemente nascosti agli occhi dei più.
Il Ventre di Napoli è uno dei più famosi e appassionati reportage sulle condizioni della città. È un libro scritto in tre epoche diverse, tre come le partizioni del romanzo. Una narrazione che sviscera il bello e il brutto della città del ☀️. A tratti più il brutto che il bello, si potrebbe pensare!
Ogni capitolo riporta una credenza, un costume diverso e tanti sono i temi affrontati: la miseria, la smorfia, l’usura, il lotto. Viene trattata anche l’architettura della città, le sue partizioni, gli scorci nascosti invisibili a chi non è nato lì. Il significato nascosto, tuttavia, che si ritrova in ogni pagina è una critica feroce all’amministrazione e anche un accorato appello alle istituzioni, le uniche in grado di far splendere questa grande e meravigliosa città.
Ho trovato molto interessante la lettura di questo romanzo, soprattutto la prima parte dedicata ai costumi e alle usanze. Lo stile di scrittura, tuttavia, è un po’ ostico e antico, come se fosse grezzo. Del tutto normale dato che la raccolta di articoli risale al 1884 ma in alcuni punti ho faticato e ho perso un po’ l’attenzione. Nel complesso l’ho trovato particolare e acuto, una lettura insolita ma appassionante.
Uno spaccato, dolorosamente ancora attuale e personale, di Napoli e i napoletani e tutto ciò che erroneamente si è detto e continua presuntuosamente a dirsi. Doloroso, perché miseria e ignoranza continuano a circolare tra i bassi rumorosi e bui dei più antichi quartieri di Napoli, nonostante la gentrificazione e la globalizzazione abbiano reso apparentemente più accessibili i segreti di una città che sì, cambia, ma continua a resistere, nel bene e nel male, alle trasformazioni più profonde che hanno mutato invece altre metropoli. Personale, perché la Serao non nasconde il suo attaccamento viscerale per una città nella quale continuerà a tornare per tutta la sua vita, e per la quale si spende in denunce accorate e appelli che tuttora sembrano riecheggiare invano tra i corridoi governativi. "Il ventre di Napoli", inoltre, è inaspettatamente un manuale d'istruzioni per comprendere e apprezzare le abitudini e le credenze di mia nonna materna, che portavano con sé una ricchezza che mi sembrava curiosa e di cui, soltanto adesso, riesco ad assaporare il valore ancestrale.
“Dal primo giorno che ho scritto, io non ho mai voluto né saputo essere altro che una fedele e umile cronista della mia memoria”- Matilde Serao
Come afferma la stessa giornalista/scrittrice in questa breve citazione, Serao descrive e denuncia le condizioni della popolazione napoletana, ma non tanto la classe aristocratica- borghese quanto il vero e proprio "ventre" della città partenopea ovvero le classi umili, quelle dimenticate dalla politica e dalla società benestante. Questo libro è un vero e proprio "J'accuse", scritto con passione e sentimento, quel sentimento profondo per la sua città e per il suo popolo che è sempre al centro dei suoi articoli. La prima parte, scritta entro il 1884, è a mio avviso la più bella dove si ha uno spaccato attento e profondo, quasi antropologico, del popolo napoletano.
Tagliente e diretto, questo saggio racconta un passato che sembra ancora così vivo. C'è la rabbia per un governo che non vede, che non sa anche quando, invece, dovrebbe sapere. C'è una Napoli che più da sventrare, bisogna quasi tutta rifarla. Ci sono i figli che vengono chiamati creature,"e lo dice con tanta dolcezza malinconica, con tanta materna pietà, con un amore così doloroso, che vi par di conoscere tutta, acutamente, la intensità della miseria napoletana.
E poi ancora c'è il colera, le tradizioni, il tentare la fortuna e chi non ha avuto altro conforto che nelle illusioni della propria fantasia.
Si legge tutto d'un fiato, rimane nel cuore per molto più tempo.
Una lettura molto interessante anche se a tratti pesante e non scorrevole per via dell’italiano. Ho trovato la prima parte del libro molto bella e piacevole, basata su storie e superstizioni napoletane. Qui viene descritta un poco la vita del popolo napoletano ed i suoi vizi, tra cui il gioco del lotto. La seconda parte del libro, ha un tono assai più giornalistico, una forma di saggio critico socio-economico della Napoli ad inizio novecento. Anche se ormai sono passati cent’anni, molte cose sono rimaste simili è tutt’oggi Napoli è una mondo a se, una città fantastica, vibrante e con un’anima proprio in un eterno gioco di luci ed ombre.
Empezó muy bien con una primera parte muy interesante de como era la vida en Nápoles en la que hace un retrato crudo de la realidad. Pero ya la segunda parte siguió una deriva donde se mezclan enfoques, ideas y conceptos en el estudio de cómo las autoridades intentaron mejorar la vida de los napolitanos del pueblo. En la ultima parte se personaliza, se hacen comparaciones con personajes famosos hasta terminar homenajeando a su madre como gran benefactora y no me ha gustado nada. La valoración que le pongo es por la primera parte que repito me parece muy buena. Una pena que haya ido de más a menos.