E se te contassem que o espaguete à carbonara não nasceu na Itália? Que as pizzarias são uma invenção americana e que o verdadeiro queijo parmesão só pode ser encontrado em Wisconsin, nos Estados Unidos? Ou que a culinária italiana que imaginamos tradicional não tem nem cinquenta anos de existência? Neste livro que chocou italianos e seus milhões de descendentes espalhados mundo afora, o historiador Alberto Grandi questiona o conceito de tradição para desmascarar os mitos mais famosos daquilo que conhecemos — e nos regalamos — como "cozinha italiana".
L'autore è un docente universitario che insegna a Parma, il cuore di quella che pomposamente viene etichettata come "food valley". Siamo in tema, lì si fanno due prodotti noti in tutto il mondo: il parmigiano-reggiano e il prosciutto di Parma. Rispetteranno la tradizione? C'è spazio per tanti altri alimenti, come il lardo di Colonnata, il panettone, l'aceto balsamico, l'olio d'oliva, gli spaghetti, il pomodoro di Pachino ecc. Scritto con stile spigliato, è un libro decisamente controcorrente che sfata i miti del cibo "tradizionale" e dei tanti marchi DOP, IGP ecc., documentando, fatti alla mano, che spesso si tratta di operazioni di puro marketing. La bibliografia è intelligentemente divisa in due sezioni: una per chi si fida dell'Autore e una per chi non si fida.
"Come si può governare un paese che ha duecentoquarantasei varietà differenti di formaggio?” Così si lamentava il generale Charles de Gaulle con un giornalista di “Newsweek” nell’ottobre del 1962. Il padre della Quinta Repubblica francese voleva in questo modo dimostrare l’irriducibile pluralità territoriale che da sempre caratterizza la Francia rurale. Chissà cosa avrebbe detto dell’Italia del 2017, con i suoi 55 formaggi DOP e IGP e 482 PAT, per un totale di 537 formaggi tipici, ai quali andrebbe aggiunto un numero imprecisato di De.Co. (Denominazioni Comunali), di Presìdi Slow Food e di formaggi in attesa di ricevere marchi di tutela. Insomma, se diciamo che oggi in Italia ci sono circa mille formaggi che vantano o vorrebbero vantare una loro tipicità non ci allontaniamo molto dalla realtà. De Gaulle non ci proverebbe nemmeno a governare l’Italia. Pensateci bene: mille formaggi tipici. Provate a visualizzare una carta geografica dell’Italia e disponeteci sopra mentalmente mille bandierine; potete benissimo metterle a caso, tanto ovunque le mettiate farete centro. E ognuno di questi formaggi vanta origini antichissime, come minimo medievali, ma possibilmente romane o etrusche. Anche qui, pensateci bene: con una popolazione italiana che tra l’antichità e il Medioevo oscilla tra gli 8 e i 10 milioni, ci sarebbero stati lo spazio, le risorse e la domanda per inventarsi mille tipi diversi di formaggio? C’erano abbastanza mucche, capre e pecore per produrre mille formaggi? Non mille forme, che quelle probabilmente ci sarebbero anche riusciti, ma mille tipi, ognuno dei quali, ovviamente, non veniva prodotto giornalmente in un solo esemplare, ma in decine o centinaia di forme, caciotte, tome ecc. Si tratta di un’evidente ubriacatura collettiva.
So eine interessante, geschichtlich fundierte Lektüre, die eigentlich perfekt aufzeigt, dass so gut wie alles, das in Italien unter dem Siegel der Tradition geschieht, vielmehr in den 1970er Jahren erfunden wurde, als Italien in die große Wirtschaftsstagnation geriet.
Ich hatte im Vorfeld geglaubt, ich würde in diesem Buch die Bestätigung dessen finden, was ich irgendwie schon immer vermutet habe - hauptsächlich wieso in Italien so eine rigide, auf keinen Fall zu hinterfragende Massenpropaganda über die Unantastbarkeit ihrer Kulinarik herrscht – und das habe ich auch; aber was mich dann doch beeindruckt zurückgelassen hat, war der Umstand, wie verdammt innovativ Italien dabei ist.
Nichts von ihren traditionellen Gerichten hat auch nur im Ansatz was mit Tradition zu tun - aber es ist ihnen gelungen, in 40 Jahren eine vergleichslose Esskultur aufzubauen, die ihnen auf der gesamten Welt abgekauft wird. Geniales Marketing, bewundernswerte Innovation – aber halt nur 40 Jahre alt (und oft italoamerikanisch).
Was mich ein klein wenig frustriert, ist das Schindluder, das sie mit DOP und IGP Siegeln treiben, weil die eigentlich bloß dazu genutzt werden, um Monopole auf komplett improvisierten Fertigungsabläufen aufzubauen - unter dem Gesichtspunkt der Erhaltung ihrer (erfundenen) Tradition, aber oft baden sie vor allem mit den IGP Siegeln dann eh das meiste selbst aus.
Ein wirklich sehr unterhaltsames, informatives Buch, das ich jedem ans Herz legen kann, der italienische Küche idealisiert - oder so wie ich, im Herzen Skeptiker ist, und sich heimlich immer gefragt hat, warum gerade diese Küche so eine weite Verbreitung erfahren hat.
Ho letto questo libro molto incuriosito dalla tesi iniziale: la "cucina italiana tradizionale" in realtà nasce a partire dai primi del 900 in America.
Nel libro questa tesi non viene supportata sufficientemente, a mio avviso. Le argomentazioni sono interessanti ma mi pare un po' deboli (il tono generale vuole essere molto amichevole e divulgativo, mi aspettavo un trattato più rigoroso dal punto di vista della documentazione).
In linea di massima le argomentazioni a supporto della tesi generale sono queste:
- fino a fine 800 non c'è stata una reale codifica di una culinaria italiana in ricettari organizzati. La cucina di quella che oggi sarebbe riconducibile all'Italia ebbe un momento di splendore nel Rinascimento (ma a detta dell'autore, senza riferimenti, era una cucina per noi "immangiabile") per poi essere surclassata come fama in Europa da quella francese. Da allora ci sono stati pochi autori che ne hanno parlato, e spesso in maniera non scientifica e per sentito dire, e nelle corti i cui si mangiava bene si scimmiottava appunto il gusto francese;
- fino al boom industriale italiano post-bellico non c'erano vere e proprie filiere certificate, come le intendiamo oggi, di prodotti tipici e i prodotti erano molto difformi tra loro;
- l'italia pre anni 50 era molto povera dunque la gente comune in realtà non mangiava i piatti che oggi consideriamo tipici, se non per le feste o raramente;
- la cucina italiana si è formalizzata in America perché gli emigrati lì hanno conosciuto il benessere, si sono incontrati, e hanno potuto realizzare per la prima volta piatti elaborati, usando ricettari inventati o molto parziali;
- la "cucina regionale italiana" non esiste perché le regioni sono state istituite negli anni 50 (questa argomentazione proprio mi sembra un po' tonta, per quanto si possa ovviamente discutere sul senso dei confini o delle sfumature geografiche di abitudini e usi).
A parte queste parti un po' discutibili (e avrei voluto che l'autore approfondisse di più) è sicuramente utile il frame decostruttivo della mitopoiesi culinaria italiana.
Molti esempi di creazioni moderne sono poi molto pertinenti e indiscutibili (ad es. i pomodori Pachino con i semi israeliani o la grande narrazione della "dieta mediterranea").
Interessante anche il case study di alcuni prodotti, come il panettone - nato negli anni 20/30 e di fattura immediatamente industriale - che "hanno fatto il giro" e che ora sono diventati effettivamente (anche) prodotti artigianali e, in qualche modo, simbolo di una zona. Altro esempio, la cioccolata Perugina nata in industria in una zona senza alcuna tradizione cioccolatiera e che ha creato, dopo, una tipicità nel territorio (vedi festival e balle varie).
È evidente che il marketing moderno trovi nel cosiddetto storytelling uno strumento potente per creare valore intorno a un prodotto, che molti di questi siano stati codificati in tempi moderni sulla base di collegamenti remoti al passato, ma mi sembra un po' estermo affermare (come fa a fine libro) che le vere tipicità italiane siano solo quelle industriali: Nutella, Parmigiano, Panettone etc perché riconoscibili all'estero, dalla filiera produttiva fissata e dall'esito sempre uguale.
Ovviamente non me ne frega nulla di difendere la cucina italiana (secondo me sopravvalutata) e trovo questo ragionamento applicabile a tutte le cucine del mondo e in generale su qualsiasi cosa abbia una "tradizione" (ribadisco: termine pericoloso) o, diciamo, una eredità di usi e di produzione passata.
Visualizzate tutte quelle belle pubblicità dove la famiglia si riunisce attorno alla tavola apparecchiata. I bambini che si rincorrono, i ragazzi più grandicelli che spippolano sui telefonini, i genitori che, ridacchiando allegri, compiono gli ultimi preparativi chiamando poi tutti a raccolta. Ed infine i nonni, festosi e gioiosi che conducono in tavola un gigantesco piatto di lasagne. O di bucatini. Ragù fumanti, sughi rosso Ferrari, forchette che si sfidano a chi prima arriva al bianco piatto da portata. Ahhh, che belle immagini... Cosa c'è di più italiano di una tavola imbandita, di una famiglia unita, di un piatto di pasta? Le balle che sappiamo raccontarci. Ecco, questo sì che è tipicamente italiano. Il così detto Bel Paese è l'insieme, forzato o meno, di tante piccole realtà; territori più o meno vasti, nati e sviluppatisi in modo pressoché indipendente gli uni dagli altri, ognuno con le proprie peculiarità e tradizioni, ognuno con culture anche culinarie specifiche. A volte simili in quelle zone confinanti, ma diverse se più lontane e spesso diverse come nascita e sviluppo. Alberto Grandi, riportando fonti ben verificabili, ha scritto un libro che si legge con piacere e interesse e che ci mostra il dietro le quinte della tanto reclamizzata e strombazzata Cucina Italiana, che è tutt'altro rispetto a ciò che fieramente sbanderiamo ai quattro angoli del mondo.
Da persona che non ha mai perso il sonno nel cercare di riprodurre la carbonara perfetta e che non si è mai strappata i capelli se a una cena con amici non mi servono “la vera pizza napoletana” devo dire che è stato divertente addentrarmi nei meandri di questo marketing della cucina tradizionale e scoprire che dietro a quella che consideriamo una cultura culinaria secolare spesso ci sono esperti di marketing che questo prodotto l’hanno creato solo pochi decenni or sono.
Interessante il saggio, sconvolgenti certe rivelazioni (da figlia di una donna fissata col panettone artigianale). Il problema a mio parere risiede nello stile con cui questo lavoro si presenta, e il saggio mi risulta a conti fatti non proprio soddisfacente: Grandi ha senza dubbio “fatto i compiti” e conosce la materia, però vuole essere fin troppo divulgativo (con un continuo rivolgersi al lettore come se si stesse parlando alla bar del paese durante la briscola, con quel linguaggio sympa e cciofane e battute un po’ supponenti nel contesto) per poi saltare di palo in frasca tra concetti economici e politiche di marketing non così immediati per chi non è addentro alla materia. Salvo poi rifiutarsi di “annoiare il lettore” con cose inutili e complicate quando si arriva al momento di spiegare davvero qualcosa, (cosa non sempre facile, a onor del vero, visto che parliamo di prodotti la cui storia spesso è inventata o la cui lavorazione tradizionale si perde nei meandri del tempo, quando alle fonti storiche poco importava di preservare il modo in cui si facevano formaggi e salumi. Ma almeno qualcosa di un po’ più corposo sulle politiche economiche europee si poteva dire, avrebbe aiutato anche ad analizzare più approfonditamente e a tutto tondo le motivazioni dietro alla creazione di tutti questi prodotti “tipici” e “locali”). Se non si vuole annoiare il lettore si possono anche spiegare cose complicate con leggerezza, ma non rifiutarsi in toto di esporle, tra l’altro dicendolo pure a chi legge (che deciderà da sé se si annoia o meno).
A mio avviso un approccio così svilisce il valore di un buon lavoro di indagine su un tema molto caldo per quel che riguarda il nostro paese (specie in questo periodo di accordi economici internazionali che stanno facendo perdere il senno a tutti), e mi dispiace molto.
Il voto in realtà è 3.5 ma ho arrotondato per eccesso. :-)
La tesi del libro è abbastanza chiara ed il libro è ben strutturato attorno ad essa: di tradizione (se con tradizione intendiamo più di qualche decennio scarso) la cucina italiana "tipica" ha ben poco; quasi tutte le tradizioni regionali sono originate da periodi di post crisi industriale e strutturale; ed il tentativo di sfruttarle ha creato non pochi mostri di etichette, consorzi, e comitati con esiti spesso comici se non assurdi.
Il libro si compone di una introduzione seguita da una lunga storia opinionata della cucina italiana (circa metà libro), ed a seguire piccoli capitoli di poche pagine su esempi specifici, che spaziano da prodotti generici come "il formaggio" a prodotti particolari come il cioccolato di Modica o l'aceto balsamico tradizionale di Modena.
Il punteggio medio dipende da due fattori, da un lato ho faticato a sopportare le cadute di stile "giovanile" del libro che a mio avviso male si abbinano con il contenuto; dall'altro mi è sembrato che i capitoli finali siano stati forzatamente accorciati saltando numerosi dettagli interessanti per lasciare il libro ad una dimensione che non spaventasse troppo. Complessivamente lo trovo un libro abbastanza interessante che avrebbe potuto essere uno dei miei preferiti. Comunque consigliato se vi interessa l'argomento.
Come commento a lato, il libro ha una breve appendice che descrive i vari marchi di garanzia (DOC, IGP, ...), molto utile alla comprensione del testo ma mai menzionata prima della conclusione del libro.
Have you heard of the American exceptionalism? You know, how a lot of Americans think they are the best country in the world and they have sooo much freedom - waaay more than any other country etc, but it's all bullshit? Well, Italians think they have the most beautiful country the best cusine in the world - waaay better than in any other country, and it's also bullshit. And just like in the case of the US this kind of narrative mostly serves the purpose of distracting people from all the problems their country faces, so it does in Italy. I think the most acute observation Grandi makes is how Italy seems to rely on tourism in general, and food tourism in particular, as a way to compensate for their economy struggling in other areas.
In any case, this should be mandatory reading for all the insufferable Italian food snobs. And the adjective "Italian" refers mostly to food here, not to the snobs, as I've met my fair share of people from other countries who bought into the marketing of Italian food as the pinnacle of taste. And into the preposterous idea of there being a single best traditional, often ancient, recipe for each dish and any variation being sacrilege. Yeah, get off your high horse and learn some history
La tradizione culinaria italiana è antichissima, millenaria, lo sappiamo, si perde nei meandri del medioevo per arrivare fino agli antichi romani. Non proprio, quasi tutta la nostra tradizione è nata negli ultimi 50 anni, come ricostruisce Grandi in questo libro. Per chi ha letto Bressanini le tesi esposte qui non saranno una completa novità, per altri potrebbero essere una rivelazione. In effetti il libro ha provocato parecchie reazioni piccate, ma si sa che a toccare la cucina italiana si incorre nel reato di lesa mastà.
Perché una persona che sta fra i 40 e i 50 anni come me non aveva, fino ad oltre l’età adulta, mai sentito parlare di prodotti “leggendari” come il lardo di Colonnata o il cioccolato di Modica? La risposta ce la dà questo libro: perché prima non esistevano. Volume davvero interessante ed intrigante, che sfata molti dei luoghi comuni sull’argomento. Consigliatissimo!
Non avrei mai preso in mano questo libro se non avessi visto una puntata di un certo podcast con ospite l'autore, che ha un modo di parlare che a mio parere rende meglio rispetto al modo di scrivere
Excelente livro sobre gastronomia. interessante para pensar no quanto do que valorizamos num produto gastronômico está no storytelling em torno dele do que no sabor em si. Apesar de confrontar toda a ideia de tradição da gastronomia italiana, Grandi nos deixa com vontade de provar tudo - só sem romantizações e incoerências históricas.
I strongly recommend this book. The author is a researcher and supports his statements with economic, historical and sociological data. Although his background is academic, this book is very easy to understand. I stopped every page to laugh over his jokes. The inventions and the justifications are marvelous!!!
Un libro dissacrante che parla molto più di storia che di cucina, mettendo in discussione il concetto stesso di tradizione. Il professor Grandi sfata i miti più famosi di quella che oggi definiamo "cucina italiana", le cui radici vanno oltre i territori nazionali al contrario di come ci piace raccontare.
me lo leí traducido al castellano por mi guapísimo y listísimo y afanosísimo marido que lo tradujo, maquetó y llevó a imprimir para regalármelo por mi cumple 💜💜💜
Molto interessante, una lettura in cui ti “metti in gioco”. Essendo abituato ad una letteratura più scientifica avrei preferito essere messo di fronte a più fatti/documenti e ad un autore che non abbia un partito preso, sebbene le ragioni vi siano, eccome. Concludendo è comunque scorrevole ben strutturato e con un’eccellente bibliografia
Indicado por G. Duvivier, o livro, bem escrito e divertido, conta a história da Itália a partir dos mitos gastronômicos italianos. A culinária hoje conhecida por "culinária tradicional italiana", na verdade, foi inventada por imigrantes italianos no exterior, no pós-guerra, usando ingredientes aos quais a paupérrima Itália de antes dos anos 1950 não tinha fácil acesso.
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Un libro pieno di tesi pedestri che denota anche una scarsa conoscenza delle nostri tradizioni culinarie. Probabilmente l'autore è d'accordo con le assurde leggi UE che vorrebbero ammazzare il nostro patrimonio alimentare rinomato in tutto il mondo.
Peccato. Contenuti sarebbero molto interessanti. Il tutto però raccontato con troppa boria e presunzione da renderli quasi pesanti. Ultimo capitolo già più leggero e piacevole. Forse anche colpa mia che avevo alte aspettative.
“Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda.” I mass media italiani hanno dato grande risalto, nelle scorse settimane, a un’intervista del Financial Times a Alberto Grandi, professore di storia delle imprese all’università di Parma, a proposito dei prodotti “tipici” dell’enogastronomia italiana. Alcune parole dell’intervista (estrapolate dal contesto o addirittura distorte) hanno generato una serie di flame che si sono propagati anche sui social spingendomi a cercare il libro originale, confermando la sensazione che avevo avuto di fronte alle polemiche (sensazione che chi commentava non avesse letto né il libro né l’intervista). Ho aperto con la battuta che John Ford fa dire a James Stewart a concludere quel capolavoro del western che è L’uomo che uccise Liberty Valance, che secondo me descrive bene alcuni miti del cibo e della cucina italiani, dei quali l’autore racconta la nascita e l’evoluzione. Apprendiamo così che la tradizione agroalimentare italiana è più un prodotto del marketing che del conservarsi di prodotti e lavorazioni tramandate di generazione in generazione (il che non necessariamente significa qualcosa di negativo), che alcuni prodotti che istintivamente nel nostro immaginario collettivo associamo alla tradizione sono sorprendentemente recenti (non a caso, ho appreso dell’esistenza dei pomodori Pachino o del lardo di Colonnata solo da adulto: da bambino, semplicemente, non esistevano) e come tutta una serie di prodotti, dal gelato al panettone, non nascono come prodotti artigiani per diventare industriali ma avviene esattamente l’opposto. Concetti semplici da capire ed esposti in modo chiaro e accattivante, che fanno capire tante cose (e sapere che la carbonara o la pizza o il parmigiano hanno origini diverse e più recenti di quanto pensassi non me li fa certo amare e desiderare di meno)
A divulgação do livro usa de polêmicas como a origem do carbonara ou a contribuição significativa dos italianos que imigraram para São Paulo, mas na prática fala disto de maneira breve em sua introdução. A tese que de fato sustenta é que grande parte da cultura artesanal que cria o ideário da tradição da cozinha italiana deve-se mais à indústria. Ela desbravou o caminho, manteve o padrão de seus produtos e influiu, significativamente, num país - cuja história recente é de abundância - na apropriação, melhoramento e desenvolvimento de produtos de forma artesanal, muitas vezes protegidos na criação de demarcações e denominações de origem de produtos. É um bom livro, mas eu esperava mais a exploração da história da contribuição dos italianos imigrados na criação do mito da tradicional cozinha italiana. Ficou devendo.
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Mi chiedevano "e quali sono i piatti tipici del tuo paese?". Rispondevo "boh? Non mi viene in mente niente, mia nonna cucina di merda e secondo lei e mio nonno non è che si mangiasse tanto nel mio paese. Mia madre fa le lasagne, ma il mio paese è in Basilicata", sentendomi pure un po' in colpa per la mia ignoranza delle tradizioni. Mò, può pure essere che io non sia ferratissimo in fatto di tradizioni, ma perlomeno ho appreso che una gran parte di queste sono farlocche, inventate e in gran parte più giovani di me.
Il libro è molto interessante, al netto del tono a tratti davvero irritante, da maestro di scuola materna che si rivolge ai bambini. A parte questo, mi ha rinfrancato sentire una voce contro queste assurde nevrosi della "tipicità" e "tradizione".
Sono arrivata al libro dal podcast che, ammetto, rende meglio quest’idea di chiacchierata con il pubblico che corre anche lungo il libro.
Grandi (e Montanari) dovrebbero essere letture obbligatorie a scuola (insieme con Bressanini) per permettere e sviluppare il pensiero critico. Pur lavorando nella comunicazione non ero arrivata mai a capire fino in fondo le balle che i markettari propongono. Per me la correttezza e l’onestà dovrebbero sempre prevalere, quindi ok lo spin (il tonno che si taglia con un grissino è un difetto fatto passare per pregio), ma la balla totale in effetti è un po’ troppo. :)
La vera tristezza però si evidenzia nel fallimento della politica (soprattutto industriale) dagli anni ‘70. Tesi di fondo di questo libro.
Un libro pieno di fatti storici e riflessioni intelligenti sulla nostra cucina e come l'Italia è riuscita a creare questa identità culinaria dogmatica e famosa in tutto il mondo. Troverai la storia della cucina "italiana", la sua evoluzione e la voglia irrefrenabile di invetarsi tradizioni e prodotti tipici senza aver paura di entrare nel ridicolo storico.
Il libro è scritto in maniera chiara e piena di piccole punte di ironia che rendono la lettura molto piacevole. Non è un libro accademico anche se le referenze si possono trovare nella parte finale del libro.
Come insegna l'autore non bisogna aver paura di evolvere la nostra cucina e i nostri proditti e si può essere fieri delle innovazioni senza scomodare per forza miti e leggende.
“Questo libro vuole ricostruire proprio la storia dei prodotti tipici italiani, che oggi rappresentano un pezzo importante dell'industria agroalimentare del nostro paese. Quasi sempre questi prodotti vengono descritti come frutto di una tradizione antica (in alcuni casi antichissima), sedimentata nei secoli e profondamente radicata nella storia, nella cultura e nelle tradizioni locali. La tesi di fondo di questo volume è che in gran parte dei casi le storie dei prodotti tipici italiani sono frutto di trasformazioni molto più recenti e che quasi tutti i prodotti siano stati sostanzialmente ‘inventati’ tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del XX secolo.”
El meu primer llibre en italià no adaptat! L'Alberto dona tot de raons i motius per demostrar que tota la normativa i legalitat sobre els aliments (DOP, IGP, etc.) no deixa de ser una eina de màrqueting per vendre més productes i més cars, més que no pas per protegir els productes artesans que sempre s'han fet de manera tradicional. M'ha fet molta gràcia alguna frase que fa obrir els ulls, com ara «per mantenir l'etiqueta d'artesania, els petits productors s'han hagut d'industrialitzar i estandarditzar». Al final inclou dues bibliografies: una per si et fies del seu discurs i vols aprofundir més, i una altra, per a incrèduls, per acabar de fer canviar d'opinió.
Da un lato racconta fatti molto interessanti e poco noti, dall'altro l'ideologia dell'autore, che non trovo sempre condivisibile, non e' ben spiegata e difesa. Ad esempio, risulta poco chiaro perche' la cucina italiana, nonostante sia spesso nata dagli immigrati italiani negli Stati Uniti, si sia poi sviluppata in Italia e non nelle Americhe. Cosi' come, ad esempio, l'autore ignora che spesso la gente mangia male causa forzature di mercato o abitudini difficili da sdradicare, vanificando l'idea di fondo che il mercato da solo possa autoregolarsi.