A renowned plant expert explains how we can make urgent, positive changes to our cities that protect against and reduce global warming.
The conquest of new lands has been the greatest occupation of our for hundreds of thousands of years, humans have searched for new territories to inhabit, finding in the city the best place to live in the last hundred years. Looking at the parabola of our geographical expansion, it sounds like humans have gone from being a generalist species, capable of colonizing any environment, to very quickly becoming a specialized species, capable of thriving only within a particular habitat. The city seems to have become the only place where we can expect to thrive and reproduce, because it is the only place where our specialization gives us the best chance of survival, and quality of life.
However, “species specialization” is only effective in a stable in changing environmental conditions, it becomes dangerous. And if the resources the city needs to thrive are not unlimited, global warming can permanently change the environment of our cities—an event that would be fatal. But it is the city itself, as it is today, that is the main driver of environmental destruction. Mankind is confronted with a we must rethink our cities and make them a lasting ecological niche.
In this clear, accessible, and fascinating work, Stefano Mancuso proposes a green how would our cities be transformed if their framework was modeled on plants?
Stefano Mancuso is the Director of the International Laboratory of Plant Neurobiology (LINV) in Florence, Italy, a founder of the International Society for Plant Signaling and Behavior, and a professor at the University of Florence. His books and papers have been published in numerous international magazines and journals, and La Repubblica newspaper has listed him among the twenty people who will change our lives.
"Io dico, semplicemente: facciamolo. Lo ripeto non vedo alternative, va fatto. E prima lo si fa e meglio è"
Mi è piaciuta molto questa lettura, Stefano Mancuso ci presenta un approccio multidisciplinare per illustrarci il problema dell'insostenibilità ambiental-energetico-vitale della nostra civiltà, toccando la Storia, la biologia, la genetica, l'antropologia, l'evoluzionismo, l'arte, la sociologia, la botanica, l'urbanistica e probabilmente qualcos'altro che mi sono perso per strada. È vero che molte delle informazioni che dà sono note ai più perché costituiscono materia di studio alla scuola dell'obbligo, ma qui confluiscono tutte a sostegno della tesi di fondo del saggio, intessendo una rete di sapere, un solido flusso di pensiero assai convincente in ogni sua parte.
È uno di quei libri che ti porta a pensare che se fosse letto e compreso da tutti i cittadini europei, per diretta conseguenza l'80% degli attuali partiti cesserebbe di esistere istantaneamente, perché tutti saprebbero che ciò che la maggior parte dei politici ci promette da anni non solo è irrealizzabile, ma pure esiziale per la nostra sopravvivenza collettiva come specie.
Un'unica pecca mi sento di muovere al saggio: Mancuso, per sopperire all'inaudito e pernicioso consumo di risorse che le zone più urbanizzate e popolose impongono al nostro pianeta, propone l'idea di una città diffusa, composta da aree distinte ma tutte autonome e autosufficienti (come i modelli vegetali a cui si è ispirato) ed ovviamente immerse nel verde, e ce la presenta come se tutto ciò fosse una novità, dimenticandosi invece che già a fine Ottocento l'urbanista inglese Ebenezer Howard, nel saggio A Peaceful Path to Real Reform, con la sua Garden City aveva teorizzato qualcosa di estremamente simile; la teoria c’è da secoli, è la pratica a mancarci. Infatti, quasi tutte le città giardino effettivamente costruite sono poi state snaturate e inglobate in sistemi urbanistici più ampi, dove ha prevalso la settorialità delle aree urbane (la zona dei servizi, la zona industriale, la zona amministrativa, la zona residenziale). A vincere, purtroppo, ancor oggi è un modello impoverito della ideale Cité Industrielle di Tony Garnier, una città altamente specializzata in cui i settori che la compongono sono divisi in compartimenti stagni, antiteticamente contrapposta al modello di città generalista e diffusa, tutta formata da nuclei autosufficienti, teorizzato da Howard (e Mancuso).
La parte più succosa del saggio potrebbe apparire troppo striminzita, relegata agli ultimi capitoli, tuttavia la lunga premessa era a mio avviso indispensabile, Mancuso ci porta per mano in un percorso di conoscenza, ed è mia opinione che utili libri come questo siano pensati allo scopo di informare, scuotere e animare le coscienze, l'esposizione cristallina e piacevolissima di Mancuso, che snocciola dati su dati senza mai appesantire il testo, insieme all’approccio onnicomprensivo di cui sopra, regalano a chi legge un'ampia visione del problema dell'insostenibilità ambientale, trasmettendo tutta l'urgenza e la gravità del catastrofico cul-de-sac in cui ci stiamo sempre più addentrando, e spiegano pure come non esistano soluzioni semplici per evitare un evento apocalittico di portata globale inevitabile e dalle conseguenze tutte concatenate, ma si tratta invece di adottare piccoli, rivoluzionari accorgimenti, che solo sul lungo periodo sapranno dare i loro frutti, permettendoci di sopravvivere.
L'accorgimento più immediato per prepararsi al riscaldamento globale che fra pochissimi anni causerà danni irreparabili al nostro ecosistema (per non parlare dei morti che si lascerà dietro), per Mancuso, sarebbe riempire di alberi le nostre strade, cosa che mi trova totalmente d'accordo: a fine libro non ho potuto fare a meno di chiedermi perché non lo stiamo già facendo, dopotutto, in quasi ogni città italiana di una certa estensione le vie del centro storico sono da anni pedonalizzate e chiuse al traffico degli autoveicoli, perché diamine non abbiamo ancora piantato filari e filari d'alberi in tutte queste strade? Quanto sarebbe bello, in primavera, godere di magnifiche fioriture in pieno centro città? E nelle assolate giornate estive, passeggiare sotto le fresche frasche, mentre si visitano negozietti o musei? E quali meravigliosi colori ci regalerebbe il foliage autunnale! E che splendore sarebbero, nelle sere invernali, tutti questi alberi ricoperti di luminarie!
In questo breve saggio Mancuso parla del nostro rapporto con le piante, del modo in cui pensiamo alle piante e del fatto che siamo una specie molto incentrata su sé stessa. Inoltre, da quando le città hanno cominciato a raccogliere un numero sempre maggiore di persone, abbiamo cominciato a considerarci un po' degli alieni rispetto alla natura ovvero come se noi e la natura fossimo due entità distinte e contrapposte. E' ovvio invece che noi nasciamo dalla natura e ne facciamo parte come tutte le altre specie viventi, animali o vegetali, del pianeta. Da qui si passa poi al rapporto fra le città e le piante, partendo dalle considerazioni del biologo e urbanista Patrick Geddes, e a quanto sono, anzi non sono, ecosostenibili le nostre città. Ho deciso di leggere questo saggio perché non fatico a immaginare le nostre città ricoperte di piante. Amo molto le piante e una delle prime cose che vado a visitare in una città sono i suoi giardini. Anche se condivido in gran parte ciò che dice Mancuso, ciò che non mi è piaciuto di questo saggio è che si parla del punto cruciale del libro, cioè come trasformare le nostre città in Fitopolis, solo negli ultimi due capitoli e non in modo troppo esaustivo. Mi sembra più un libro di incoraggiamento al cambiamento e volto ad aprire gli occhi a chi pensa che le cose possano continuare ad andare avanti ancora a lungo nel modo attuale. Ho trovato comunque interessanti le notizie dell'evoluzione o dell'adattamento di alcune specie nel momento in cui hanno cominciato a condividere con noi gli spazi urbani. Una buona lettura, nel suo complesso.
Ho trovato la voce di questo libro quanto mai urgente e necessaria. Non solo rende molto evidente la gravezza della situazione che abbiamo creato e continuiamo a perpetrare ai danni della natura, senza edulcorare la situazione e offrendo dati realistici, ma offre uno sguardo particolare sul futuro dell’urbanità. molto interessante l’idea per cui le città esistenti dovrebbero prendere esempio dagli alberi per la loro capacità di resistere ai cambiamenti senza spostarsi, anche in condizioni ambientali difficili. E quella di considerare le nuove città come parte del fenomeno migratorio, che è da sempre una risposta al cambiamento climatico. Così per gli animali, le piante, così per le città.
Il libro scorre fluidamente e le illustrazioni sono estremamente interessanti. Tuttavia, pur partendo da premesse promettenti e condivisibili, si rivela il peggiore saggio che abbia mai letto.
L'autore ha costruito teorie su basi fragili, cercando dati solo per confermare le sue idee preconcette anziché condurre una ricerca obiettiva e poi trarre conclusioni. Questo comportamento intellettualmente disonesto mina il valore scientifico e divulgativo di tante altre persone che cercano di sensibilizzare sul tema dell'inquinamento e del cambiamento climatico.
Consiglio la lettura solo a coloro che abbracciano una mentalità radical chic e cercano conferme nelle loro tesi con letture che prescindono dal valore scientifico o complottisti climatici, poiché i ragionamenti presentati in questo libro sono facilmente criticabili.
Sconsiglio la lettura a chiunque abbia senso critico, ma più in generale ne sconsiglio la lettura.
Este libro de Mancuso establece un diálogo interdisciplinar entre biología, arquitectura y urbanismo. Adicionalmente, encuentro planteamientos de carácter filosófico dignos de una ampliación.
Desearía pensar que las personas que se dedican a la planeación y administración de las ciudades encuentran valor en esta lectura e ideas que han de implementarse de forma urgente.
..maar ook wel geprikkeld om te gaan tegelwippen en bomen planten lol! Het feit dat onze steden nog niet vol geplant zijn met bomen is echt crazy Lees dit boek, plant een boom, klimaatscrisis afgewend, easy peasy
Una lettura illuminante. Più che altro, una conferma di ciò che già pensavo e anche una concretizzazione. Se certa gente leggesse questo libro, magari la Terra potrebbe sperare di non dover per forza morire, per rinascere senza di noi e stare finalmente bene. Perché adesso sta soffrendo, lo vediamo e purtroppo non stiamo facendo nulla, non abbastanza. Porto con me tanta amarezza dopo questo libro, più che altro perché, per quanto un ristretto gruppo di persone ci provi, le cose faticano a cambiare. Piantiamo alberi, circondiamoci di natura. L'abbiamo maltrattata nell'ultimo secolo, senza renderci conto che è la cosa più importante da preservare.
Enfocament multidisciplinar interessant i molt necessari per a repensar com organitzar les ciutats i les nostres formes de vida. Aquest passa per repensar la nostra relació amb la natura i apendre d’ella creant ciutats difuses, verdes i descentralitzades imitant l’organització vegetal. Quin greu que falti tanta voluntat política per a realitzar els canvis que proposa… Em falta conèixer com s’aplica aquest enfocament a estudis més empírics (menys teòrics) de l’evolució i dinámiques urbanes.
“En allunyar la natura de la nostra mirada, vam començar a percebre’ns com a fora, o més aviat per sobre d’ella, molt més enllà de qualsevol capacitat de l’evolució per actuar sobre nosaltres. És com si penséssim que som nosaltres els que podíem decidir cap a on i com ha d’anar la nostra espècie, no els capricis de l’atzar” (p. 16)
“L’evolució sempre premia la solució més adequada, no la millor, que al contrari, només és una obsessió humana.” (p. 34) Les ciutats dissenyades són elaboracions urbanístiques inertes…Racionals, però sense vida”.
“La cooperació, el suport mutu, o com diem avui en dia la simbiosi, és realment un dels motors fonamentals de l’evolució, l’acció de la qual actua indistintament a escala dels individus, de les comunitats i fins arribar al desenvolupaments de les ciutats.”
“Idea absurda de que ens hem alliberat de la natura… l’home està perfectament dins dels processos naturals i l’evolució actuarà sobre nosaltres amb la mateixa força amb la què actua sobre totes les altres espècies vives… l’home pateix les nombroses pressions selectives associades a la urbanització, que modifica la mortalitat, la demografia, la transmissió de malalties, la contaminació de l’aire, l’aigua i el sòl, l’higiene, l’alimentació, les relacions socials,…” (p. 72)
“Més del 80% de la població a Espanya viu a les ciutats”
“els fluxos d’energia i materials d’una ciutat son majoritàriament lineals: arriben a la ciutat i en surten, deixant enormes quantitats de residus” (p. 90) —> energia que prové d’altes punts del planeta: política depredadora cap als recursos. “La nostra vida està directament connectada amb el que passa a la resta del planeta”.
Hervert Girardet distingeix entre metabolisme circular (del món natural, els residus d’un individu son el sosteniment d’un altre) i lineal (del món urbà, on els recursos entren i es malgasten). L’home consumeix recursos per al seu metabolisme biològic i metabolisme social.
Necessitem innovació tecnològica i innovació social, imaginant formes de governança global que siguin capaces de reduir al mínim el consum de béns comuns abans d’apropar-nos als llindars crítics. (p. 103)
«Sequenze ininterrotte di eventi catastrofici, le cui probabilità di verificarsi sarebbero irrilevanti senza il riscaldamento globale, sono avvertite come semplici casi sfortunati - non parte di un cambiamento più grande - e come tali raccontati dai mezzi di informazione». In questa singola frase è racchiuso, forse, tutto il problema del perché non ci muoviamo ad affrontare il problema del riscaldamento globale. Problema che qui, Mancuso, affronta nel rapporto delle città con la parte verde che le caratterizza. Una parte che dovrebbe essere decisamente aumentata in spazi e quantità se vogliamo sperare di avere un futuro vivibile.
É um bom livro do Stefano Mancuso mas achei um bocado aquém. É muito recomendado para quem gosta de Urbanismo e Botânica, mas acaba por enrolar um bocado.
Meritate 5 stelle! Davvero illuminanti i paragoni passato-presente che vengono più volte proposti. Mi sarebbe piaciuto un maggiore approfondimento degli ultimi due capitoli, in quanto manca un po’ di concretezza e la bibliografia non manda molto oltre. Consiglio a tutti.
Interessantissimo e preoccupante, spero tanto che questo saggio arrivi all'attenzione di chi può dare una reale svolta alle nostre vite in città oltre che a noi singoli cittadini che,nel nostro piccolo, possiamo apportare delle modifiche alle nostre vite e con la giusta consapevolezza fare la nostra piccola parte. Leggerlo d'estate fa calare molto di più nel contesto.
Scritto veramente male, le tesi proposte non sono sufficientemente supportate, e quando lo sono viene data una visione distorta. Inoltre il libro per il 70% é solo una critica, mentre viene dedicata solo l’ultima parte alle nuove idee.
Dopo quell'imbarazzante porcheria che è stato il suo precedente libro che qualcuno ha avuto persino il coraggio di definire romanzo, ero felice di ritornare ai saggi di qualità a cui Mancuso ci aveva abituati.
Mancuso ha sempre avuto un problema. Il piccolo problemino di essere un filo ripetitivo nelle sue dissertazioni. Del tipo che ha l'abitudine di ripetere lo stesso concetto un variabile numero di volte sia nello stesso libro, che in diversi libri, ma si soprassiede - come si soprassiede ai difettucci di qualcuno a cui vogliamo bene Ora, in passato Mancuso aveva accennato a diverse nozioni riguardo a come i vegetali e, in generale, i non-animali, siano un buon esempio per la costruzione e la gestione delle città e di alcune delle loro aree (ricordo vividamente lo sviluppo di reti fungine in relazione alla mappa della London Underground) e onestamente mi aspettavo che in questo saggio venissero approfonditi tutti questi aspetti, alla luce delle più aggiornate scoperte.
Invece questo libro è un boomer rant. Quasi 200 pagine di cui Mancuso occupa il 90% affermando quanto facciano schifo le città. Letteralmente, il libro è una lamentela.
E perché sono state costruite sulla base biologica animale, e perché sono troppo specializzate, e perché non sono strutturalmente diffuse... Parliamoci chiaro, ha ragione: le città non sono ormai sostenibili da nessun punto di vista, tendono a decadere e spopolarsi, moltissime vengono amministrate da una manica di babbei negazionisti del cambiamento climatico... ma da come scrive Mancuso, pare che avremmo dovuto fermarci alla fase delle popolazioni di raccoglitori. Sembra ignorare totalmente il perché le città siano state costruite in questo modo nell'intero corso della storia, non si cura nemmeno di fare qualche accenno a esigenze ambientali o socio-culturali del passato, ma fa di tutta l'erba un fascio e racconta di come gli amministratori tutti, di tutte le città, di tutte le epoche, siano una manica di babbei perché hanno fatto il grave errore di non aver mai pensato di costruire una città sulla base di una pianta.
A Mancuso nessuno ha mai fatto notare che del senno di poi son pieni i fossi?
Dulcis in fundo, al 90% di 'sto libro mi aspettavo che dopo una serie di wall texts di critica sociale circostanziale, Mancuso si degnasse finalmente di raccontarci di come le piante potrebbero rendere migliori le città. C'è da piantare più alberi. Fine.
Grandi rivelazioni insomma.
A Mancuso, che tristemente sembra essersi trasformato nell'ennesimo boomer che ama criticare ma di soluzioni neanche l'ombra, vorrei dire che presto andrò a Jimbocho e me lo godrò pure tanto. Sorry not sorry.
El libro hace una entrada excepcional que alienta hasta a la persona con el corazón más frío a investigar sobre las plantas y su rol en los ecosistemas urbanos. Hila un argumento que conecta con los giros que ponen a la naturaleza como el centro del planeta, a la vez que maravilla con datos sobre las influencias evolutivas de las plantas sobre los seres humanos. Sin embargo, luego decanta en una discusión sobre el urbanismo de la época donde la riqueza del argumento se pierde, y el ensayo se sostiene solo por los elementos lúdicos y la cantidad de información que añade el autor.
Esperaba encontrar en las conclusiones argumentos serios para volver a convivir estrechamente con el mundo natural en nuestros centros urbanos, pero al final todo se reduce a un esfuerzo utópico y con argumentos obvios a favor de plantar arboles en las calles, como lo fue alguna vez en los asentimientos del siglo pasado. No hay una cuota de innovación en el último capítulo, en el sentido de ofrecer nuevos diseños arquitectónicos, inspiraciones biomiméticas o bien fuentes energéticas creativas para la ciudad. Todo se reduce a plantar árboles en las calles para amortiguar el cambio climático. Tarea que Mancuso la presenta como extraordinaria, pero que en realidad es intuitiva y bastante fácil de alcanzar. Yo creo que, por todos los elementos esbozados, el problema del libro supera por creces la solución diseñada.
Me quedo con algunos principios que esboza Mancuso y que sirven para reflexionar más consolidadas. Primero, que las plantas tienen mayor capacidad de adaptación porque están obligadas a vivir enraizadas en su hábitat. No es que estén excluidas de movimiento, más bien de migrar a otros entornos. Por lo mismo, deben enfrentar las amenazas ambientales, no pueden evitarlas. Esto produce que sean agentes que deben buscar soluciones eficientes a todo momento, y por lo tanto, conforman relaciones muy inteligentes con el ecosistema. Segundo, a diferencia de la morfología especializada, jerarquizada y concentrada de los animales, las plantas tienen un funcionamiento difuso, donde los organos cumplen roles diversificados y que están desconcentrados en diferentes partes de su cuerpo. Ambas cualidades de la naturaleza de las plantas nos pueden servir para inspirar los diseños urbanos y sociales en el futuro. La vitalidad de la naturaleza tiene que ser replicada si queremos salir de esta.
PD. Importante anotar que por fin entiendo cómo se bifurca la palabra naturaleza entre los griegos y romanos. Si los primeros conferían a la palabra "Physis" el significado de "leyes primigenias" o "principios fundantes del movimiento físico", los segundos traducen la palabra como "Natura" para referirse a los objetos que nacen, que se conciben.
Libro piacevole di cui consiglio la lettura. Il libro si articola in 8 capitoli, probabilmente il titolo è un po' fuorviante perchè solamente negli ultimi due capitoli si affronta veramente il concetto di "Fitopolis", il lettore rimane infatti in attesa fino alla fine di capire cosa intenda veramente Mancuso con questa idea e personalmente avrei preferito che fosse approfondita maggiormente, dando maggiori spunti concreti su come applicare questo modello di città verde sostenibile.
Nonostante questo ho trovato la lettura interessante e mai banale. Mancuso ci descrive la città come un vero e proprio ecosistema urbano, un'entità dotata di un proprio metabolismo (ed è proprio su questo che dovremmo agire per ridurre l'impronta ecologica delle città), sottoposta a processi evolutivi che interessano ognuna delle sue componenti (animali, vegetali e uomini stessi). La trattazione puramente teorica si accompagna a illustrazioni, esempi di città attuali virtuose e paragoni con il contesto urbano del passato.
Per Mancuso modificare i nostri sistemi urbani è un imperativo impellente di fronte ai cambiamenti a cui dovremo adattarci nei prossimi anni a causa delle modificazioni che noi stessi stiamo inducendo nel clima globale. Citando l'autore: "Ecco, quello di cui abbiamo bisogno per affrontare con maggiore sicurezza i prossimi anni sono città vegetali, generaliste, costruite secondo un'organizzazione decentralizzata e diffusa". Questo è il modello di base che Mancuso ci propone, il modello modulare e non specializzato che caratterizza le piante e che noi animali facciamo molta fatica a comprendere. Le città del futuro che descrive sono in realtà molto simili alle città del passato, con una viabilità sostenibile, in grado di assorbire l'acqua e ridurre la formazione di isole di calore, l'emissione di polveri sottili e i consumi energetici. Mancuso ci esorta quindi ad essere cittadini consapevoli, a non aspettare che le amministrazioni siano pronte a farlo, perchè non possiamo più permetterci il lusso di aspettare di fronte a quanto prevediamo da qui a brevissimo.
E allora "Io dico, semplicemente: facciamolo. Lo ripeto non vedo alternative, va fatto. E prima lo si fa e meglio è."
Molto probabilmente non sono il lettore target giusto per questo libro, dato che sposavo già la tesi principale del saggio prima ancora di leggerlo, ma ciononostante non l'ho trovato né convincente né particolarmente piacevole da leggere.
I primi 5 capitoli sono un excursus sull'evoluzione, sull'organizzazione delle città, in cui vengono citati esempi e dati e ricerche ma senza un chiaro intento, più di una volta mi sono trovato a chiedermi "E quindi?". Ho proseguito nella lettura, sperando che tutte queste nozioni (alcune molto molto interessanti, altre non particolarmente) fossero propedeutiche ai capitoli finali, contenenti la tesi principale. Non è stato così.
Gli ultimi capitoli possono tranquillamente essere letti slegati dai precedenti, ed inoltre potrebbero essere condensati in forse un unico capitolo, rendendo questo libro più che altro un articolo su un periodico di divulgazione scientifica. Diversi passaggi mancano di profondità, alcune idee e/o osservazioni sono fatte en passant senza approfondimento. Inoltre, manca completamente un'analisi sociale ma sopratutto economica del grande cambiamento che viene proposto. Purtroppo, pur sposando completamente la visione dell'autore sul fatto che proseguendo su questa strada si distruggerà il mondo e la vita, l'aspetto economico non può essere trascurato, in quanto è ciò che veramente può fare breccia nella visione di una buona parte della popolazione.
9! E' un interessante saggio ricco di informazioni. E' un messaggio da diffondere per aumentare la nostra consapevolezza. Siamo arrivati ad un punto critico per la sopravvivenza del nostro pianeta. Se continueremo a far finta di niente gli effetti del riscaldamento globale produrranno danni irreversibili. Siamo così entrati in una nuova era geologica denominata appunto “Antropocene”, in cui con il termine “anthropos” si intende rimarcare il peso dell’agire umano. Una critica, quindi, all’antropocentrismo e una nuova prospettiva. Le città del futuro, siano esse costruite ex novo o rinnovate, devono trasformarsi in fitopolis, luoghi in cui il rapporto fra piante e animali si riavvicini al rapporto armonico che troviamo in natura. La specializzazione di una specie è efficace soltanto in un ambiente stabile. E’ necessario quindi abbandonare il modello gerarchico e specializzato delle città, dobbiamo rientrare all’interno del processo naturale le nostre città devono tornare ad essere verdi e diffuse, , e dobbiamo farlo subito. "L'impatto sul pianeta di un cittadino e' quello di un primate di 15 tonnellate. 25 Megapoli sono responsabili dell'emissione del 50% del gas serra"
Mancuso tiene la facilidad de hacer argumentos simples sobre cuestiones complicadas. La embarullada situación actual de las ciudades (que solo se ha prolongado 12.000 años) obedece a una lógica animal: la del movimiento permanente. Seremos mas de 10.000 millones como especie en pocas décadas. Lo que induce escaseces de todo tipo, y aumento masivo de las temperaturas. Y seguimos pensando que no hay límites. Frente a la catastrofe inminente, el autor propone cambiar nuestras estrategias: de lo animal a lo vegetal, del movimiento perpetuo a la reducción de los desplazamientos. Revegetemos las ciudades, plantemos millones de árboles, transformemos los edificios y permeabilicemos los suelos. Todo para paliar el aumento de las temperaturas que harán inhabitable gran parte del planeta. No nos quedará mas que emigrar masivamente a los nortes.
Di nuovo un capolavoro di Stefano Mancuso, come lo è stato ‘Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale’: https://www.goodreads.com/review/show..., il che avevo letto nel 2018. Mi stupisco di averlo dato allora soltanto 3 stelle. Oggi l’avrei dato 5.
Le idee di Mancuso in questo libro, già rivoluzionarie per me nel precedente accennato sopra e pubblicato nel 2013, si basa nel fatto di porre la questione di se veramente ‘L’uomo è la misura di tutte le cose’. Le piante conformano al di circa del 87% della vita, mentre tutti gli animali insieme un misero 0,3%. Per farsi una idea, soltanto i funghi sono presenti sulla Terra 4 volte di più degli animali (1,2%). Inoltre, sappiamo che senza le piante non c’è vita umana. Quindi, mettere l’uomo nella cima della piramide di Ernst Haeckel è quanto meno discutibile. Non è che il pianeta Terra sia piuttosto il pianeta delle piante e non degli esseri umani? Su questa idea di base, l’autore spiega come le città sono state sviluppate a immagine e somiglianza dell’uomo per soddisfare in esclusiva le sue necessità, fra l’altro togliendo tutto il verde che dà fastidio, il che chiaramente va contro la vita di noi stessi. Il modo in cui nel libro si svolge questa teoria è molto convincente e ben strutturato. Mancuso difende che la città sia un ecosistema in rapida evoluzione dovuto all’intenso intervento dell’uomo. Siccome questo ecosistema ospita oggi piu del 50% della popolazione mondiale (anche se copre soltanto un 3% della superficie emersa), faremmo bene a non sottovalutare le decisioni architettoniche che si prendono. Una città dev’essere concepita come un ecosistema e di conseguenza considerando al primo posto ciò che serve alla vita: Quali temperature, quali livelli d’isolamento della luce del sole, quali livelli di umidità, quali soglie di rumore, ecc. sonno più adatte a preservare la vita. Tutto questo prima. Poi come adattare i fabbisogni degli uomini: Distanza dai luoghi residenziali al posto di lavoro, dove mettere l’aeroporto, le scuole, come fare le vie e le strade, ecc. Le città hanno crato un ecosistema tale che oggi Firenze e San Petersburg si assomigliano di più fra di loro di quanto Firenze e la sua campagna attorno. Gli esempi nel libro sono innumerevoli di come specie animali hanno cambiato in tempi record persino i suoi codici genetici per adattarsi all’ecosistema delle città, fin il punto che ad esempio lo stesso tipo di rate a New York si siano evolute in modo diverso a seconda il quartiere in cui abitano, dovuto alle diverse condizioni dell’intorno. Un altro esempio interessante sono le zanzare che abitano nella metropolitana di Londra. Abituate a vivere all’aria aperta, hanno cambiato notevolmente per adattarsi all’ambiente sotterraneo di una metropolitana. Un altro concetto interessantissimo e quello del ‘metabolismo urbano’. Mentre le piante hanno un metabolismo molto efficiente (rapporto fra quello che ingeriscono, la energia che rilasciano o consumano ed i rifiuti che producono) und città ha un rapporto disastroso. Il concetto di esseri autotrofi (le piante) ed eterotrofi (gli animali) è anche molto spiegativo di quello che Mancuso definisce come ‘Impronta ecologica’ di una città, cioè, la superficie necessaria per generare i risorsi che servono a mantenere una città ed i suoi cittadini in vita. Soltanto un esempio: Roma ha bisogno della superficie di tutto il sud della Italia. Di tutta la superficie terrestre, oggi il 10% è ghiaccio, il 19% sterile (rocce, deserto, ecc.) e di tutto il rimanente, il 50% è utile per l’agricoltura. Di questo 50% coltivabile, utilizziamo il 77% per l‘allevamento dei bestiami (che producono il 18% delle calorie consumate da noi uomini) e soltanto un 23% per la produzione di alimenti vegetali. Un ultimo concetto interessantissimo e finalmente un ultimo appunto: il concetto è quello di ‘metabolismo biologico’ e ‘metabolismo sociale’. Un cacciatore-raccoglitore nella preistoria consumava al di circa di 300W per vivere (la vita era sopravvivenza), un essere umano oggi negli Stati Uniti 12.000W (la vita viene goduta con cose superflue). L’ultimo appunto è il riferimento che Mancuso fa alla caratteristica che distingue all’uomo dalle piante, cioè, la capacità di spostarsi. Ogni volta che l’uomo ha difficoltà a adattarsi all’ambiente, e tante volte per averlo rovinato lui stesso, si sposta. Lo stesso accade da fronte alle difficoltà: non ha pazienza a sviluppare contromisure a lungo termine. La azione più facile e più veloce e quella di spostarsi. Le piante non hanno questa caratteristica e non ostante sopravvivono lo stesso sviluppando contromisure più resistenti a più durature. Morale: dobbiamo osservare di più le piante ed imitarle.
Per non stendermi fin l’infinito con questa recensione vorrei soltanto dire che questo libro è un libro da studiare e che al mio avviso, dovrebbe essere di lettura obbligata nella scuola media.
En aquest assaig l'autor posa sobre la taula la crisi ecològica des d'una perspectiva original. El procés de concentració de la població humana en grans ciutats, posa molta pressió sobre el seu disseny per tal que contribueixin a pal·liar el problema. Les propostes que es fan en aquest llibre són agosarades i, a vegades, sorprenents. Tornar les calçades als ciutadans foragitant-ne els vehicles? Per què necessitem moure'ns en cotxe dins de les ciutats? Quines alternatives hi ha? Més recomanacions de llibres al blog «Mirades»: https://agorafrancesc.wordpress.com/l...
Libro interessante che apre gli occhi non solo sulla necessità di trasformare le città in un luogo ricco di spazi naturali, ma che fa capire quanto la situazione sia attualmente disastrosa, soprattutto in relazione ai cambiamenti climatici che stiamo vivendo. Ho trovato molto coinvolgenti gli ultimi capitoli, soprattutto quelli sulla città diffusa e su come sono cambiate le città nel corso dell’ultimo secolo. Ho apprezzato l’ottimismo dell’autore in relazione al futuro delle città, ma purtroppo non lo condivido… In ogni caso, resta un testo che molti amministratori di città dovrebbero leggere e rendere pratico.
Libro sicuramente interessante, apprezzo sempre molto le note bibliografiche copiose e dettagliate. Gli ultimi capitoli andrebbero approfonditi meglio anche perché di quello si parla, o meglio, approcciandomi a un titolo del genere mi sarei aspettato una trattazione più approfondita sul come rendere le città più verdi e più simili nell'architettura all'impronta vegetale. Questo non avviene o almeno non mi ha soddisfatto pienamente. Approfondirò autonomamente attraverso la bibliografia che l'autore suggerisce.
Libro scorrevole e quanto mai necessario, andrebbe letto nelle scuole per favorire una sensibilizzazione su questo tema. Ho trovato particolarmente interessanti i capitoli finali in cui si affrontava effettivamente il tema di come le città possono adattarsi i cambiamenti climatici, mentre alcuni capitoli centrali mi hanno dato l'impressione di essere un po' dispersivi, nonostante le nozioni ed i concetti forniti facilitano e supportano ulteriormente la tesi centrale del libro. Nel complesso mi è piaciuto molto e lo consiglierei.
è sempre interessante leggere Mancuso, perché insegna molto. Ho trovato i primi capitoli un po' ripetitivi di concetti che esprime anche in altri suoi libri. Si concentra sull'apportare argomentazioni alla prova del fatto che l'uomo empatizza molto più facilmente con esseri suoi simili rispetto che con le piante, e ho trovato il tono leggermente petulante. Ho preferito di gran lunga conoscere la sua idea di città del futuro, che si avvicina molto al mio ideale di città, e scoprire tante piccole curiosità e idee su l'architettura e l'urbanistica di cui ero completamente all'oscuro.
Dan 4 sterren omdat ik het dan mss niet met alles eens ben in het boek , Hoewel de meeste cijfers het verhaal van de schrijver goed benadrukken , Dan toch 5 sterren omdat het boek anders was dan ik had verwacht ( ik dacht dat het wat meer over planten in een stad zou gaan ) maar het heeft me positief verrast met leuke informatie , en de schrijver geeft een soort positieve, goede sfeer , wat leuk is in donkere dagen , 5 sterren een boek met cijfers die doen nadenken , wat willen we morgen , wat binnen 30 jaar ,
Finalmente un libro di saggistica necessario e interessante. Comprende molti argomenti, l’idea finale può risultare banale ma ci si rende conto invece di essere fondamentale al tema. Unica pecca, a metà libro si ha la sensazione di star uscendo fuori tema, e non si comprende mai se il libro sia più improntato all’urbanistica o alla biologia. Ogni tema affrontato però è cruciale per comprendere la natura stessa delle città soprattutto a livello sociale e scientifico evolutivo.