L'ora che non ha piú sorelle è l'ultima ora della vita e l'ora del vivere che diviene l'ora del morire. Sono scelte che nascono nel mistero di decisioni lontane, o vicine, lente, o rapide, nel loro nascere e nel loro svolgersi.
L'ora che non ha piú sorelle è l'ultima ora della vita, quando l'ora del vivere diviene l'ora del questa è la bellissima straziante immagine di Paul Celan, uno dei grandi poeti di lingua tedesca, e non solo del secolo scorso, che sceglieva di morire nelle acque della Senna. Sono cose nascoste nel segreto del cuore di una persona. Nella donna soprattutto le emozioni si modulano e si modificano in una stretta correlazione tematica con l'ambiente in cui si vive. Sono emozioni nobili e altere, liquide e sensibili alla accoglienza, o al rifiuto, da parte degli altri. Sono emozioni fragili nella misura in cui, nei loro bagliori, sono facilmente esposte al pericolo di essere ferite, di essere piú facilmente straziate da contesti ambientali freddi e indifferenti, che destano con maggiore facilità dolorose risonanze interiori, e lasciano cicatrici insanabili. L'ora che non ha piú sorelle è un lavoro sul suicidio femminile in particolare, sulla sua fenomenologia e sulla sua dimensione umana, perché al giorno d'oggi ha ancora senso riflettere su questo tema bruciante e straziante.
Non l’ho terminato ma non penso che cambierò opinione. Personalmente lo trovo un libro senza ne arte né parte, l’autore è fissato con Antonia Pozzi, la infila anche quando non è necessario e non conosce l’uso dell’apostrofo rendendo la lettura piena di intoppi e cacofonie. Ricco di ripetizioni “gentilezza, fragilità, gentilezza…gentilezza” usate a sproposito, come la continua ripetizione “suicidio femminile in particolare” È un libro che sostanzialmente non dice assolutamente nulla…parole parole ma di fatto non c’è un senso alcuno!
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“[…] Questo è avvenuto in Antonia Pozzi: la nostalgia della morte era in lei, già nella adolescenza, nutrita delle domande temerarie sul senso del vivere e del morire. Leggendo le sue poesie, i suoi diari e le sue lettere, non è possibile non confrontarsi con il destino di vita e di morte, di immaginazione creatrice e di dolore, che ha unito la esperienza lirica e umana di Antonia Pozzi a quelle di Marina Cvetaeva, e di Sylvia Plath. Destini femminili, sigillati dai bagliori della ispirazione poetica e della ricerca della morte, segnati dalla distrazione e dalla noncuranza, dalla indifferenza e dalla solitudine, che si sono accompagnate alla loro vita.” pp. 46-47