Con questo libro, apparso nel 1864, affiora e si disegna uno spazio innominato della letteratura e dell’ il sottosuolo, luogo di tutto ciò che la coscienza tenta vanamente di accantonare. Ed è come l’improvviso emergere di un nessuno, dopo averlo esplorato, riuscirà più a dimenticare la voce stridula, penetrante, spudorata che parla in queste pagine e pone domande che fanno ammutolire. Siamo davvero «convinti che soltanto il normale e il positivo, insomma soltanto il benessere, sia vantaggioso per l’uomo? Che non abbia a sbagliarsi, la ragione, a proposito di codesti vantaggi? Non sarebbe poi possibile che all’uomo non piaccia soltanto lo star bene? Che gli piaccia anzi altrettanto la sofferenza? Che lo star male gli sia di vantaggio giusto quanto lo star bene?». Difficile pensare a un testo più congeniale a Landolfi, che su di esso ha dato una prova magistrale della sua arte di traduttore.
L'uomo del sottosuolo non ha nome perché è parte di ciascuno di noi. O almeno di me e me ne vergogno. Di voi non so, d'altronde "io son poi da solo e voi siete tutti". Nel suo angolino ritirato dal mondo si dibatte convulsamente per vivere in maniera autentica, ma più scava più le contraddizioni e le brutture del sottosuolo condizionano la sua esistenza e invidia, rancore, superbia e malignità oscurano il cielo. L'inferno saranno pure gli altri, ma anche vivere con se stessi non è uno scherzo e Dostoevskij ce lo ricorda. Questo libretto fatto di confessioni dal profondo appare come uno specchio in cui riflettersi e uscirne non migliori ma certo più consapevoli
Ricordi dal sottosuolo è un romanzo diviso in due parti. Nella prima, il narratore, protagonista del libro, espone delle sue considerazioni personali da cui è possibile delineare un profilo interessante. Nella seconda, vengono raccontate delle esperienze della vita del protagonista in cui lui si impegna a non mentire e a riportare i suoi pensieri senza modificarli.
Come molti personaggi di Dostoevskij, il narratore del libro è in continuo conflitto e non è coerente con se stesso; inoltre spesso è mosso da motivi irrazionali che lo fanno sembrare un vero e proprio pazzo. Egli è attratto dal dolore tant’è che avverte una vera e propria voluttà direi oscura e misteriosa nel provare dolore. Costante è l’odio verso il mondo circostante e il prossimo, che sembra però scaturire da un invidia intrinseca e da una sensazione di essere costantemente escluso da tutto e tutti.
I processi mentali da psicopatico che attraversano il cervello del protagonista sono riportati con un’esattezza incredibile e molti ragionamenti quasi scontati sono descritti con una precisione veramente paurosa. La stile risulta inoltre molto fluido e scorrevole, molto piacevole da leggere.
Non riesco a dire troppo su questo romanzo perché è davvero strano e il protagonista è un personaggio molto irrazionale che difficilmente rientra nei canoni classici o si può sottoporre sotto una definita categoria di persone o personaggi. Spesso si contraddice da solo, cambia opinione nel giro di poco tempo e si inganna perfino sulle sue stesse opinioni.
Tuttavia il romanzo risulta completo e scorrevole, capace di stimolare la mente in un modo unico tipico di Dostoevskij e della letteratura russa. Non c’è una parte che si legge male, sarebbe stato bello ascoltare altre storie del protagonista. Consiglio a tutti gli amanti della letteratura russa o coloro che cerchino una lettura diversa, macabra e orrida.
4.5 stelle Bellissimo se non fosse per le ultime 30 pagine che mi hanno annoiata molto x il resto metà del libro è la trascrizione dei miei pensieri we <3 that
Nella prima parte Dostoevskij scava dentro la coscienza: tutto è contraddizione, dolore pensato. Nella seconda, quella stessa coscienza si sporca di vita e fallisce miseramente tra rancori, umiliazioni e sentimenti negati. Il risultato è un viaggio spietato nell’intelligenza che divora sé stessa poiché la vita, quella vera è mettersi a nudo con le proprie fragilità per non cadere vittime dei nostri pensieri.
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