Londra città aperta. È la sua forza e la sua maledizione. Aperta e cosmopolita, con una popolazione multietnica che la connette ai quattro angoli del pianeta; aperta agli affari e all'Europa, come insistono i suoi sindaci pre e post Brexit; e aperta ai flussi della finanza globale e agli investimenti immobiliari di miliardari felici di parcheggiare i loro soldi in una grande metropoli di lingua inglese, dove lo stato di diritto e leggi clementi garantiscono loro anonimato e sicurezza – per non parlare del glamour. E così le case più esclusive della città finiscono in mano a superricchi stranieri, i «solo» ricchi si accontentano di un gradino più basso, subentrando ai benestanti e spingendo sempre più in fuori tutti gli altri, in una reazione a catena che inasprisce una drammatica crisi abitativa dovuta alla carenza di da decenni Londra attira nuovi abitanti, ma non costruisce le case per ospitarli. Il caro-affitti strangola non solo la popolazione a basso reddito, ma anche tutto quello che rendeva la città una vera gallerie, teatri, locali, ristoranti. E poi ci sono gli choc esterni, il triplice colpo di crisi finanziaria, Brexit e pandemia che avrebbe abbattuto qualsiasi città, ma che per Londra, centro di scambi e commerci, punto di incontro dell'umanità, è stato un affronto personale, ad civitatem. Eppure Londra sopravvive e, in angoli inaspettati della sua vastità, lontano dal richiamo turistico di Buckingham palace, nelle comunità sudasiatiche a due passi da Heathrow, dove seconde, terze generazioni creano generi musicali che diventano globali; nei campi di calcio della Londra Sud nigeriana, dove crescono i talenti della nazionale inglese; nelle gallerie che nascono in zone periferiche, dove artisti un tempo poco considerati vengono riscoperti e rivalutati; nei ristoranti fuori dai confini porosi del centro, dove mescolanze e combinazioni inedite vengono testate prima di diventare nuove tendenze. E nell'eterna girandola di quartieri che si atrofizzano di gentrificazione (una parola, se non un fenomeno, inventata a Londra per Londra) e altri che diventano insospettabili centri di creatività, Londra respinge e accoglie, cambia e si trasforma. E, fedele a se stessa, rimane aperta.
Emilia Lodigiani fonda Iperborea nel 1987 con il preciso obiettivo di far conoscere la letteratura dell'area nord-europea in Italia. Una produzione di altissima qualità, che spazia da classici e premi Nobel, inediti o riproposti in nuove traduzioni; a voci di punta della narrativa contemporanea. Oltre ai paesi scandinavi (Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia), Iperborea pubblica la narrativa dell'area nederlandese, estone, islandese (incluse le antiche saghe medioevali) e dal 1998 una collana di saggi letterari per offrire al lettore spunti di approfondimento. Nel 2010 lancia una nuova collana di gialli, "Ombre", alla base della quale rimangono le scelte che caratterizzano da sempre l'editore: l'attenzione alla scrittura, ai temi etici, sociali e politici del nostro tempo.
“Londra non ha mai offerto a nessuno una versione da sogno della vita come, ad esempio, fa New York. New York diceva: "Vieni e tutte le tue fantasie diventeranno realtà, qui chiunque può partire dal nulla e farcela." Londra non l'ha mai detto perché Londra non mente.”
“Corvi nella Torre di Londra: 7 (nel 2024). La leggenda dice che con meno di 6 la Torre, la Corona e tutta la Gran Bretagna cadranno.”
Per qualcuno che è vissuto a Londra per tanto tempo, ma è mancato negli ultimi anni, questa guida di Iperborea echeggia cupa, malinconica e allo stesso tempo cristallina. Ne esce un quadro di una Londra brutta, ferita, impoverita di denaro, arte e creatività, ma in cui i londinesi e le londinesi, provenienti da continenti, città e ceti sociali diversi, continuano a lottare per un ideale che non tramonta: Londra come città della libertà, delle speranze, del futuro.