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240 pages, Paperback
Published September 20, 2024
Sono numerosi i gruppi congiunti che in questi ultimi mesi hanno manifestato la loro contrarietà a quanto accade. Ne citerò soltanto due. Il primo è Una terra per tutti (Eretz le-kulam, Balad li'l jamih', rispettivamente in ebraico e arabo]. La loro idea di fondo è che non si possa più prescindere dalla parità di diritti per tutti coloro che vivono nello spazio tra il Mediterraneo e il Giordano, e pertanto propongono una soluzione di coabitazione tra ebrei e arabi con modalità da individuare in maniera innovativa. Il secondo è Schierati insieme ['omdim be-iachad, nafiqu ma'an, rispettivamente in ebraico e in arabo], uno dei cui slogan post-7 ottobre è: «lo supereremo insieme». Il punto di partenza di questa associazione è la consapevolezza che «la maggior parte delle persone desidera vivere in una società giusta ed equa». L'obiettivo del movimento è realizzare «una società giusta ed eguale che tratti ogni persona con dignità. Una società che sceglie la pace, la giustizia e l'indipendenza per israeliani e palestinesi - ebrei e arabi. Una società in cui tutti godiamo di una reale sicurezza, di alloggi adeguati, di un'istruzione di qualità, di una buona assistenza sanitaria, di un clima vivibile, di uno stipendio dignitoso e della capacità di invecchiare con dignità». Proprio perché questo sembra un obiettivo impossibile da realizzare, il movimento chiude la propria presentazione affermando: «una società del genere è possibile: la stiamo già costruendo».
Tutte le associazioni che ho menzionato, dunque, presentano una storia alternativa a quella del conflitto costante tra israeliani e palestinesi. Emergono così una serie di gruppi che, per quanto marginali e minoritari, hanno costellato l'intera storia del conflitto, costituendo una narrazione «contrappuntistica», per usare nuovamente le parole di Maier. Nonostante le differenze esistenti tra le varie esperienze, esiste un elemento comune a tutte loro, la volontà di considerare l'altro, creare dei ponti, conoscerlo, capirlo, condividerne empaticamente il dolore. Alla base vi è l'idea che solo il riconoscimento pieno e reciproco dei legittimi diritti di israeliani e palestinesi a vivere nella stessa terra, solo l'accettazione del diritto di ciascun gruppo ad autodeterminarsi proprio su quella terra, solo la consapevolezza che esistano pari diritti alla sicurezza, all'accesso a beni e servizi permettano di costruire un futuro di pace e collaborazione. Brit Shalom parlava di binazionalismo; altri hanno sostenuto la necessità di superare il paradigma sionista, cioè l'esistenza di uno Stato degli ebrei e per gli ebrei che, per quanto si sforzi di essere democratico, non può esserlo fino in fondo rispetto alla popolazione non ebraica; altri ancora puntano a soluzioni pratiche, come l'ipotesi "due popoli, due Stati"; altri ancora, davanti al fallimento di tale ipotesi per un sempre più alto numero di politologi (Lustick 2019; Teti 2024), puntano a formule federali o confederali a partire dal principio "pari diritti per tutti coloro che vivono tra il Mediterraneo e il Giordano", come è il caso della ricordata organizzazione Una terra per tutti.
Mai come nei mesi successivi al 7 ottobre la sensazione che si sia vicini ad un punto di non ritorno è diffusa in ampie parti delle due popolazioni. Per quanto ciò susciti preoccupazione, quando non disperazione, o forse paradossalmente proprio per questa ragione, alcuni attivisti e intellettuali ritengono che si possa voltare pagina, imboccando una strada alternativa in linea con i sogni delle realtà appena descritte.
Solo il futuro lo potrà dire. Quello che nel presente si può ricordare è che, proprio perché il conflitto non è caratterizzato da un "odio atavico", i margini per una sua soluzione esistono. Basta non perdere la speranza, come non lo fanno gli attivisti e le attiviste di tutti i gruppi congiunti che esistono in Israele e Palestina.