Ostia, estate del 1994. Kamil e Beatrice, sedici e diciassette anni, tornano in Italia dalla madre dopo un anno in Polonia, dal padre. Kamil ha sentito la mancanza di Roma, la mancanza degli amici e della madre, Viola. Donna volubile, l’anno precedente ha fatto qualcosa di cui poi si è pentita, qualcosa per cui l’ex marito le ha tolto la custodia dei figli, ma adesso sembra pronta a riprendere in mano la propria vita. A Beatrice invece dell’Italia non mancava nulla, lei che a Roma non è mai stata capace di farsi delle amiche, innamorarsi. Ma l’adolescenza è un’età che riserva molte sorprese – amori, amicizie, rabbie – e tutto sta per cambiare. Kamil si rifugia nel branco, costretto a celare le sue fragilità, mostrare solo i muscoli. Beatrice si infatua per la prima volta, e di chi mai aveva trovato Nico. Odiato da Kamil, Nico ha trascorso alcuni mesi in galera per spaccio, sente che il destino che gli è stato cucito addosso, tutto dedito a droga e violenza, gli sta stretto. Ora vuole essere migliore per Beatrice, cambiare vita. Giungere in Italia da esiliati politici, passare l’infanzia in un campo profughi, essere lo straniero. Spiechowicz ne ha fatto esperienza, ma in Mentre tutto brucia sono punti di partenza. Con stile misurato, allarga il campo d’indagine alla ricerca di sé stessi e al desiderio, che in adolescenza esplodono, ai rapporti famigliari e ai primi amori. L’estate di questo romanzo è il percorso necessario a consolidarsi come adulti.
“Rimase disteso per un tempo indefinito, tramortito, si sentiva fiacco, con l’impressione che lo spazio attorno a lui fosse diventato improvvisamente saturo di miliardi di particelle. Avrebbe potuto passare le ore a contarle, a cercare di quantificarle.”
Mentre tutto brucia è il romanzo d’esordio di Paulina Spiechowicz, ambientato a Ostia, una borgata romana, nell’estate del 1994. Mentre leggevo questo libro ho pensato al film “Non essere cattivo” con i bravissimi Luca Marinelli e Alessandro Borghi
Come nel film, anche nel romanzo non c’è possibilità di redenzione. L’unica via di uscita è arrendersi a un sistema che non redime, che non perdona, che non permette il riscatto.
I due fratelli Kamil e Beatrice, polacchi mai realmente integrati in Italia, sembrano sempre a un passo da quel riscatto che non arriva mai, vittime di un sistema che nega loro l’identità, la casa, la speranza e che non sa saziare la loro fame d'amore.
Mentre tutto brucia l’ho trovato brutale e al tempo stesso poetico: neanche il mare, sempre presente sullo sfondo, sarà dare pace…
“Quante particelle c’erano nella pineta, in spiaggia, in mare, tutt’attorno? E perché non erano sparse ma si tenevano incollate l’una all’altra?”
Una storia che gira intorno al vuoto della solitudine, alla rabbia funesta che invade ogni parte e diventa distruttiva. Emerge così la ricerca estenuante e disperata di una vita diversa e migliore. I piccoli protagonisti di questa storia, così delusi ma così testardi, ci provano e riprovano. È così che la fiducia nelle seconde occasioni e nei nuovi inizi fa da scudo alle delusioni e alle cadute.
È una storia impastata di dolore ma anche di speranza che allieva le ferite e fa restare a galla. Una storia fatta di un amore acerbo, che muove i primi passi, o che semplicemente non sa come dimostrarsi e fare bene.
Questo è un romanzo di formazione potente dove a "formarsi" non sono solo i ragazzi ma anche gli adulti che dovranno imparare ad sentirsi tali.
Bello e feroce come le estati tra i 14 e i 20 anni. Le comitive, le delusioni, le prime esperienze, un sentirsi sradicati e la volontà di esserlo per creare quel punto di rottura tra età adulta e adolescenza. Il dolore forte che investe e mangia lo stomaco spingendo ad abissi profondi. Un rapporto conflittuale con se stessi, con i propri genitori salvo poi accorgersi che non si è così distanti. Un romanzo denso e trascinante.
l'incomprensione dell'adolescenza, la contraddizione di vivere due mondi e due culture e di non appartenere a nessuna delle due, le amicizie, i primi amori
Quando il vuoto è l’unico centro da cui tutto nasce e tutto finisce. È con questo movimento concentrico che i personaggi corrono nelle pagine di questo romanzo. Siamo nell’estate del 1994, siamo nell’adolescenza di quegli anni. Ci troviamo a Ostia ma risentiamo dell’impronta dei programmi in tv, delle musiche di quel tempo oramai storico, e di un paese lontano ma presente quanto un sottofondo: la Polonia.
Kamil e Beatrice, diciotto e sedici anni, fanno ritorno in Italia dalla madre Viola, psicologicamente fragile e compromessa. Se Kamil vi ritorna con tutta la nostalgia di quello che aveva lasciato, Beatrice lo fa con il bisogno di evitare quello che più la riporta al dolore, l’unica cosa che, d’altra parte, la fa sentire viva. Attorno, il gruppo: amici vecchi e nuovi, relazioni e dinamiche in cui il linguaggio e gli accenti sono il marchio di un’adolescenza dal trascorso ammaccato. Tra l’Italia e la Polonia, una Roma come grido di corpi e ferite, nucleo di scoperta e di ricerca, ma anche contenitore di irresolutezze e conti da scontare. Oltre le piscine e il sole caldo dell’estate, il campo profughi di Castel Fusano: luogo di inizio e di fine. Forse proprio il simbolo di quel vuoto da cui tutto comincia. Da cui tutto brucia e brucerà.
E sono proprio pagine di fuoco quelle che Kamil e Beatrice consumano, insieme a tutti gli altri ragazzi che connoteranno il seguito del loro esistere, con una velocità dal carattere duplice: poca profondità lasciata all’evolversi di certe dinamiche, e un certo simbolismo che solo in adolescenza è possibile. Sono soprattutto pagine di identità, tra chi cerca una redenzione e chi un rimedio, per diventare qualcosa che ancora non si sa, ma sempre a favore di una sopravvivenza sulle proprie macerie.
Paulina Spiechowicz esordisce con un romanzo vorace, che lascia fermi, di stucco, e forse, alla fine, spiazzati con sentimenti a metà. Ma fa correre, con una scrittura asciutta che non vuole girare ma semplicemente dire, affermare, imprimere, in un’estate narrata ed entrata nella mia.
Bellino, parla di adolescenti cresciuti troppo in fretta e nell’ambiente sbagliato. Il finale però non mi è piaciuto, l’ho trovato un poco frettoloso. Però una bella scrittura, incisiva e tagliente perché passa dall’italiano al dialetto romanesco e rende i personaggi più vicini. Sicuramente un buon esordio
Leggendo il romanzo, si percepisce il suo potenziale: la rabbia adolescenziale dei protagonisti appare autentica, lo sfondo di Ostia è ben delineato, l'uso del romanaccio è eccellente. Se solo qualcuno aiutasse l'autrice a rendere la narrazione più coerente e, soprattutto, a migliorare lo stile, ne sarebbe uscito un libro notevole. Purtroppo, la povera padronanza della lingua rovina la lettura. I dialoghi in romanaccio si alternano a descrizioni scritte in pessima maniera pseudoletteraria. Frasi tipo "il corpo evanescente, nonostante l’abbronzatura colasse su di lei come oro" o "una luce bianca caddesul bel viso di Beatrice e tutto il suo corpo emerse – le braccia tese, il petto in fuori – in un’apparizione celeste." sembrano uscite dalla penna di una liceale alle prime armi con la scrittura. La Spiechowicz fallisce ogni volta che tenta di descrivere lo stato d'animo dei suoi protagonisti. Un solo esempio: "Nico sapeva di aver sbagliato, la sera prima, tradendo Beatrice con Chiara, e ora cercava di star aggrappato a un ultimo barlume di raziocinio nella speranza che la vita non gli fosse scivolata via tra le mani." Infatti, si potrebbe trovare un piacere perverso nell'annotare tutti gli sfoghi kitch in cui il romanzo abbonda. Detto questo, il libro non è peggiore di molti altri presenti sul mercato, che presentano la stessa immaturità linguistica.
Kamil e Beatrice sono fratello e sorella. Dopo un anno trascorso a Varsavia dal padre tornano a Ostia dalla madre per trascorrere l’estate. Siamo nei primi anni Novanta.
Viola, anche se ancora in cura, sembra finalmente guarita dopo quel tragico “incidente” che tutti ricordano e a causa del quale Kamil e Beatrice sono dovuti andare a vivere con il padre. Ora sembrerebbe pronta per poter badare ai suoi figli, ormai adolescenti.
Kamil non vede l’ora di tornare a vivere dalla madre, di tornare in Italia dai suoi amici, dal suo branco, come lo chiama lui. Beatrice invece non vorrebbe tornare. Vorrebbe rimanere in Polonia, per lasciarsi tutto alle spalle, madre e amicizie italiane comprese.
Kamil è ribelle, istintivo e molto legato alla figura materna, quasi ossessionato. Beatrice invece è diversa, più sfuggente, solitaria e soprattutto qualcosa nel rapporto con la madre è cambiato, si è spezzato.
L’estate che vivranno sarà un’estate travagliata, impulsiva, violenta ma soprattutto rovente. Tra nuove amicizie e nuovi amori, i due ragazzi vivranno portandosi addosso il peso degli errori dei genitori, arrivando così a crescere e a cambiare forse troppo in fretta.
L’autrice con questo esordio ci regala una storia di identità e di appartenenza, di rabbia e di solitudine ma anche di fratellanza e accoglienza.
La scrittura è scorrevole e coinvolgente, nonostante la maggior parte dei dialoghi siano in romanesco (espediente narrativo che forse va un pò a rallentare il ritmo per chi non conosce bene quel tipo di dialetto).
Una lettura piacevole. Un’autrice da tenere d’occhio.
a me è inutile piacciono i libri così un po’ sporchi malinconici inconcludenti e irrimediabilmente tristi. Questo libro è un tunnel triste, alla cui fine non ci è concessa la famosa luce, ma solo l’uscita, che non è detto porti a una strada meno tortuosa di quella che abbiamo lasciato all’entrata. Difficile definirlo romanzo di formazione perché a parer mio troppo breve. Comunque bello.