Zsigmond Danielovitz, incaricato di indagare sul cadavere di un’anziana contadina, è un uomo indebolito dalla guerra, ma vigile. E così ci mette poco a scorgere, dietro gli occhi degli abitanti di Nagyrév, qualcosa di sinistro. Nagyrév è un piccolo villaggio sperduto nella pianura ungherese, l’anno è il 1929 e il benessere, in quella ristretta comunità rurale, non arriva. Zsigmond Danielovitz si rende presto conto che la morte della donna sulle sponde del fiume Tibisco non è che l’anello di una lunga catena di scomparse e incidenti che da tempo coinvolgono il piccolo villaggio. La levatrice di Nagyrév racconta un fatto di cronaca realmente avvenuto tra le due guerre mondiali, un episodio che sconvolse l’Europa non solo per l’efferatezza dei crimini, ma anche per un inedito capovolgimento dei le donne uccidono gli uomini, si vendicano. Superstizione, violenze, miseria e soprusi sono i protagonisti delle vite che si incrociano in questo affresco rurale, dove a fare le spese di appetiti e frustrazioni sono sempre le donne. Le regole patriarcali della comunità magiara e le meschinità dell’animo umano creano situazioni insostenibili e sofferenze ingiustificabili per mogli e figlie, anziane e ragazze. Personaggio chiave, intorno al quale girano le storie di Nagyrév, è la misteriosa Zsuzsanna, levatrice dal passato fumoso, spesso etichettata come «strega» dai suoi concittadini, temuta e, ogni tanto, rispettata, una figura carismatica, rarissimo esempio di donna emancipata, cui molte «sorelle» chiedono aiuto per risolvere i guai che hanno dentro gravate da inganni, stupri e sottomissioni, le vittime hanno deciso di alzare la testa. Gli avvenimenti che ebbero luogo a Nagyrév, mostrando gli orrori di cui è capace la vita domestica e le forme di resistenza alle sopraffazioni di genere, possono essere una finestra utile, e dolorosa, per capire il presente.
Una storia che trae spunto su un fatto di cronaca realmente accaduto, e questa è sicuramente la parte più interessante del libro.
Libro che scorre molto bene, ma che ora della fine non mi ha trasmesso grandi emozioni, il che è anche strano visto che leggiamo di violenze e maltrattamenti ma tant’è.
C’era poi bisogno di questa pseudo storia d’amore tra il poliziotto e la levatrice? Io non capisco perché ogni volta - o comunque molto spesso - i due personaggi principali debbano per forza andare a letto insieme o perché per forza ci debba essere attrazione sessuale. In questo romanzo davvero non ce n’era bisogno, poteva stare benissimo in piedi da solo. Vabbè. Quindi direi libro nella media. Interessante per i fatti storici di cronaca nera e si fa leggere bene, ma nulla di più.
[Farei un appunto anche sulla copertina fatta con l’AI. In casi futili come questo aborro l’utilizzo dell’AI considerando l’impatto ambientale che comporta.
Inoltre ci sono illustratori e illustratrici che sanno fare questo lavoro e lo sanno fare molto meglio di così. In questo specifico caso la copertina non c’entra nulla con il contenuto. La levatrice ogni 3x2 è descritta con i capelli corvini e gli occhi altrettanto neri ed è sempre vestita di nero. Qui è addirittura bionda (!!) con gli occhi nocciola (!!) e ha un vestito di un bel blu acceso (!!). Inoltre sembra una donna angelica e sembra addirittura stia sorridendo. Manco a dirlo che la levatrice del libro non sorride praticamente mai e ha uno sguardo cupo, quasi assassino. Com’è possibile avere una copertina del genere? Com’è possibile non pagare dei professionisti per fare un lavoro migliore di così?
E il libro costa forse meno del solito visto che sono stati risparmiati i soldi per non aver assunto dei professionisti? Ovviamente no. 19€ per un libro in flessibile con una copertina fatta dall’AI.]
"La levatrice di Nagyrév" è un romanzo storico di Sabrina Zuccato, edito dalla casa editrice Marsilio nel 2025.
La vicenda si dipana su due piani temporali e ha inizio nel1929, quando la tranquillità della piccola comunità, che abita lo sperduto villaggio ungherese, viene sconvolta dal ritrovamento del corpo senza vita di un'anziana donna. Il cadavere nudo è adagiato sulle sponde del fiume Tibisco e appartiene a Julianna Antal, madre della donna che tutti definiscono Anna la lurida, l'emarginata, colei che incute timore e il cui nome nessuno ha il coraggio di pronunciare, perché il solo farlo a bassa voce "avrebbe potuto accentuare la maledizione che da tempo gravava sul villaggio".
Zsigmond Danielovitz, capitano della gendarmeria della contea, giunge sul posto per indagare. Reduce della Grande Guerra, il capitano si immerge nell'atmosfera cupa del piccolo villaggio, dove la povertà, la paura e le superstizioni sono profondamente radicate ed è difficile penetrare il muro di omertà che lega in modo particolare le donne.
"Quel villaggio sperduto tra il nulla e l'addio era sotto la giurisdizione della sua gendarmeria, tuttavia il capitano non vi aveva mai messo piede, perché contava solo poche anime che mai avevano chiesto il suo intervento [...] Se tre miseri alcolizzati con la pelle scottata dal sole erano saliti su un carro per venire a parlare con lui, doveva per forza trattarsi di una faccenda seria".
In poco tempo l'uomo individua la causa della morte di Julianna Antal e il colpevole della stessa, ma alcuni messaggi anonimi suggeriscono che ci sia molto altro nascosto nelle coscienze degli abitanti di Nagyrév. È giunto il momento di portarlo alla luce, di qualunque cosa si tratti!
" Io credo in Dio, ma anche nella presenza del male. E vi avverto: il demonio esiste ed è di casa a Nagyrév".
Attraverso lunghi flashback, l'autrice scava nella vita di ogni donna di Nagyrév, rivelando al lettore le loro più intime sofferenze, i segreti, la solitudine, i rancori, le dicerie, le violenze subite. Su di loro incombe la figura (benigna o maligna?) di Zsuzsanna Fazekas, la levatrice di Nagyrév. Ammaliatrice, fredda, ambigua e onnipresente, la donna conosce ogni segreto del piccolo villaggio e, grazie alla figura sempre avvolta da abiti neri e allo sguardo gelido, riesce a incutere terrore e a imporre il silenzio.
"La levatrice di Nagyrév" è un romanzo basato su fatti veri e documentati, con una trama interessante e appassionante, in cui l'atmosfera cupa e, a tratti, angosciante risulta suggestiva ed essenziale. L'inizio contiene tutti gli elementi del giallo, ma si tratta solo di un punto di partenza per riflettere su argomenti di primaria importanza, quali shell shock, guerra, emarginazione ed etica. I due piani temporali sono ben combinati tra loro, la scrittura risulta impeccabile ed efficace in ogni momento della narrazione e i personaggi vengono rappresentati a tutto tondo. Una prova narrativa, quella di Sabrina Zuccato, che risulta ben più che convincente.
Questo bel romanzo Noir di Sabrina Zuccato racconta un inquietante fatto di cronaca realmente accaduto in Ungheria, a cavallo delle due guerre, nello sperduto villaggio di Nagyrèv. Ma la lunga scia di morte si estenderà ben presto anche ad altre cittadine della stessa contea. Nagyrèv è un villaggio di contadini in cui domina la mentalità patriarcale che costringe le donne a sposarsi con uomini che non amano, spesso violenti, dai quali subiscono soprusi e umiliazioni di ogni tipo. Molte di queste, soprannominate le streghe di Nagyrèv, troveranno il modo di vendicarsi grazie alla figura della levatrice Zsuzsanna. La chiave Noir per raccontare questa incredibile e inquietante vicenda è molto efficace non solo per il fatto più ovvio che si parla di crimini ma soprattutto perché fornisce alla personalità di chi agisce dalla parte del male maggiori sfaccettature che rende la linea di demarcazione con ciò che è ritenuto il bene molto labile.
Un ottimo libro per godersi una lunga serie di vendette femminili. Non un granché dal punto di vista storico: inventa fatti dove non è assolutamente necessario. Fondamentalmente, l'autrice interpreta la responsabile come una criminale con delirio di onnipotenza. Sarebbe stato ben più interessante se fosse stata un'ispirazione luciferina: non esistono uomini innocenti in una società del genere.
Questo romanzo mi ha rapita! La storia romanzata che avvolge di mistero la figura di Zsuzsanna, si basa su un fatto di cronaca realmente avvenuto tra le due guerre. La superstizione impegna i personaggi che sono figli del livello culturale delle zone rurali, rudi e violenti. Lo stile dell’autrice è ricercato, capace di evidenziare i tratti più crudi e duri, ma anche di ammorbidire i momenti più aulici. Mi ha davvero sorpreso!
Ho trovato la scrittura di questa autrice fredda, non lascia spazio al calore delle parole. La storia in sé, però, merita veramente molto, sono contenta di non averlo abbandonato dopo le prime pagine.
Nel 1929 a Nagyrev, in Ungheria, il ritrovamento del cadavere di una donna innesca un’indagine che porterà a galla una serie di morti sospette nel corso di vent’anni circa. Il romanzo si ispira a un fatto di cronaca realmente accaduto in quegli anni in cui il ruolo delle donne, da sottomesso e succube, si ribalta: stanche di subire violenze, soprusi, miseria e cattiveria, troveranno il modo di vendicarsi. La trama si dipana tra presente e flashback che permettono di ricostruire le vite delle donne di Nagyrev, soffermandosi su ciò che subiscono ogni giorno e sui loro sentimenti più intimi. Lo stile narrativo è accattivante, utilizzando un tono crudo e a tratti sconvolgente, evidenziando in modo puntuale anche il contesto storico e rurale dell’epoca, per il quale l’autrice si è documentata a lungo. L’uso di vocaboli e frasi a volte desuete a arcaiche è consono al periodo trattato e rende l’atmosfera ancora più suggestiva. Il racconto mi ha stregata: fin dalle prime battute mi sono immersa nell’atmosfera cupa, quasi gotica, e nelle storie disperate e apparentemente senza via d’uscita delle protagoniste. Una vicenda che non conoscevo e che mi ha coinvolta fino all’epilogo, che non ha deluso le mie aspettative. Un ottimo romanzo che da un accadimento reale ha avuto uno sviluppo perfetto e un finale concreto. Ve lo consiglio.
Bellissima storia, davvero intrigante. In alcuni tratti è duro da leggere, per le crudeltà che vengono narrate, ma la storia e il ritmo con cui è raccontata, fa venire la voglia di andare avanti. Non viene tralasciato alcun particolare al caso. Interessanti le ultime pagine, in cui si spiegano le fonti e la verità della vicenda.
Romanzo storico che mi ha preso fin dalla prima pagina. Questa storia, che tratta anche di un fatto realmente accaduto, viene analizzata nei minimi particolari per quanto riguarda i personaggi. Sopratutto il poliziotto, che ha ancora ricordi bui della Prima Guerra Mondiale, riesce a non farsi trascinare da quello che accade nel piccolo villaggio dove è stato chiamato.
Anche ***1/2 Libro complesso, su argomenti mai come oggi attuali: aborto, eutanasia, situazione femminile. Perché in fondo la levatrice più che praticare, oltre che gli aborti, l'eutanasia, è una sorta di "vendicatore mascherato" dei soprusi maschili sul genere femminile. Un po'...eccessiva forse, ma al tempo - e da quelle parti (non che in Italia le cose fossero meglio, eh!) ho paura che quello fosse l'unico strumento di salvezza o quasi. E questo è ben spiegato nel corso del libro, direi Molti spunti interessanti - e la scrittura mi pare molto buona. Consigliato.
Gli ordini sono solo parole che alla prima goccia di pioggia vengono eliminati per sempre, pensò la levatrice gettando a terra il pezzo di carta.
Danielovitz la pensasse in quel modo? All’improvviso ricordò l’orrendo inganno che poco tempo prima il superiore aveva ordito nei confronti di Anna la lurida, una poveretta che chiedeva soltanto la salvezza della figlia. Probabilmente, concluse, l’eroe di guerra che aveva ammirato non era poi un individuo tanto stimabile.
«Confessate quindi di aver avvelenato i vostri genitori?» chiese Zsigmond a Olga, sorseggiando dalla tazza che la donna gli aveva offerto. «Sì, li ho uccisi io.» «E perché?» domandò il capitano guardandola con compassione. «Per regalargli la pace. L’ho fatto perché la loro vita era diventata una condanna, e la morte l’unica consolazione possibile. L’ho fatto per loro, certo, ma anche per me. Non sopportavo più di vederli ridotti in quello stato» rispose con fierezza Olga. Nelle sue parole c’era rassegnazione, ma anche consapevolezza.
Bálint la fissò ammutolito, mentre il magistrato le sputò addosso per poi girarsi verso il sottufficiale aspettandosi una manifestazione di disprezzo anche da parte sua. Il ragazzo, però, lo ignorò: i suoi occhi lividi gli ricordarono quelli del padre durante le battute di caccia, e in quel momento capì che talvolta deludere le aspettative altrui poteva essere un atto di coraggio, piuttosto che un segno di debolezza. Si strappò il distintivo di dosso e lo lasciò cadere sul pavimento, poi estrasse la rivoltella dal cinturone, smise il copricapo e appoggiò tutto sul tavolo, portandosi infine vicino al grugno di Kronberg. «Io lascio» disse sostenendo il suo sguardo disgustato, e quelle parole ebbero sul magistrato lo stesso effetto di una sberla. Poi, in silenzio, uscì dalla casa di Erika Cser e se ne andò con passo deciso.
«La corona ha armato per anni le mani degli uomini. Io ho fatto la stessa cosa, né più né meno. Persone come voi hanno guadagnato medaglie da appuntare al petto, io invece verrò rinchiusa in una cella per il resto dei miei giorni. È questo che volete, no?» continuò Zsuzsanna, rabbrividendo. «Ma ora ditemi, quanto siamo realmente diversi noi due?» Zsigmond ripensò al fango e al sangue. Alle sue palpebre premute contro il mirino, alle detonazioni che irrompevano nel silenzio della trincea, alla sensazione inebriante che provava quando vedeva il nemico rovinare a terra. Deglutì, tenendo gli occhi fissi sul pavimento. «Noi soldati non avevamo scelta» disse dopo un po’. La levatrice sorrise. «Può darsi. Ma nemmeno noi abbiamo potuto scegliere. Un villaggio sperduto, lontano dal progresso e da ogni assistenza statale. Le nostre voci sono echi sperduti nel nulla, le nostre richieste d’aiuto sassi gettati nell’acqua. Ho notato come ci trattate: alla stregua delle bestie che alleviamo. Non è forse violenza questa? Quale scelta abbiamo quando veniamo derise, violate, vessate, picchiate? Quando dobbiamo procreare come fossimo vacche da monta? Che fine fanno le nostre suppliche quando, dalle nostre famiglie, veniamo costrette a sposarci con uomini che disprezziamo? Chi ci ascolta quando, esauste di tutto questo, se solo proviamo ad alzare la testa ci ritroviamo una catena sui denti?» Zsigmond sollevò lo sguardo e immerse i suoi occhi chiari in quelli scuri di lei. «Che scelta abbiamo quando ci affibbiate un nomignolo e non ci date alcuna possibilità di scrollarcelo di dosso? Noi siamo le “streghe”, le “luride”, le “puttane”. E per voi lo saremo sempre, qualsiasi cosa facciamo.» «Però siete voi ad aver scelto di diventare delle assassine» replicò gelido il capitano. «È vero, siamo anche delle assassine. Ma non siamo meno brutali della miseria alla quale ci costringete da secoli» rispose l’ostetrica, alzandosi in piedi.
Scorrevole e di facile lettura. Da apprezzare lo sforzo della ricostruzione storica di questa vicenda molto affascinante per cercare di renderla il più fedele possibile alla realtà dei fatti. Si vede che c'è tanto lavoro dietro e voglia di dare una dimensione alle persone realmente coinvolte. Tuttavia, come romanzo non mi ha emozionato, non sono riuscita a sviluppare un legame con nessun personaggio, forse perché nessun personaggio si raccontava mai con la propria vera voce. Anche i personaggi più "luridi" e analfabeti si raccontavano attraverso il corsivo aulico e edotto della scrittrice, rendendoli personaggi poco concreti e con caratteristiche proprie solo per via didascalica. Le troppe anticipazioni facevano sì che tanti accadimenti si potevano prevedere con largo anticipo, rendendo le pagine in mezzo ripetitive e a tratti noiose. A mio avviso c'è anche un po' di abuso della tecnica dei salti temporali, ma questo è ormai comune in buona parte dei romanzi moderni.
Ungheria agli inizi del XX secolo, una donna anziana viene trovata morta vicino ad un torrente nella cittadina di Nagyrev. Viene mandato ad investigare il capitano della gendarmeria un reduce di guerra che percepisce una profonda dissonanza all'interno del villaggio. Romanzo basato su di una storia realmente accaduta dalla trama scorrevole e ben calibrata da cui emerge la figura della levatrice che dà il titolo al romanzo. Soprusi, violenza, superstizione, vendetta e patriarcato sono i temi portanti di questo romanzo e delle vite che in esso si intrecciano. Per chi ama i romanzi basati su fatti di cronaca nera.
Un libro angosciante. In un villaggio ungherese all'inizio del secolo scorso la vita è dura, soprattutto per le donne costrette a sposarsi con uomini scelti dalla famiglia che quasi sempre le sfruttano, le picchiano e le violentano. Il villaggio è povero e arriva la guerra a peggiorare la vita delle donne che dovranno far fronte alla sussistenza della casa. Per alcune è meglio così perché non hanno più i mariti violenti e zoticoni. Qualcuno torna messo molto male, altri non tornano. Dopo alcuni anni viene trovato un cadavere e il capitano indaga, scopre chi è l'assassino ma scopre anche altro, molto altro che sconvolgerà il paese, la regione e ogni cosa. Anche il lettore.
Non riesco ad andare avanti a leggerlo, purtroppo. La storia è molto bella, interessante, e so che l’autrice ha fatto un enorme lavoro di ricerca. Quindi non sono qui a dirvi di non leggerlo, perché conosco molte persone che l’hanno apprezzato. Ma lo stile con cui è scritto mi risulta indigesto. La materia trattata è molto cruda, violenta, mentre lo stile è molto elegante, un pochino aulico, con verbi e sostantivi che potremmo trovare desueti. Capisco la scelta stilistica, ma per i miei gusti non funziona, perché cozza troppo con il contenuto.
È un romanzo basato su fatti veri e documentati, con una trama interessante e appassionante, in cui l'atmosfera cupa e, a tratti, angosciante risulta suggestiva ed essenziale. L'inizio contiene tutti gli elementi del giallo, ma si tratta solo di un punto di partenza per riflettere su argomenti come la guerra.I due piani temporali sono ben combinati tra loro, la scrittura risulta impeccabile ed efficace in ogni momento della narrazione e i personaggi vengono rappresentati a tutto tondo.
3⭐️ e mezza La vicenda raccontata è molto interessante e si basa su fatti realmente accaduti. Quello che non mi è piaciuto è proprio la narrazione di essi: ridondante, che torna e ritorna ancora sulle stesse vicende e poco incisiva Con qualche sottinteso in più e metà delle pagine poteva venirne fuori un gran bel libro
Sabrina Zuccato è stata capace di raccontare un dolore chiuso in una donna alla quale l uomo ha fatto molto male e lei si è ripromessa di vendicarsi . Romanzo struggente, diabolico, determinato e vendicativi . Veloce da leggere dinamico e racchiude tanto dolore
Storia molto interessante frutto di una grande ricerca sul campo da parte dell’autrice. Libro scritto molto bene che ti cattura sin dalle prime pagine.
Dimentichiamoci lo sguardo azzurro, i capelli biondi, i fiori e le erbe aromatiche della copertina, assolutamente fuorviante, anche se molto bella. I toni sono cupi, scuri, sporchi, freddi, duri, violenti. Ispirato ad una storia vera, questo libro, racconta dei fatti accaduti in un paesino dell’Ungheria, Nagyrev, dopo la prima guerra mondiale in cui molte donne furono accusate di aver ucciso centinaia di persone, la maggior parte uomini. Dietro a questo, vite disagiate, tra sofferenze, stupri e sottomissioni. Zsuzsanna, “la strega”, diventa una sorta di figura onnipotente in grado di togliere la vita e decidere a chi, come e quando farlo. È a lei che si rivolgono le donne della comunità per sfuggire a situazioni degradanti e dolorose. Difficile entrare in empatia con loro pur rimanendo colpita dalle loro vite devastate da uomini incattiviti dalla guerra e dalla povertà, violenti ed ignoranti. Lettura pesante, non tanto per la trama, quanto per la scrittura che non ho trovato scorrevole. Rispetto al romanzo ho trovato molto più interessante e coinvolgente la sorta di appendice in cui la scrittrice racconta le fonti a cui ha attinto.
Questo romanzo aveva ottime premesse: una trama ricavata da fatti reali che, come spesso accade, superano la fantasia, uno sfondo storico suggestivo, una riflessione sul ruolo delle donne in una società arretrata, chiusa e patriarcale... Il risultato è però, in qualche modo, imperfetto: la documentazione storica è accurata ma la tessitura narrativa risulta artificiosa e distaccata. Non riusciamo a empatizzare con nessun personaggio proprio perché tutto viene raccontato in modo cronachistico, senza contare il fatto che di alcuni personaggi non si capisce l'utilità ai fini della storia (Bianka, ad esempio). L'attrazione "fatale" tra l'investigatore e la levatrice, poi, appare una forzatura ed è come un fulmine a ciel sereno. Non mi soffermo sulla copertina, di cui altre recensioni sottolineano bene l'incongruenza. Aggiungo solo che spiace leggere in un testo edito da Marsilio refusi grossolani come "ammagliata" invece di "ammaliata" e "patria podestà" invece di "patria potestà".