Che cosa spinge gli uomini a scrivere? Leggere è davvero un hobby costoso, destinato alle élite e non alle masse? E ancora: qual è il legame tra linguaggio e azione politica, quale il confine tra arte e propaganda? "Letteratura palestra di libertà" raccoglie numerosi scritti degli anni Trenta e Quaranta - alcuni tradotti per la prima volta in italiano - nei quali Orwell affronta, da un originalissimo punto di vista, il senso della letteratura e del rapporto con i libri: dalla propria "vocazione" per la scrittura ai ricordi di un'esperienza di lavoro in libreria, all'analisi dell'opera di grandi scrittori quali Dickens, Kipling, Eliot, Greene. In queste pagine Orwell unisce l'esegesi dei testi alla rievocazione di episodi personali, a riflessioni più generali sulla propria opera e quella di altri artisti, regalandoci tra l'altro un non convenzionale ritratto di sé e dei propri gusti. Con uno stile inimitabile, tra il saggio e il giornalismo, che sa essere insieme limpido e brillante, piano e profondo, mostra al lettore l'inestricabile connessione che lega la letteratura alla vita e alla libertà dell'individuo.
Eric Arthur Blair was an English novelist, poet, essayist, journalist and critic who wrote under the pen name of George Orwell. His work is characterised by lucid prose, social criticism, opposition to all totalitarianism (both fascism and stalinism), and support of democratic socialism.
Orwell is best known for his allegorical novella Animal Farm (1945) and the dystopian novel Nineteen Eighty-Four (1949), although his works also encompass literary criticism, poetry, fiction and polemical journalism. His non-fiction works, including The Road to Wigan Pier (1937), documenting his experience of working-class life in the industrial north of England, and Homage to Catalonia (1938), an account of his experiences soldiering for the Republican faction of the Spanish Civil War (1936–1939), are as critically respected as his essays on politics, literature, language and culture.
Orwell's work remains influential in popular culture and in political culture, and the adjective "Orwellian"—describing totalitarian and authoritarian social practices—is part of the English language, like many of his neologisms, such as "Big Brother", "Thought Police", "Room 101", "Newspeak", "memory hole", "doublethink", and "thoughtcrime". In 2008, The Times named Orwell the second-greatest British writer since 1945.
Questo libro è stato il mio primo acquisto libresco del 2016. Entrato (per caso) in una libreria, dopo aver analizzato quasi ogni angolo del luogo stipato di libri, stavo per acquistare Il ballo della Némirovsky quando il mio sguardo è stato colpito dal titolo vicino "Letteratura palestra di libertà" (chiaramente si capiva che era un saggio e non un romanzo). Quando poi scoprii che era una raccolta di articoli di George Orwell su libri, librerie e scrittori, la scelta è stata immediata e senza ripensamenti (cara Irène Némirovsky non avercela a male, tanto ti leggerò presto, e poi ho da poco divorato Suite francese). Ecco perché mi piace entrare in libreria, non sono io a scegliere i libri, sono loro che scelgono me, ricordatevelo! ^_^
Ho passato delle piacevoli ore nel leggere questi saggi di Orwell, tra l'altro da poco avevo riletto e ri-gustato 1984.
In "Ricordi di libreria" l'autore ci narra il suo breve periodo da aiutante libraio nel 1934 a Londra alla Booklovers' Corner di South End Road, Hampstead (tutt'oggi visitabile). Ciò che colpisce, oltre le descrizioni delle bizzarrie dei clienti della libreria, è scoprire che anche nel '34 i classici erano poco considerati e acquistati, mentre si preferivano le cosiddette "letture leggere" come racconti polizieschi e romanzi rosa. In "Charles Dickens" Orwell critica la letteratura dello scrittore inglese e notiamo che lo conosce anche troppo bene, visto che ci riempie, anzi, ci valanga di tutti i suoi personaggi tanto che nelle note è stata necessaria una sorta di legenda per capire tale personaggio a quale opera di Dickens facesse parte (soprattutto per me che fino ad oggi ho solo letto Grandi Speranze e Canto di Natale). Mentre scriveva questo saggio apprendiamo che Orwell ha finalmente capito di essere un socialista democratico e che aborrisce le strategie staliniste, e per questo è stato messo al bando da molta sinistra britannica. Le critiche che rivolge a Dickens hanno un'impostazione di tipo politico - sociologica cui si accompagna una grande tensione morale. Traspare il suo amore per questo autore, ma nel frattempo ci mostra tutti i suoi difetti dai quali emerge il suo forte senso morale che gli consente di travalicare le ideologie e arrivare così diritto al cuore della gente "popolare". In "Dentro la balena" Orwell critica Henry Miller, autore del romanzo Tropico del Cancro. Lo considera uno scrittore atarassico ed egocentrico, icona della passività e del disimpegno. E per capire il motivo per cui lui ami questo autore ci presenta, in breve, tutta la storia letteraria inglese che abbraccia circa un periodo di quarant'anni. Uno dei saggi di questa raccolta più importanti e interessanti. In "Rudyard Kipling" Orwell analizza la poesia della difficile figura di Kipling (interessante la sua idea sull'onestà che deve avere un critico letterario e, in primis, uno scrittore). In "T. S. Eliot" Orwell recensisce delle poesie di Eliot, autore col quale ha un rapporto conflittuale. In lui non condanna l'opzione religiosa in sé quanto l'elemento volontaristico e inautentico che essa comporterebbe riflettendosi negativamente sul prodotto artistico. In "Recensione di Graham Greene - Il nocciolo della questione" Orwell lo critica similmente a come fece con il gruppo di Auden: la presenza di una "tesi" preconcetta che prevarica gli aspetti artistici, ovvero lo scrupolo di assecondare un'ortodossia (qua religiosa) che mutila la libertà dello scrittore. In "Buoni brutti libri" Orwell definisce tal genere di libri come "gradite oasi nella memoria, angoli di quiete in cui la mente va a vagare in momenti liberi". "Libri contro sigarette" vuole essere una simpatica risposta che Orwell darà a un suo amico che disse: "Quelli come noi non possono permettersi di spendere dodici e sei per un libro!". E dimostrerà come leggere possa essere anche un'attività totalmente gratuita (vedi biblioteche pubbliche). In "La politica e la lingua inglese" Orwell si muove su due linee: nella prima affronta opzioni di gusto e nell'altra l'autonomia intellettuale del singolo. In "Confessioni di un recensore" Orwell, in modo evidentemente umoristico, ci narra della pesante routine giornaliera del suo lavoro da scrittore. "Perché scrivo" è un autoritratto di Orwell ricco di spunti. Egli ci parla della politica come di una sgradevole ma ineluttabile costrizione dei tempi, cui lo scrittore contemporaneo deve assoggettarsi. Interessanti le due asserzioni su cui si dovrebbe riflettere: la qualità idiosincratica delle scelte politiche di Orwell e la discriminazione finale tra l'agire politico e la difesa della propria "integrità estetica e intellettuale". Infine in "Gli scrittori e il Leviatano" troviamo un Orwell malato e che ha completato la prima stesura di quello che sarà il suo più celebre romanzo ovvero 1984. In questo suo ultimo saggio l'autore esprime una fiera rivendicazione della libertà dell'artista. Concludo con una frase del mitico Orwell: "la scrittura è potere".
Questa raccolta, oltre a tradurre per la prima volta due o tre recensioni mai pubblicate in Italia, presenta alcuni dei più importanti scritti di Orwell riguardanti la letteratura e la non invidiabile posizione degli scrittori nell'epoca dei totalitarismi. Indispensabili per capire meglio la mente dietro 1984, alcuni articoli rivelano una straordinaria consapevolezza e significativi spunti di riflessione. Gli scritti sono diversi e scritti con intenti diversi, non manca l'ironia, ma non è sufficiente ad allontanare l'ombra del leviatano, soprattutto quando ci avviciniamo alla fine della sua vita. Da rileggere.
Un insieme di scritti di Orwell su letteratura, scrittura e lettura, che inoltre restituisce vagamente un quadro della società inglese ed europea della prima metà del Novecento.
LO SCRITTORE E IL MINISTERO - che ritenevi per loro natura incomunicabili ed ecco che qualcuno è riuscito a a comunicarli. L’effetto è quello di rompere almeno momentaneamente la solitudine in cui vivono gli esseri umani…. ma che si limita ad assumere implicitamente che siamo tutti uguali. - Dickens scriveva della vera gente comune. Cosi come anche tutti i tipi coi romanzieri inglesi che si trovavano a loro agio nel mondo in cui vivevano mentre adesso uno scrittore è tanto disperatamente isolato che il tipico romanzo moderno è un romanzo che prima di un romanziere.
DICKENS - Esaminando i suoi romanzi si scopre che il suo vero argomento è la borghesia commerciale londinese con i suoi tirapiedi - se ognuno fosse migliore il sistema funzionerebbe bene - ai suoi occhi la rivoluzione è semplicemente un mostro generato dalla tirannia che finisce sempre per divorare i suoi tessi strumenti… morendo sotto la stessa lama ( kafka “nella colonia penale” ) - ma ciò che emerge è una tendenza a identificarsi con la classe media piu che con il proletariato - di solito tende a ridicolizzare un uomo innamorato di una donna di classe sociale superiore - dickens vede gli esseri umani in modo estremamente vivido, ma li vede sempre nella vita privata come caratteri e non come membri funzionali della societa - nessuno che sia davvero coinvolto nel paesaggio vede mai il paesaggio - tutto è visto dalla prospettiva del consumatore - dickens vede stupidita nella violenza - mostra poco interesse nel futuro - non c’è niente che egli ammiri tranne la correttezza morale. La scienza piva di interessa e le macchine orrende e crudeli. Gli affari sono solo roba per farabutti - nessun uomo moderno riuscirebbe a far convivere tanta vitalità e tanta mancanza di motivazioni - TUTTA L’ARTE E PROPAGANDA, NON TUTTA LA PROPAGANDA è ARTE - quello che da piacere non sono tanto le poesie in se quanto i ricordi che evocano - l’inconfondibile marchio della scrittura di dickens è il dettaglio superfluo - la sua immaginazione sommerge tutto - dickens riesce a raggiungere le persone semplici e toltoj no. - DICKENS NON OFFRE PROPOSTE COSTRUTTIVE HA SOLO UNA PERCEZIONE EMOTIVA CHE C’è QUALCOSA CHE NON VA - CAMBIA CAMPO QUANDO IL PERDENTE DIVENTA VINCENTE
LA POLITICA E LA LINGUA INGLESE - ne consegue che qualunque lotta agli abusi linguistici è un arcaismo sentimentale
PERCHÉ SCRIVO - le tematiche di uno scrittore saranno determinate dall’epoca in cui vive - ciò che ho cercato di fare i un questi anni è stato trasformare la scrittura politica in arte - scrivo perche c’è qualche bugia che voglio smascherare qualche fatto sui cui voglio attirare l’attenzione - se non si fosse spinti da quale incomprensibile ma irresistibile demone non ci s’imbarcherebbe mai una simile avventura
GLI SCRITTORI E IL LEVIATANO - il tipo di stato che ci governa dipende necessariamente almeno in parte dall’atmosfera intellettuale dominante - la lealtà a un gruppo è necessario ma è veleno per la letteratura fintanto che quest’ultima continuerà a essere prodotta da individui - IN POLITICA NON SI PUÒ MAI FARE NIENTE DI PIÙ CHE DECIDERE QUALE SIA IL MINORE FRA I DUE MALI
Vietato credere che il lettorato debba disinteressarsi della politica - parola di G. Orwell, disfattista e socialista democratico, ma di sana verve progressista. La raccolta dei saggi critici del romanziere novecentesco si lascia leggere con grande facilità, più per la curiosità che ci guida nell'imoerturbabile mondo interiore di Orwell, che per i contenuti artistici o le idee illuminanti. Un testo che fa riflettere sulla decadenza del linguaggio verbale moderno, e di come questa "immondizia verbale" abbia reso incomprensibile il reale significato della comunicazione politica. - In prosa non bisogna mai arrendersi alla decadenza delle parole - D'altronde, se il contesto politico fornisce la lente con la quale l'autore vede la realtà delle cose, dall'altra parte, sarà sempre la parola a veicolare il messaggio politico. Consigliato a: Curiosi, Orwelliani, Rivoluzionari. Sconsigliato a: Aspiranti scrittori.
Edizione che raccoglie diversi saggi di Orwell sulla letteratura. La raccolta risulta piuttosto eterogenea e, per quanto abbia apprezzato singolarmente i diversi capitoli, penso risultino poco coesi nell'insieme. Ciò che mi ha convinta poco è soprattutto la scelta editoriale di racchiudere saggi così diversi nello stesso volume piuttosto che gli scritti in sé. Consigliato soprattutto a conoscitori della letteratura inglese del XIX e XX secolo (in particolare Dickens, Eliot, Kipling e Miller) che desiderano approfondire l'opinione di Orwell al riguardo. Una cospicua sezione di questo libro è,infatti, rappresentata dalla critica letteraria nei confronti dei testi di questi autori, che, secondo la mia opinione, può essere apprezzata adeguatamente solo da persone che abbiano già affrontato questi autori durante il proprio percorso di studi o ne abbiano letto le opere.
Ho scoperto questa raccolta tramite "Una vita da libraio" di Shaun Bythell, nel quale venivano riportati in particolare molti passaggi del primo scritto "Ricordi di libreria", nel quale Orwell ricorda - in una chiave quasi tragicomica - la sua esperienza di lavoro in una libreria di libri usati londinese (Booklover' Corner di South End Road, ora a quanto pare diventata una pizza house, purtroppo). Seguono scritti degli anni Trenta e Quaranta su Dickens, Henry Miller, Kipling, T.S. Eliot, riflessioni e critiche sul rapporto scrittura-politica. Tanti autori e titoli citati da segnarsi, ho apprezzato soprattutto i saggi dedicati agli autori di cui sopra, una bella raccolta che si è rivelata cibo per la mente.
Questo libro è stato il mio primo acquisto libresco del 2016. Entrato (per caso) in una libreria, dopo aver analizzato quasi ogni angolo del luogo stipato di libri, stavo per acquistare Il ballo della Némirovsky quando il mio sguardo è stato colpito dal titolo vicino "Letteratura palestra di libertà" (chiaramente si capiva che era un saggio e non un romanzo). Quando poi scoprii che era una raccolta di articoli di George Orwell su libri, librerie e scrittori, la scelta è stata immediata e senza ripensamenti (cara Irène Némirovsky non avercela a male, tanto ti leggerò presto, e poi ho da poco divorato Suite francese). Ecco perché mi piace entrare in libreria, non sono io a scegliere i libri, sono loro che scelgono me, ricordatevelo! ^_^ Ho passato delle piacevoli ore nel leggere questi saggi di Orwell, tra l'altro da poco avevo riletto e ri-gustato 1984. In "Ricordi di libreria" l'autore ci narra il suo breve periodo da aiutante libraio nel 1934 a Londra alla Booklovers' Corner di South End Road, Hampstead (tutt'oggi visitabile). Ciò che colpisce, oltre le descrizioni delle bizzarrie dei clienti della libreria, è scoprire che anche nel '34 i classici erano poco considerati e acquistati, mentre si preferivano le cosiddette "letture leggere" come racconti polizieschi e romanzi rosa. In "Charles Dickens" Orwell critica la letteratura dello scrittore inglese e notiamo che lo conosce anche troppo bene, visto che ci riempie, anzi, ci valanga di tutti i suoi personaggi tanto che nelle note è stata necessaria una sorta di legenda per capire tale personaggio a quale opera di Dickens facesse parte (soprattutto per me che fino ad oggi ho solo letto Grandi Speranze e Canto di Natale). Mentre scriveva questo saggio apprendiamo che Orwell ha finalmente capito di essere un socialista democratico e che aborrisce le strategie staliniste, e per questo è stato messo al bando da molta sinistra britannica. Le critiche che rivolge a Dickens hanno un'impostazione di tipo politico - sociologica cui si accompagna una grande tensione morale. Traspare il suo amore per questo autore, ma nel frattempo ci mostra tutti i suoi difetti dai quali emerge il suo forte senso morale che gli consente di travalicare le ideologie e arrivare così diritto al cuore della gente "popolare". In "Dentro la balena" Orwell critica Henry Miller, autore del romanzo Tropico del Cancro. Lo considera uno scrittore atarassico ed egocentrico, icona della passività e del disimpegno. E per capire il motivo per cui lui ami questo autore ci presenta, in breve, tutta la storia letteraria inglese che abbraccia circa un periodo di quarant'anni. Uno dei saggi di questa raccolta più importanti e interessanti. In "Rudyard Kipling" Orwell analizza la poesia della difficile figura di Kipling (interessante la sua idea sull'onestà che deve avere un critico letterario e, in primis, uno scrittore). In "T. S. Eliot" Orwell recensisce delle poesie di Eliot, autore col quale ha un rapporto conflittuale. In lui non condanna l'opzione religiosa in sé quanto l'elemento volontaristico e inautentico che essa comporterebbe riflettendosi negativamente sul prodotto artistico. In "Recensione di Graham Greene - Il nocciolo della questione" Orwell lo critica similmente a come fece con il gruppo di Auden: la presenza di una "tesi" preconcetta che prevarica gli aspetti artistici, ovvero lo scrupolo di assecondare un'ortodossia (qua religiosa) che mutila la libertà dello scrittore. In "Buoni brutti libri" Orwell definisce tal genere di libri come "gradite oasi nella memoria, angoli di quiete in cui la mente va a vagare in momenti liberi". "Libri contro sigarette" vuole essere una simpatica risposta che Orwell darà a un suo amico che disse: "Quelli come noi non possono permettersi di spendere dodici e sei per un libro!". E dimostrerà come leggere possa essere anche un'attività totalmente gratuita (vedi biblioteche pubbliche). In "La politica e la lingua inglese" Orwell si muove su due linee: nella prima affronta opzioni di gusto e nell'altra l'autonomia intellettuale del singolo. In "Confessioni di un recensore" Orwell, in modo evidentemente umoristico, ci narra della pesante routine giornaliera del suo lavoro da scrittore. "Perché scrivo" è un autoritratto di Orwell ricco di spunti. Egli ci parla della politica come di una sgradevole ma ineluttabile costrizione dei tempi, cui lo scrittore contemporaneo deve assoggettarsi. Interessanti le due asserzioni su cui si dovrebbe riflettere: la qualità idiosincratica delle scelte politiche di Orwell e la discriminazione finale tra l'agire politico e la difesa della propria "integrità estetica e intellettuale". Infine in "Gli scrittori e il Leviatano" troviamo un Orwell malato e che ha completato la prima stesura di quello che sarà il suo più celebre romanzo ovvero 1984. In questo suo ultimo saggio l'autore esprime una fiera rivendicazione della libertà dell'artista. Concludo con una frase del mitico Orwell: "la scrittura è potere".
Ho incrociato Letteratura palestra di libertà in una di quelle sessioni di acquisto compulsivo di cui i bibliofili soffrono cronicamente: sull’onda dell’entusiasmo post 1984, avevo deciso di comprare TUTTO ciò che George Orwell aveva scritto. Ricordo di non averlo apprezzato molto, forse lo abbandonai persino, dopo una cinquantina di pagine, sconfortato dalla forma del saggio. I libri cambiano, i lettori anche, e oggi questa raccolta di saggi dell’autore britannico più prolifico e forse più citato (spesso a sproposito) della contemporaneità ha acceso la luce sul mio rapporto con la parola, che sia solo letta in un romanzo o scritta in un articolo. Quale ruolo deve e non deve ricoprire un autore? Come e perché scoppia l’amore tra scrittore e suo potenziale lettore? Il libro può prescindere dall’atto politico? Queste e molte altre riflessioni sono racchiuse in questa dozzina di scritti orwelliani.