Addio, bella crudeltà è un romanzo potente e affilato sull’amore giovanile, la passione, la malattia e la responsabilità. Sui bivi imprevisti della vita e i destini che cambiano all’improvviso.
«Questa storia è spietata e fragile come la giovinezza. Meozzi ha avuto la profonda sensibilità di definire questo contrasto». Olga Campofreda
Lidia e Giovanni sono molto giovani quando si incontrano, agli inizi degli anni ’90. Lei è una ragazza sola e fragile, lui il un uomo che vuole dominare la vita, rabbioso e temerario. Entrambi prendono dall’altro ciò che vogliono, Lidia un amore che sfiora la dipendenza, Giovanni una passione selvaggia, con risvolti oscuri. Vivono in simbiosi, di sesso e tenerezza, e rinunciano a tutto il resto. Si sposano quasi subito. Eppure, presto, un terremoto nelle loro vite farà invertire i ruoli, stravolgerà quell’ la ragazza timida e dipendente diventerà il perno di tutta la coppia, delle vite di entrambi; il maschio dominante, al contrario, si troverà a fare i conti con la paura e l’impotenza.
Addio, bella crudeltà di Riccardo Meozzi non offre sconti e ti sbatte in faccia con assoluta sfrontatezza come va a finire male, molto male, una relazione d’amore e di dipendenza tossica che era già partita con il piede sbagliato. Il titolo? Un presagio funesto di ciò che accade durante il libro, un epitaffio sulla figura sgraziata e decomposta di Giovanni, il protagonista maschile, il “malessere”, colui che sottomette la donna che considera “sua” non perché la ama, ma perché dipende dal ruolo che lei ricopre nella sua vita. Esistono storie che ci cullano e ci permettono di addormentarci felici, entrando saltellando nel nostro mondo dei sogni preferito. E poi ci sono storie come questa, che ti scuotono, ti tengono aperti gli occhi anche se vorresti chiuderli e ti costringono a guardare il dolore senza niente che possa proteggerti. Una storia brutale, crudele, che ti mostra come una donna può ridursi se ama un uomo e quest’ultimo non è in grado di ricambiare come dovrebbe. Lo stile di Riccardo Meozzi è chirurgico, spietato. La sua prosa è asciutta, tesa, densa di dettagli sensoriali, riesce a trasmettere con poche parole tutta la sofferenza dei personaggi. Le scene tra Lidia e Giovanni sono scritte con una precisione che toglie il fiato, senza retorica, senza filtri. L'autore usa il corpo come luogo di scontro: il sesso non è mai semplicemente sesso, ma un terreno di gioco di potere, di controllo, di sopraffazione. Lidia, alla fine, non si salva nel modo in cui ci si aspetterebbe. Non trova una redenzione facile, non diventa un’eroina emancipata. Ma qualcosa cambia: il suo sguardo si sposta dal passato al futuro. "Meglio il futuro, per quanto schifoso e ignoto, che i ricordi", pensa mentre inizia a immaginare un’altra possibilità per sé. Forse il vero senso di questo romanzo sta tutto qui: “la consapevolezza che l’amore non deve essere un gioco, che l’identità non può dipendere dallo sguardo di un altro, che esistere da soli non è una condanna, ma una CONQUISTA.” Che dura tutta la vita.
Odio il fatto che tutta la vicenda sia narrata dal punto di vista del personaggio femminile quando l'autore è un uomo che mi parla di ciclo mestruale e reggiseni sportivi; ho trovato ridondanti le numerose scene di sesso e onestamente i dialoghi di Giovanni mi sembravano sempre eccessivi e poco naturali. Una lettura che scorre ma senza lasciare granchè dietro.
Una storia scomoda, spigolosa e cruda. È la storia di un amore giovanile, dove sia Lidia che Giovanni decidono di sposarsi per sfuggire dalle loro situazioni familiari e nonostante ci sia un forte sentimento, non è tutto rosa e fiori, e la loro è una storia difficile, di dipendenza emotiva e di lotta per il potere e per il comando. La narrazione avviene su due piani temporali paralleli ed è possibile vedere come il comando passi da uno all’altra dal passato al presente, come Giovanni non calibri le sue parole, non si renda nemmeno conto di far soffrire Lidia e come Lidia sia completamente alla sua mercé e come invece a causa della malattia piano piano questi ruoli si invertono. Entrambi sono due personaggi a cui non è facile voler bene e questa storia non è una dolce storia d’amore ma è qualcosa che ti fa arrabbiare, che ti mette davanti le crudeltà che possono avvenire anche tra due persone che si conoscono bene. È una storia difficile da leggere e la scrittura è precisa, diretta e fa provare tutto il dolore che c’è in questo racconto. Il titolo è azzeccatissimo, un vero e proprio presagio per la fine di libro.
Un libro cattivissimo, pieno di spigoli. La storia di Lidia e Giovanni che si incontrano giovanissimi e decidono di sposarsi subito per fuggire da reciproche situazioni crude e dolorose. Vivono di sesso ed espedienti, tormentati dalle emicranie di lui che sfociano in aggressività e violenza e la apparente passività rassegnata di lei. La malattia cambia tutto. Una scrittura tagliente, un contenuto che lascia basiti, senza speranza.
Ho finito di leggerlo stamattina al bar, rischiando di annacquare il ginseng con le mie lacrime. Quanto mi è piaciuto, ci penserò a lungo. Lidia e Giovanni non li dimenticherò facilmente.
"Non è una redenzione, non è una rinascita da manuale. È una transizione, lenta, ruvida, vera."
Mi sono imbattuto in Riccardo Meozzi anni fa, leggendo un suo racconto pubblicato su Malgrado le Mosche. Mi aveva colpito per il tono crudo e intimo, per quella scrittura che sembrava venire da una ferita ancora aperta. Ritrovarlo oggi al suo esordio romanzesco con Addio, bella crudeltà (edizioni e/o, 2025) è come riaprire quello stesso taglio, senza certezze che, questa volta, basti un cerotto.
Anni '90. Lidia e Giovanni si amano con la radicalità cieca dei vent'anni. Lui è più grande, ombroso, segnato da emicranie che sfociano in esplosioni di rabbia. Lei è chiusa, fragile, oppressa da una madre autoritaria e un ambiente familiare poco accomodante. Si trovano, si scelgono, si chiudono il mondo fuori. Si sposano subito dopo il liceo. Ma presto la malattia – un tumore al cervello – ribalta i ruoli: Giovanni diventa debole, Lidia resta. Assiste, regge, prende in mano le redini di un amore che non ha più niente di romantico. Addio, bella crudeltà è sì un romanzo d’amore, ma anche un'autopsia delle dinamiche di potere, dei corpi, della formazione del sé attraverso lo sguardo altrui.
una storia molto dolorosa ma scritta molto bene. interessante anche il montaggio del libro, con numerosi flashback per raccontare anche Giovanni - il protagonista maschile - rispetto a Lidia, che invece domina con i suoi pensieri tutta la storia