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First published January 1, 2019
“Costanza wondered if all these other women in the waiting room had gotten themselves as wrong as she had gotten herself. What if, instead of reading, or texting, or hiding behind their earphones, they all started speaking, what a conversation that would be, what a chorus of regret and anguish! And anger, probably that too. And heartache. Not a chorus; an opera.”
Avevo conosciuto Michael Frank con I formidabili Frank, racconto autobiografico e stupendo del suo rapporto con la zia Hank in una Los Angeles super glamour. Devo ammettere che Frank funziona meglio come autore di memoir (forse il suo lavoro di giornalista influisce), che come romanziere. Quello che manca ha deluso le mie aspettative.
Frank continua a esplorare il tema dell'ingombranza delle figure famigliari, che qui sono essenzialmente quelle paterne, per tutti e tre i protagonisti: Costanza, Henry e Andrew. Le loro storie dimostrano come sia essenzialmente impossibile emanciparsene completamente, seppure come sappiamo dalla notte dei tempi sia un conflitto incessante e necessario alla definizione del proprio sé. Frank però aggiunge una riflessione sul determinismo biologico (grazie anche al mestiere di Henry, professionista nella medicina della fertilità) che mi lascia perplesso. Con il personaggio di Andrew la storia sembra far intuire che l'antagonismo padre/figlio sia scritto nei geni, e possa quindi in qualche modo fuggirsi quando il legame si libera della sua base biologica.
In generale, non sono riuscito a provare empatia per nessuno dei personaggi. Mi pare che Frank limiti la loro caratterizzazione all'idiosincrasia (= il personaggio è complesso perché fa cose/ha abitudini pretenziose insolite).
Comunque, il libro si legge senza grandi intoppi, non pesa. Se non avessi letto prima I formidabili Frank probabilmente lo avrei apprezzato di più.