Uma história envolvente sobre família, identidade e pertencimento
Ideal para os fãs de A redoma de vidro e da Tetralogia Napolitana de Elena Ferrante
Mina tem trinta anos e vive em Londres. Quando deixou para trás sua família e a cidade natal na costa da Itália, ela acreditava que poderia ter a vida que sempre sonhou. No entanto, por trás das fotos perfeitas nas redes sociais, a verdade é que ela se sentia mais deslocada do que nunca.
Quando recebe a notícia da morte de seu pai, Omar, Mina volta à pequena cidade italiana onde cresceu. Lá, ela reencontra o Café Tangerinn, o bar à beira-mar que o pai — um imigrante marroquino muçulmano — mantinha para sustentar a família e acolher outros imigrantes como eles. Ao conversar com os antigos clientes do bar, Mina descobre novas histórias sobre o pai e, a partir daí, começa a entender melhor suas raízes e, principalmente, a si mesma.
Em uma narrativa ao mesmo tempo doce e mordaz, Café Tangerinn é um romance literário sobre os elos que unem uma família e a jornada de uma jovem em busca de seu lugar no mundo. A obra marca a notável estreia de Emanuela Anechoum, uma das vozes mais poderosas da nova literatura italiana.
Emanuela Anechoum è nata a Reggio Calabria nel 1991 e vive a Roma. Dopo gli studi ha iniziato a lavorare nel mondo dell’editoria a Londra, e successivamente si è trasferita in Italia. Ha scritto per Vice, Doppiozero, Marvin Rivista.
Robert Capa: Donne che piangono al funerale del partigiano ventenne che è stato ucciso dai tedeschi subito prima dell’entrata degli Alleati a Napoli il 2 ottobre 1943. Descritta e commentata nel romanzo.
Ero ancora quella persona forse quando ascoltavo i racconti di quei giovani arrivati dal mare, versando il tè, entrando e uscendo dalla cucina, fingendo che ci fosse un vetro a proteggermi dalla vita e dal suo dolore. Tutto mi faceva pensare a te. Dove: quei giovani arrivati dal mare sono quelli arrivati sui barconi dall’Africa o dal Medio Oriente, approdati in qualche modo in un paesino dell’estrema punta meridionale della Calabria; e dove il tè è quello alla menta, col suo rituale e il suo sapore e il suo specifico significato; e la cucina è quella del bar del paese che appartiene alla famiglia di Ines, l’io-narrante, aperto da suo padre ormai da tempo e diventato il rifugio degli stranieri, ma solo loro, la gente del paese non entra se non per sbaglio o per collezionare il pizzo. E dove la persona alla quale tutto la faceva pensare, quel tu, è suo padre Omar, morto da qualche giorno, marocchino spatriato in Calabria, al quale Ines si rivolge spesso, coinvolgendolo, interrogandolo, dialogando con lui, al quale il libro, pur se non esplicitamente, si può dire sia dedicato.
Derb Sultan, il quartiere periferico di Casablanca dove è cresciuto il padre Omar.
Due figure di spatriati: il padre Omar da qualche parte del Marocco (Casablanca) in questa Calabria estrema (dall’altra parte, di fronte, c’è il vulcano), Ines da questa terra calabra a Londra, dove ha cercato di ambientarsi, inserirsi, farsi una nuova vita, ma il successo di questa operazione è assai precario, e forse non solo perché i fili che la legano a casa – intesa come quella dove è cresciuta, dove suo papà è appena morto, dove vivono la sorella maggiore Aisha, che porta il velo islamico, e vivono la madre, più ragazzina che donna, e la madre della madre – i fili sono lunghi ma resistenti, forse perché Ines ha nell’anima un grumo spinoso che le impedisce di sciogliersi ed entrare a tutto tondo nella nuova città, di relativa accoglienza.
Ancora Robert Capa, foto talmente bella che non potevo non aggiungerla, anche se non ha alcun riferimento al romanzo.
Ma nonostante le spine, nonostante le lame, Emanuela sceglie un tono dolce, suadente, quasi cantilenante per raccontare questa storia che sembra tanto la sua. Eh sì, conoscendola, questo suo bell’esordio, del tutto inatteso - almeno da me, che nulla sapevo della sua passione per la scrittura – ha un forte sapore autobiografico. E nonostante la nostalgia che impregna tutto, facendo un bel regalo al lettore, Emanuela non riesce a trattenere l’ironia, e alcuni momenti sono davvero divertenti. Altri sono belli, altri ancora teneri, tutti sempre toccano corde interne più o meno nascoste.
Ti sei cercata troppo lontana da casa. Ti sei trovata? Mi sono intravista, a volte.
Ennesimo lancio editoriale con sottotesto: capolavoro! Ma io sono diventata furba e l'ho preso in prestito in biblioteca (grazie sempre sistema bibliotecario!). Non ci ho trovato niente di nuovo, né nel racconto, né nella forma. E io sono stufa, stufa di queste sad girls che non siano quelle che escono dalla penna di Sally Rooney e non sempre pure lei. Sarò vecchia? Sono vecchia. Ma il lamento, la tristezza, la vita grama, i pensieri tristi, il salviamo il pianeta da Instagram e il ghosting e sai che altro, giuro, non ne posso più. Ho trovato tutto fiacco, tutto un po' un cliché, tutto già letto, già visto, già sentito. Sono vecchia, probabilmente è colpa mia.
⠀ "In giardino, l'albero dei mandarini tangerini era invecchiato ma ancora rigoglioso. Berta ci raccontava che l'avevi piantato tu quando era rimasta incinta di me - era il mio albero gemello, acidognolo, un po' sbilenco, ma carico di frutti e resiliente all'inverno. Il dondolo arrugginito aveva un rivestimento nuovo, a fiori. Gli infissi verde bottiglia. Le mura rosa salmone, rovinate dal tempo, dal vento, dall'incuria - chi le avrebbe ridipinte? Sulla porta odore di legno e incenso, lo zerbino consumato, i gatti ad aspettarmi. Tu non c'eri più, eri dappertutto". ⠀ Da quando leggo più autrici, il mio modo di vedere il mondo è cambiato irreversibilmente. Ogni volta che mi approccio a un saggio o a un romanzo, resto stupefatto dalla capacità delle autrici di andare al nocciolo della questione, senza fare troppe capriole linguistiche. ⠀ Anche leggendo "Tangerinn", romanzo d'esordio di Emanuela Anechoum, pubblicato da edizioni e/o, mi sono posto molte domande sulla mia identità e su quello che sto facendo nella mia vita. Come Mina, la protagonista del libro, anch'io ho ricercato l'approvazione di altrə per sentirmi legittimato a vivere come vivevo, plasmando la mia personalità esteriore su quella delle persone più di successo della mia cerchia. Imbastire per ogni occasione sociale questa maschera è estenuante, soprattutto quando sei consapevole che puoi essere te stesso solo quando sei con determinate persone e non con tuttə. ⠀ Il senso di sradicamento di Mina mi è famigliare perché non so quante volte mi sono sentito senza radici, o meglio con due radici, ma senza il terriccio giusto in cui farle crescere e rinforzare. La ricerca del terreno giusto per antonomasia, mi ha portato a scegliere, di volta in volta, terricci diversi: quelli più distanti da me per esperienza, quelli sconosciuti e quelli molto vicini a me. ⠀ Di recente, mi è capitato di parlare con una persona cara di tutte quelle cose che per le persone italiane™️ sono la normalità, mentre io non le avevo mai fatte, per un motivo o per un altro. Un esempio su tutti: non avevo mai mangiato la pasta al forno; lo so, può sembrare assurdo, ma sono cresciuto in una famiglia in cui la parte italiana non è stata molto presente durante la mia infanzia sia perché mia zia italiana ha negato e tutt'ora nega la mia esistenza, sia per via della mancanza di una comunità rionale, visto che non ho frequentato il catechismo. ⠀ Non è la solita recensione che magari vi aspettate da me, ma non so raccontarvi "Tangerinn" in un altro modo se non quello della mia esperienza. Infine, auguro a Mina e a tutte le persone come noi di trovare il proprio terriccio.
La protagonista, Mina, scopre che il padre è morto e ritorna nel suo paese di origine.
Mina non mi è sembrata una persona divisa tra più identità (quella calabrese, quella marocchina, quella londinese)ma una persona senza identità. Questo si riflette nella scrittura: fortemente derivativa (mi dispiace dover scomodare Sally Rooney ma tant’è) e intrisa di frasi fatte. È uno di quei romanzi dove tutti i personaggi comunicano per slogan, perle di saggezza. I dialoghi sono irrealistici e tutti parlano la stessa lingua (i londinesi, i calabresi, gli Italo-marocchini, i tunisini). Mi è mancata la sincerità della scrittura, la verosimiglianza della parola.
Anche la protagonista l’ho percepita come molto costruita: rigida nel suo giudicare gli altri, rigida nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti. E quando sembra aprirsi una fessura nel suo cuore, lí arriva la scena volutamente intensa e drammatica, e quindi, mi ripeto, costruita a tavolino.
Nonostante ciò, il libro è pieno di sottolineature: ci sono frasi molto precise (su cosa significa amare, sulla perdita di sé stessi, sulla solitudine) che mi hanno colpito. Il potenziale c’è. Ma si vede che è un romanzo ancora immaturo.
Esse é um livro de seu tempo. No qual as ideias progressistas disfarçadas de empatia pelo outro, é antes de tudo um aconchego para o próprio ego.
É preciso abominar os preconceitos, aliar o desenvolvimento à agenda verde, não consumir plástico, construir escolas em um país da África, ser vegano, mas isso de nada valerá se não poder ser filmado e demostrado à todos nas redes. Tudo isso, descrito na primeira parte da obra é válido, mas extremamente enfadonho e muitas vezes contraditório para com sua protagonista. Se eu tivesse lido somente esse capítulo, não teria gostado da obra; todavia, há, nas três partes seguintes uma literatura bonita que aborda o pertencimento, a fuga, a condição do migrante e inadequação para com a vida.
A volta de Mina de encontro com o passado do pai, quando ele já não mais está presente, é também uma volta a si mesma, e quando o encontra, também encontra motivos para gostar um pouco mais de si, de se tratar com mais carinho e assim poder acolher a dor dos outros. Ainda que Mina seja uma protagonista detestável, ela também é uma pessoa de seu tempo, que ainda que demore, entende que “é muito difícil para aqueles que fazem da liberdade absoluta seu único credo admitir que há pessoas que não precisam ser resgatadas de suas vidas”.
Por fim, em algum momento, me lembrei de Bauman e sua compreensão da modernidade. Mas não me remeteu à Elena Ferrante; sendo, talvez, apenas um meio da editora de tentar captar leitores. Dito isso, eu gostei de 3/4 da obra e entendo de quem goste dela em totalidade.
È necessario sdradicarsi per riconoscersi? Tagliare dolorosamente ogni origine per ricostruire una identità, la migliore possibile. Forse è questo che cerca di fare Mina, creare un personaggio, trovare un ruolo, la migliore se stessa. Ma basta poco, una telefonata, un lutto, un assenza. Il ritorno è un viaggio nella vita dell’amato padre, così simile e così diverso. E questo viaggio apre orizzonti: nuovi, imprevisti, impensabili. Da leggere.
"Sai per cosa pregavo da piccola, notte e giorno? Non chiedevo ad Allah di riportarci baba. Non chiedevo di farci diventare ricchi. Chiedevo una cosa sola, cinque volte al giorno, ogni giorno. Cosa? Di farmi diventare maschio."
"Hai così tanta ansia di conoscerti, di aggiustarti, di farti nuova, di piacerti. Rincorri la vita e così facendo te la perdi."
“lo sai perché sei speciale? perché lo sei per me. e per i tuoi fratelli, per tua madre, per zahra, per samir. sei speciale perché ti ameremmo anche se non lo fossi”
libri pls basta farmi piangere tutte le mie lacrime grazie (10/10)
"Non si corre mai via da qualcosa, si corre sempre verso qualcosa." "...hai così tanta ansia di conoscerti, di aggiustarti, di farti nuova, di piacerti. Rincorri la vita e così facendo te la perdi."
Sinceramente? Pensavo meglio. Manca di incisività, questo romanzo. Avrei voluto leggere di sdradicamento, di sangue misto, di una patria che si cerca e che non si capisce quale possa essere, avrei voluto, come erroneamente mi aspettavo dalla pubblicità e dal vociare attorno a questo romanzo, leggere di rapporti familiari forti, conflittuali, di un cuore diviso dal mare, di assenze e di (ri)scoperte. Ho trovato personaggi appena abbozzati, anche stereotipati, una voce narrante ripetitiva, a tratti lagnosa (spessissimo legnosa) , mai in grado di emozionarmi, situazioni e dinamiche abbastanza prevedibili, un finale troppo sbrodolato (e prevedibile anch'esso, che non mi ha sorpreso e non mi ha emozionato, forse perché era chiaro, era proprio evidente che quella lettera, così, sia stata messa là, nell'ultima pagina apposta per farti scendere una lacrimuccia - lacrimuccia che non è scesa perché è tutto così studiato che sembra quasi farsesco). È un libro breve, questo, ma la sua lettura, da parte mia, non è stata veloce: queste pagine sono scorse lente, e non nascondo che un po' di noia si sia avvertita. Taccio un personaggio buttato là, verso la fine, più che mai abbozzato, decisamente poco credibile, che assume, paradossalmente, un'importanza decisiva nel giro di una trentina di pagine, personaggio che dovrebbe illuminarci, nella sua saggezza (almeno, alla protagonista/voce narrante succede questo), ma che a me non ha convinto affatto, e anzi, è stato uno scivolone grave che sinceramente avrei voluto evitarmi (proprio occhi al cielo...)... In definitiva, credo che sia un esordio sufficiente, ma nulla di più. Era un romanzo ambizioso, avrebbe dovuto avere una potenza esplosiva, ma non è facile scrivere di radici e di sdradicamenti, di migrazione e di crisi generazionali , di razzismo e di salute mentale, di figlie e di padri amatissimi. Troppa carne al fuoco, troppi personaggi cliché e probabilmente una scrittura che ancora deve maturare non hanno aiutato. Non è un libro brutto, sia chiaro, ma i romanzi belli, per me, quelli che ti fanno vibrare di emozioni, quelli che non ti dimentichi, sono altri. La copertina, al contrario, credo sia molto bella.
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Tangerinn è uno dei libri più belli del mio ultimo anno, perché parla di un conflitto personale in cui mi riconosco tantissimo, quello di chi ha fatto della proprialibertà il suo mantra e il suo orgoglio, ma a un certo punto non sa più che farsene, e quasi quasi cerca uno schema, qualcuno che ci dica chi essere, dove, come. È scritto in prima persona, rivolto ad una seconda, diretto, senza sconti. Sono così i libri che mi piacciono: hanno un messaggio da mandare a qualcuno da qualche parte. Qui il messaggio è esplicito e bellissimo: Mina si rivolge al padre, lontano ma amatissimo, in un momento di poco successivo alla sua morte. Omar, scappato dalla guerra e dalla miseria, arriva in un paesino del sud dopo bastoni tra le ruote e spinte gentili sulla schiena, ma la sua storia resta un mistero per Mina, che nel momento della sua scomparsa si ritrova persa, ad ammettersi sconosciuta a sé stessa. Come il padre Mina è partita, da un paese piccolo e dalle prospettive limitate, per andare a confondersi nella moltitudine di solitudini di una grande città estera. Viveva lì una vita esemplare, lucida e quasi robotica. Forse perché non si era mai sentita davvero a casa, forse perché non per imitazione ma per differenziazione dalla folla che ci si identifica, o forse perché, tornata al paese per il funerale del padre, ritrova lì molto più di ciò che credeva di averci lasciato, Mina torna sui suoi passi. Si intreccia tutto questo con una relazione madre figlia complicata, con un amore che non si ha il coraggio di guardare il faccia, con una terra che è luogo di passaggio, che conosce tante storie. Il finale è aperto, non sappiamo davvero cosa sceglierà Mina: ritroverà Nazim e affronterà la sua paura di non essere libera? Aiuterà la sorella Aisha a gestire il bar che è simbolo di accoglienza e quindi di per sé una bella storia da raccontare? Le parole sono scritte chiare, belle, naturali. Come le partorisce un cuore che non sa tutto e finalmente accetta che sia così. Smette di cercarsi ad ogni costo, iniziando solo, lentamente, a vivere. Fatevi un regalo, leggetelo.
“Gli occidentali hanno questa idea di sé talmente narcisistica da pensare che la persona che scegliamo di amare debba essere fatta apposta per noi, per meritarsi un tale impegno da parte nostra. Ma non è vero. Nessuno è speciale. E tutti meritiamo di essere amati. Quindi ama, dico io, e non ti lamentare.” (Citazione)
Questo libro è un esordio strepitoso che sa di the alla menta, radici, sogni lontani e poi vicini, sa di affetto e di giovane soffice egotismo, di storie che sembrano lontane e poi sono qui, con noi, tra le mura di casa, è il libro di una generazione abituata all’’allontanarsi da casa per trovare una strada, ma anche di una famiglia dalle radici profondissime.
“A quasi trent’anni mi sembrava troppo tardi per credere in qualcosa - eppure, mentre la fissavo di sottecchi incassare la mia risposta, non riuscivo a non pensare a quando ci aveva insegnato ad aprire gli occhi sott’acqua, e alle facce buffe che faceva, e a come assomigliasse, in momenti che adesso sembrano slabbrarsi nella mia memoria, alla persona che sarei voluta diventare. Avevo sempre invidiato la sua leggerezza. La cercavo altrove, fuori da me, e la confondevo con la solitudine, con la superficialità. Non capivo che non era affatto leggera, mia madre - al contrario, era intrappolata in quel corpo che l’aveva tradita, che non l’aveva saputa proteggere, che l’aveva resa vittima. Così si era scollata dalla vita, pur di non sentirsi. Osservandola adesso, provavo quasi una rassegnata tenerezza nei suoi confronti: eravamo così sole, desideravamo e insieme temevamo qualsiasi forma d’intimità. E questo trasformava ogni interazione fra noi in una piccola guerra di incomprensioni. Forse non mi guardava per non vedere se stessa. Sembravamo dirci: questo sei? E io? Io non sono questo. O forse sì? Da quando tu non ci sei più ho capito che la vostra presenza nel mondo, e la vostra assenza, mi definiranno e mi cambieranno giorno dopo giorno. Essere uguale o diversa da voi non è mai stato frutto del caso”
Un'altra storia su migranti, anche se un po' diversa rispetto a tante altre. Il libro è un intreccio di vicende narrate da Mina, ragazza italo marocchina, che da un piccolo paese del Sud decide di trasferirsi a Londra, per scappare dalla sua realtà che sente soffocante. Non riuscendo però a porsi delle domande e a darsi delle risposte ma decidendo solo di fuggire si troverà ad affrontare non solo il senso di colpa nei confronti dei suoi famigliari ma anche situazioni al limite del surreale, che le creeranno ancor più confusione. Un libro con più destinatari: il padre, la sorella, la madre... e che fa scaturire parecchie domande: quanto sono importanti le nostre radici, la nostra casa? come siamo quando non vogliamo farci vedere o cerchiamo di impersonare un personaggio fasullo? il passato, anche dei nostri genitori, è importante? e quanto pesano su di noi i loro sogni e quanto hanno costruito, magari sacrificando tanto delle proprie aspettative, pensando di lasciarcelo in eredità? Tangerinn non è un capolavoro ma godibile, anche se a tratti un po' noioso.
Storia del partire e del tornare, di un cuore in bilico tra quello che si desidera (o si crede di desiderare) e quello di cui si ha bisogno, tra la ricerca spasmodica di se stesso, con egoismo e invidia, e il prendersi cura degli altri. Libro che ci racconta due verità ovvero la sofferenza nell'essere cuore migrante e la serena apatia intrisa nell'accontentarsi.
Mina vive em Londres, mas se sente perdida mesmo com a vida que sempre quis. Quando o pai morre, ela volta para a pequena cidade italiana onde cresceu e reencontra o Café Tangerinn, o bar à beira-mar que ele mantinha. Entre memórias, reencontros e histórias sobre o pai, Mina começa a entender melhor suas origens e o que realmente significa pertencer. Uma história sensível sobre família, identidade e recomeços.
🌿 Minha experiência: Este livro me fez refletir sobre várias questões, especialmente imigração e pertencimento. Sou imigrante no Brasil há quase 10 anos e antes disso vivi na Inglaterra por 9 anos. Nasci em Portugal e morei lá até os 11 anos, então me identifiquei profundamente com a sensação de estar “em casa” e ao mesmo tempo deslocada. A história me conectou com os personagens de forma intensa e me fez pensar sobre o quanto somos privilegiados por sermos livres, muitas vezes livres de nós mesmos e das amarras que carregamos. Vale muito a pena ler e refletir sobre quem realmente somos e o que queremos mostrar ao mundo, nosso verdadeiro eu ou aquilo que os outros esperam de nós.
💭 Temas marcantes: * Família e memórias * Recomeço e autoconhecimento * Identidade, pertencimento e imigração
✨Por que ler este livro? Esta é uma leitura envolvente sobre família, raízes e recomeços. A história mostra como a imigração molda identidades, como os laços familiares e memórias nos transformam, e como é possível se redescobrir ao revisitar o passado. Uma narrativa sensível que faz refletir sobre pertencimento, escolhas e a própria jornada de autoconhecimento.
📖 Citação que me marcou: “Esperamos sabe-se lá o que da vida, esperamos e esperamos e esperamos pelo dia em que faremos ou teremos algo. Mas a vida não é nem fazer nem ter, não é? Você não tem, não faz — você é. E enquanto você for, deve se concentrar em ser feliz, não especial. O que você faz com o fato de ser especial?”
Mina je dcerou italské matky, která trpí depresemi a marockého otce, který se usadil v Kalábrii. Od malička čelí pomluvám okolí, a proto se v dospělosti rozhodne odjet a vybudovat si nový život. Myslí si, že se jí to daří, ale po šesti letech náhle umírá její otec. Mina se vrací zpět do rodné Kalábrie, kde zdědila bar Tangerin. V něm postupně nalézá své kořeny a podobnosti se svým otcem.
Toto je kniha, která se zabývá pocity dětí, které pocházejí ze smíšených manželství. Nedávno jsem četla knihu Zemička, která se zabývá stejným tématem a musím říct, že obě knihy ho zpracovaly skvěle.
V knize Mina hledá své místo, kam by mohla patřit. Kde by se jí nikdo nesmál, ale naopak jí bral takovou, jaká je. Zároveň odhaluje i minulost svého otce, aby zjistila, že podobné věci musel řešit i on sám.
Ze začátku mi chvilku trvalo, než jsem se začetla, ale po pár stránkách mě příběh pohltil, knihu jsem nemohla odložit a celý příběh mi před očima běžel jako film. Objevila jsem v ní spoustu nádherných myšlenek, a nakonec mi Mina přirostla k srdci.
Je to sice smutné čtení, ale rozhodně vás zasáhne a třeba i donutí zamyslet se na tím, jaké to je, když jste „donuceni“ žít v jiné zemi, než kde jste se narodili nebo kde máme kořeny.
Zajděte do baru Tangerinn i vy, třeba se s Minou potkáte.
"Talvez a ideia de conhecer a própria verdade seja totalmente ilusória, não existe uma parte mais verdadeira ou mais autêntica de nós que seja separada das outras, escondida no fundo de nós mesmos, imutável."
Un soffio caldo che porta pace e cura le ferite. A cavallo fra due vite, quella di Omar e di sua figlia Mina, si schiude limpido e cristallino un bellissimo dramma esistenziale che spinge fortissimo verso il desiderio universale di definire la propria identità. Penso che chiederò ad Emanuela Anechoum di farmi da terapeuta molto probabilmente. Scrittura limpida e senza convenevoli, “scavante”, profonda di quelle che ti mettono tutto davanti, e ti scioccano per la verità di quei pensieri. Mi ci sono aggrappata con tutte le mie forze e non lascerò andare questo romanzo molto facilmente.
Un romanzo interessante su temi direi contemporanei ma, allo stesso tempo, su cui ci si interroga da sempre. Chi sono io? Chi sono gli altri? Fino a dove arriva la finzione? Cosa vuol dire sentirsi persi e sentirsi, invece, appartenere? Qual è il mio luogo nel mondo? Ne devo avere uno? E ancora: la relazione genitori-figli, la differenza tra fare ed essere, accontentarsi o ambire al meglio? Mi è proprio piaciuto, sia, appunto, per gli argomenti trattati ma anche per la "voce" dell'autrice, anche se al suo esordio.
tornare nel paesino in cui sono nata è sempre uno spostamento fisico ma anche temporale e, per estensione, il paese stesso è un luogo geografico, chiaramente rintracciabile su una mappa, raggiungibile prendendo il treno e viaggiando per ore, da un certo punto in poi con il mare e la spiaggia che si allungano fuori dal finestrino, ma è anche un luogo dell’anima, un posto che ha imprecise coordinate nella memoria e potenzialmente infinite stratificazioni fatte di presenze e assenze, andate e ritorni, senso di appartenenza e desiderio di andare lontano.
tornare al paese significa collocarsi in uno spazio e in un tempo invisibili, impastati di ricordi, che si sovrappongono a quelli percepibili e rendono impossibile osservare le strade, la gente e gli edifici senza leggerci dentro un passato che è anche il nostro. in tangerinn, lo sradicamento della protagonista, che non ha punti fermi in quanto millennial e in quanto expat, richiama quello del padre prima di lei, esule in Italia dopo essersi dovuto lasciare il Marocco e la famiglia alle spalle, in cerca di fortuna. questa donna che non si riconosce allo specchio, che non sa definirsi perché ha sradicato da dentro di sé ogni radice la tenesse legate alla terra di origine, alla famiglia che ha lasciato in Calabria, sente di non conoscere davvero quel padre amatissimo, scomparso prematuramente. come conciliare i tasselli dell’identità paterna in suo possesso con quelli nelle mani di altre persone, come tessere insieme le diverse storie, come essere sicura di conoscere la persona che ha amato e come di conoscere sé stessa?
con una scrittura limpida ed evocativa, forte di suoni, immagini e colori, Emanuela Anechoum racconta di assenza e appartenenza, luoghi geografici e luoghi dell’anima, identità migranti, identità senza radici, identità che come il mare non trovano pace, in costante cambiamento.
Non é una recensione, ma uno dei passi che ho fatto piu’ fatica a leggere perche’ troppo denso, e vero.
“Bambina, amare qualcuno senza sforzo è una cosa che si fa solo a vent'anni. L'innamoramento, quello, quando capita, come viene se ne va, lasciandoti un lutto nel petto che verrà poi sostituito dal successivo. Invece l'amore è un lavoro. Impari ad amare le persone quando cambiano, quando ti deludono, quando ti sembrano sconosciute ed estranee - nel peggiore dei casi, impari ad amarle anche quando non le ami. Gli occidentali hanno questa idea di sé talmente narcisistica da pensare che la persona che scegliamo di amare debba essere fatta apposta per noi, per meritarsi un tale impegno da parte nostra. Ma non è vero. Nessuno è speciale. E tutti meritiamo di essere amati. Quindi ama, dico io, e non ti lamentare. Ma tu ami gli uomini, protestai. Ho amato un solo uomo. Di tutti gli altri mi sono innamorato velocemente e altrettanto velocemente li ho dimenticati. Ma perché non hai scelto di amare un uomo per sempre e di invecchiare insieme a lui? Rashid ci pensò su, poi scosse la testa. Non lo so. Non so che uomo sarei senza Amal, senza i miei figli. Ma in realtà sei solo! Siamo tutti soli. Mi guardai le mani per un attimo, prima di chiedergli se tu sapessi. Cosa? Che mentre dormiva accanto a me era mio fratello, il mio migliore amico, mio padre, mio figlio, mio marito, il mio amante?
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"Il romanzo di una generazione che sa di dover partire ignorando la destinazione". Tangerinn è davvero quello che promette di essere. È il romanzo di una generazione che si è autoconvinta che diventare the best version of you - qualsiasi cosa voglia dire - sia la cosa più importante. È il romanzo di una generazione dilaniata fra il desiderio di ammettere a sé stessa di sentirsi spaurita e confusa e i continui richiami all'ordine e alla felicità che riceve dai contenuti che consuma quotidianamente. È il romanzo di una generazione che ha realizzato che casa è un concetto confuso, dopo aver cercato di radicarsi ovunque, ossessivamente, invano. È il romanzo di una generazione a cui è stato insegnato che tutto deve essere entusiasmante e pieno di significato e che anela invece ad essere finalmente soddisfatta, ad accontentarsi di ciò che ha. È il romanzo di una generazione che ha fatto dell'ironia uno strumento di difesa e di lotta. Non ho mai sentito appartenermi con questa intensità così tante frasi in un libro come in questo.
Tangerinn è il romanzo della mia generazione ed esistendo mi ha dato e ci ha dato voce.
Como nos tornamos quem nos tornamos, quando não temos um ponto de referência?
Aos 30 anos, morando em Londres, Mina recebe a notícia de que o pai faleceu, e isso a leva de volta ao vilarejo onde nasceu na Itália, para enterrar seus mortos literais e figurados. É assim, em meio ao luto, à perda, à indignação, à dor, que ela confronta suas crenças e percebe que está tão perdida quanto estava quando saiu em busca da sua liberdade e identidade forjadas à base de se tornar confortavelmente invisível.
Os relacionamentos no livro são impecáveis. Os diálogos, que nunca são marcados, mostram a falta de limites entre o que Mina é, o que ela pensa de si e o que os outros pensam dela. Até os capítulos curtos parecem ter um papel aqui.
Café Tangerinn poderia ser uma história sobre fugas ou, ainda, como diz um dos personagens, sobre a diferença entre fugir e correr em direção a algo. Ainda assim, o que a italiana Emanuaela Anechoum faz é traduzir um amadurecimento em palavras de forma doce e esperançosa, apesar de todas as dores.
Tangerinn è il romanzo del non detto. Al lettore, però. Costruito come un dialogo/lettera della protagonista Mina al defunto padre Omar, è un susseguirsi di menzioni mai approfondite che alla lunga fanno calare l’interesse. Mina, giovane donna del sud Italia, marocchina di origine da parte del padre, fugge dal paesino per approdare nella City londinese che, ahimè, la rifiuta. O è lei che non trova il suo posto nel mondo? Tutte le relazioni che intesse sono false e superficiali compresa quella con il papà che idealizza alla ricerca di risposte, che non otterrà. Costantemente sfiduciata dalla vita, vagabonda per 240 pagine senza trovare pace. E con lei il lettore.
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Un libro poetico, una sorta di flusso di coscienza di ricordo che affiorano nella mente di Mina che a 30 anni viene raggiunta dalla notizia della morte del padre. Lei vive a Londra, lui in Sicilia, sono di Tangeri, emigrati da decenni. E non si vedono da anni. Comincia dunque la serie dei ricordi, alternata al presente. Mina crescerà improvvisamente, tornerà dalla madre e dalla sorella per 6 mesi e poi non sarà più la stessa. Carino, per i miei gusti succedono poche cose, molto sentimentale. Ma da leggere
Un tema trito e ritrito. La solita storia della giovane persona spaccata tra due culture, tra il sono e il vorrei essere che infine trova se stessa nel punto da cui è partita. Insomma, leggibile ma non originale.