Quanto pesa la famiglia nelle scelte che compiamo? Fino a che punto le aspettative dei genitori influenzano la nostra realizzazione personale, economica e affettiva? E, soprattutto, come possiamo inseguire i nostri desideri senza tradire le nostre radici? Ci sono legami invisibili che spesso ci trattengono, aspettative che non ci appartengono, paure che non sono davvero nostre. Diventare adulti significa imparare a riconoscerli e, quando necessario, a prenderne le distanze. Ma come si fa senza provare sensi di colpa? In La distanza che cura, la dottoressa Valeria Locati, psicologa e psicoterapeuta della coppia e della famiglia, affronta con lucidità e delicatezza il tema dell'indipendenza emotiva dai genitori e dai condizionamenti familiari, una sfida cruciale per i giovani di oggi alle prese con il difficile equilibrio tra autonomia e appartenenza. Con uno sguardo attento ai Millennial e alla Generazione Z, l'autrice ci invita a riflettere su tre pilastri fondamentali della vita adulta - la scelta del partner, l'indipendenza economica e la realizzazione professionale - mostrandoci come la famiglia, con le proprie dinamiche interne e i miti narrati e tramandati di generazione in generazione, spesso diventi una gabbia che ci impedisce di evolvere. E, attraverso racconti tratti dall'esperienza clinica e dalla narrativa, ci accompagna in un percorso di consapevolezza e riposizionamento, insegnandoci a riconoscere i legami che ci condizionano e a ripensarli senza subirli. "Ci si svincola creando confini, limiti, definizioni, regole chiare, non barriere o assenze. È la distanza che cura, non lo strappo, non il rimanere, non il soccombere": la "giusta distanza" per allontanarsi e poi ritornare con una nuova consapevolezza di sé e del proprio posto nel mondo.
Non ho apprezzato il libro perché l'ho trovato poco centrato e scritto malissimo, con un tono da tesi di laurea che non coinvolge i lettori, frasi fumose e involute. Ma non c'è un editor?
Credo che l’argomento del libro sia molto valido e, da expat, ha subito attratto la mia attenzione e curiosità. Il libro offre sì spunti, ma spesso è come se mancasse qualcosa, sentivo come l’esigenza di andare più a fondo e non semplicemente lanciare un concetto lì e spostarsi su altro. Soprattutto nella mia prima parte, ho notato che si saltava da un paragrafo all’altro e si interrompeva con casi clinici senza aver concluso ciò che si stava dicendo. Potrebbe essere dovuto al target di riferimento dell’autrice che mirava a non voler dare troppo tono scientifico al libro (credo). Comunque il libro offre dei takeaway e degli spunti di riflessioni sicuramente, ma ho dei dubbi circa lo stile con cui è stato scritto.
Sono riuscita a seguire poco. Ne ho tratto pochi spunti di riflessione nuovi. Mi sono invece piaciute molto le citazioni letterarie contestualizzate e prese in prestito molto bene. sicuramente meglio la seconda parte della prima. Mi sono rimaste due frasi (una dell'autrice e l'altra presa dal mio romanzo preferito).
"Se è la distanza che cura, è lo strappo che invece ammala."
"Sono colui che vi aveva condannato a morire di fame e che invece vi perdona, perché egli stesso ha bisogno di perdono: sono Edmond Dantės!" [ALEXANDRE DUMAS, Il conte di Montecristo]