Il 1º agosto 1872 un padre, una madre e un bambino sbarcano a Port Louis, capitale di Mauritius. Arrivano da un piccolo villaggio dell'India. Ingaggiato come lavoratore a contratto, il padre coltiverà i campi di canna da zucchero della colonia britannica. Insieme alla sua famiglia insegue il sogno di un futuro migliore. Ma le illusioni si scontrano presto con la realtà. Quel padre, quella madre e quel bambino sono gli antenati di Nathacha Appanah. La memoria fragile racconta un popolo, un paese, e una storia la storia dei migranti di ogni luogo e di ogni tempo.
«La memoria fragile parla di infanzia, di segni, e di quei fili invisibili che ci legano gli uni agli altri oltre gli anni e le distanze». «Le Monde»
Storni che disegnano suggestive forme nel cielo, mormorando messaggi ogni anno questi uccelli migrano in cerca di un luogo piú adatto allo svernamento. È un'urgenza innata, insita nelle loro ali la direzione da prendere. Osservando quella misteriosa coreografia aerea, Nathacha Appanah ha l'impressione di comprendere finalmente il racconto di migrazione della sua famiglia. Una storia solo le sfugge tra i vecchi ricordi, tra i silenzi dei genitori, tra le righe dei romanzi che ha scritto. Per Appanah una data, il 1º agosto 1872, segna il punto di partenza di un viaggio nel tempo alla ricerca delle radici. Per i suoi antenati quel giorno rappresenta invece un punto d' sono appena approdati a Port Louis, capitale di Mauritius, dopo una traversata di molte settimane. Padre, madre e figlio undicenne hanno lasciato il loro villaggio dell'Andhra Pradesh, in India. Il padre è stato reclutato per coltivare i campi di canna da zucchero dell'Impero britannico. Sarà un lavoratore a contratto, un coolie. Le condizioni sembrano molto vantaggiose, la vita nella piantagione ha i colori del futuro sognato. Le illusioni, però, si scontrano presto con la realtà. Ingaggiati per sopperire alla mancanza di manodopera in seguito all'abolizione della schiavitú nelle colonie, i coolie, perlopiú provenienti dall'Asia, sono pesantemente sfruttati, vincolati da contratti disumani, retribuiti con la stessa miseria da cui scappano. Mauritius diventa per moltissimi indiani la nuova casa, anche per le generazioni successive. Ma il cuore conserva sempre la traccia delle origini. Come per i nonni paterni di Nathacha Appanah, nati e cresciuti sull'isola agli inizi del Novecento, che parlavano telugu e rispettavano le tradizioni indú senza aver mai conosciuto il paese degli avi. A loro l'autrice dedica un ritratto luminoso e toccante, a queste due figure che sono per lei dolcezza dei pomeriggi d'infanzia, anello di congiunzione con il passato, coraggio di aprirsi all'avvenire. Riflettendo su temi quali il colonialismo, il razzismo, le migrazioni, Appanah ripercorre i passi della sua famiglia con poetica delicatezza. Le sue parole hanno la forza di sconfiggere l'oblio a cui sono condannate le storie taciute.
Nathacha Devi Pathareddy Appanah is a Mauritian-French author. She comes from a traditional Indian family.
She spent most of her teenage years in Mauritius and also worked as a journalist/columnist at Le Mauricien and Week-End Scope before emigrating to France.
Since 1998, Nathacha Appanah is well-known as an active writer. Her first book Les Rochers de Poudre d'Or (published by Éditions Gallimard) received the " Prix du Livre RFO". The book was based on the arrival of Indian immigrants in Mauritius.
She also wrote two other books Blue Bay Palace and La Noce d'Anna which also received some prizes for best book in some regional festivals in France.
In 2007, she released her fourth book " Le Dernier Frère " Ed de L'Olivier. This book won the Prix FNAC.
جزء من السيرة الذاتية للكاتبة تسترجع فيها أصولها الهندية التي جلبت الى جزر موريشيوس في إطار نظام السخرة . الذاكرة المشتركة و المتأصلة بين الجذور و الفروع .
“Nondimeno il ricordo dei figli smarriti non è svanito. Ha attraversato la storia della famiglia, forse all’inizio in modo vivido, con i loro nomi e i loro volti ancora impressi nella memoria dei genitori, del fratello. Poi si è sgretolato un po’, si è sfocato, rimpicciolito, è diventato un bambino, un fantasma, una diceria che si tramanda ancora da una generazione all’altra, da una bocca all’altra, come il mormorio degli storni.”
Fragile, come la memoria che smette di essere tramandata di generazione in generazione. Fragile, come la ricerca di andare a fondo per rispondere alle domande “Chi sono? Da dove provengo? Chi erano i miei antenati?” Imperfetta, come può essere la memoria se tutti i tasselli non vanno al loro posto. Profonde, come sono le radici di ciascuno di noi.
La ricerca dell’autrice giunge a dei numeri
“Il padre del mio trisnonno ha il numero 358444, aveva quarantacinque anni. La madre del mio trisnonno aveva trentanove anni, le autorità britanniche le hanno assegnato il numero 358445 e al loro figlio, di soli undici anni, il numero 358448.”
La memoria fragile di Nathacha Appanah-Mouriquand è la storia di tutti i migranti, la storia di tutti noi.
La memoria fragile è anche un gesto d’amore verso i propri antenati, un memoriale, un mettersi in ascolto di quelle ceneri sparse ovunque
“Immagino questo momento sospeso, fuori dal tempo e dallo spazio, punteggiato dai bisbiglii fruscianti in hindi, in bhojpuri, in creolo. Immagino la fila composta degli anziani del villaggio, coloro che, come i miei nonni, sono nati con l’odore della canna da zucchero, che non sanno né leggere né scrivere, accompagnati dai figli e dai nipoti. Immagino tutte le mani giunte e le preghiere silenziose per i miei nonni sul loro letto di fiori profumati: garofani indiani, rose, ibisco, frangipane. Com’è bella la grazia che li accompagna nella loro ultima traversata. Com’è bello l’omaggio dei vivi per la loro ultima migrazione.”
l'autrice se penche sur des bouts de son histoire familiale. Le récit reconstitué, deviné, parfois sans doute inventé, de ses lointains ancêtres qui ont quitté l'Inde et bravé l'océan noir pour rejoindre l'île Maurice au 19e siècle.
Pas vraiment des esclaves mais des exploités dans les propriétés de canne à sucre, à la recherche d'une vie meilleure, avec un double désir d'intégration mais aussi de perpétrer les traditions pour les premières générations installées. Pour les suivantes, un passé occulté, des non dits dans les mots, dans les peurs et interdits, mais qui imprègnent tout autant le parcours des descendants.
Assez décousu, pas vraiment un roman, pas vraiment une fiction. Assez poétique avec plusieurs photos de famille mais aussi d'endroits ou d'oiseaux volant en nuée. J'ai bien aimé les moments où l'autrice décortique ses pensées, ce qui l'a amené à écrire les mots précédents.
Comme toujours avec Natacha Appanah, on se trouve un peu perdu à la fin de son livre, comme si le temps s’était arrêté ou comme si on avait besoin d’une pause pour revenir au monde. C’est un hommage magnifique à sa famille, à son histoire et à l’histoire des indiens de l’Ile Maurice.
Nathacha Appanah ouvre son récit avec une photo et une explication de la murmuration des oiseaux, elle le termine aussi avec une petite métaphore entre la murmuration et l'histoire familiale qu'elle vient de raconter avant de terminer sur une dernière photo de murmuration (il y a plusieurs photos dans le livre, ce que j'ai assez apprécié!).
La métaphore est assez subtil, mais adéquate, en effet, le récit d'histoire familial qu'Appanah propose est fait de murmures, de petits détails et d'archives, qui forment un tout gigantesque, mais dans l'autrice doit quand même imaginer les formes et les détails faute de pouvoir connaître l'entiereté de l'histoire, c'est pour ça qu'il ne s'agit pas vraiment d'un mémoire - ni d'un roman - , mais d'un récit familial morcelé, narré, imaginé par moment et fragmenté de par les indices, les récits, les non-dits et les anecdotes, parfois +/- fiables ou qui diffèrent légèrement.
On apprend qu'il s'agit d'un projet qu'elle a depuis près d'une vingtaine d'année, c'est Appanah (et sa famille), l'histoire coloniale n'est jamais bien loin et explique la trajectoire familiale et du récit qui est élaboré.
Parmi les forces du roman, autre que cette "reconstitution" fragmentée, est le style d'Appanah qui est là en force, autant de par les images que les métaphores, les indices laissés dans le texte pour mieux y retourner, revoir des mêmes scènes sous différents angles, narratifs, fragmentaires, poétiques, etc. On mélange autant les styles que les images (et photos) pour tracer une histoire aux contours difficiles à cerner et le texte et la narration rendent très bien ces limites et les questionnent élégamment.
Un des très bons récits d'Appanah, à lire absolument si on aime moindrement un peu à l'autrice à mon avis.
Une écriture douce et poétique qui nous emmène dans les méandres de l'histoire familiale. Qu'est-ce qui pousse une famille à quitter son pays natal ? Que faire quand l'espoir d'une vie meilleure se retrouve réduit à néant ? Y a-t-il encore du temps pour rebondir ?
No era el què esperava. Crec que la portada i la sinopsi fan pensar en què el relat pot escapar més d'allò personal per parlar del treball no abonat i el seu paper a Illa Maurici. És un cúmul de records familiars, amb una certa profunditat i incursions poètiques. No hi he connectat. Probablement la intenció de l'autora tampoc era fer cap assaig sobre l'illa per a turistes.
Un livre sur la tragédie familiale de l'autrice : celle d'avoir été déportée sur l'île Maurice par les anciens colons britanniques et condamnée à de l'esclavagisme déguisé. Un récit unique servi par une écriture poétique qui lève le voile sur une partie de l'histoire omise dans nos livres scolaires.
Tant qu’il y aura des mers, tant qu’il y aura la misère, tant qu’il y aura des dominants et des dominés, j’ai l’impression qu’il y aura toujours des bateaux pour transporter les hommes qui rêvent d’un horizon meilleur.
Très belle narration de Nathacha Appanah. Étant moi-même mauricienne, je me suis beaucoup identifiée à travers ce livre. Plusieurs morceaux m'ont émue, mais m'ont aussi emmené un sourire nostalgique pendant la lecture. Je recommande fortement La mémoire délavée à toute personne qui souhaiterait en apprendre plus sur la descendance Indienne à l'Île Maurice.
Dans un magnifique premier chapitre plein d'incertitudes, de questions et de poésie, Natacha Appanah nous parle du mystère que constituent les murmurations d'étourneaux, ce qui lui permet de commencer à s'interroger sur ce qu'est la mémoire. La Mémoire délavée nous propose une réflexion sur la mémoire et son fonctionnement autant qu'un récit sur les origines familiales. Entre 1834 et 1920, après l'abolition de l'esclavage, les colons manquèrent brusquement de main d'oeuvre et trouvèrent dans certains pays où la misère est endémique, l'Inde entre autres, une main d'oeuvre bon marché (très bon marché). On transporta cette main d'oeuvre en bateau, dans des conditions souvent épouvantables, là où le besoin se faisait sentir, dans les plantations de canne à sucre de l'île Maurice, par exemple. Les arrivants s'engageaient à servir pendant plusieurs années, d'où le nom de cette pratique, l'engagisme. Contrairement à ce qu'elle avait toujours cru (ou voulu croire, nous explique-t-elle), à savoir que c'étaient ses arrière-grands-parents qui étaient arrivés sur l'île Maurice au début du XXe siècle et qu'ils avaient rejoint une communauté déjà installée, elle découvre que ce n'est pas le cas. En 2022, elle entre en possession de trois fiches des archives qui lui prouvent que c'est le grand-père de son grand-père qui est arrivé le premier, dans les conditions que l'on connait, et non pas dans celles que sa mémoire lui renvoyait : « Mon esprit les a lavés, ces ancêtres, essuyé leurs visages, coiffé leurs cheveux, habillé de vêtements propres, éloigné des cales de bateaux et de la perspective du labeur quotidien des champs de canne. C'est une image presque proprette. C'est une mémoire délavée » (p. 30). Natacha Appanah possède bien peu de renseignements sur les deux générations qui ont précédé celle de ses grands-parents, mais elle s'attache ici à recueillir tout ce qu'elle peut. Elle retracera surtout la vie de ses grands-parents, toujours en s'interrogeant sur la mémoire et sur son étrange fonctionnement, avec ses détours, ses oublis, ses transformations, sa réécriture, en somme… Je reste sous le charme de l'écriture de l'autrice et de la forme qu'elle a donné à cet ouvrage. On y sent toutes ses interrogations, ses hésitations, ses doutes, son envie de transmettre des souvenirs « vrais » tout en étant consciente de la gageure. Elle s'interroge beaucoup sur la transmission volontaire des souvenirs et sur la mémoire transgénérationnelle, sans apporter de réponse, bien sûr, mais avec une sincérité et de fréquents retours sur soi qui m'ont infiniment touchée. Un très beau livre.
Un récit bouleversant, l’amour d’une famille auquel se mêle les traditions et les croyances. Un hommage à sa famille, à ses grands-parents, à tout ce qu’ils lui ont apporté. Le temps est suspendu pendant la lecture, une fois terminée on a juste envie d’y retourner.
Natacha Appanah nous offre un témoignage de son histoire familiale. Ses aieux ont tout quitté pour un contrat d'engagé sur l'Ile Maurice. Elle essaie de reconstituer la biographie des aieux, grâce à la mémoire orale et quelques bribes d'archives, malgré les oublis et les tabous. Cette histoire raconte le déracinement et l'exploitation des engagés indiens à Maurice, à La Réunion et dans tant de colonies, contraint de travailler dans les champs de cannes à sucre dans des conditions misérables et dans une subordination totale, sans jamais pouvoir revenir chez eux. Le livre raconte l'humiliation des engagés, et la volonté de faire face et d'ascension sociale. Ce livre raconte également le cheminement de Natacha Appanah en tant qu'autrice, car elle avait ressenti le besoin d'abord d'aborder cette histoire familiale à travers un prisme romanesque, pour finalement s'orienter vers une biographie familiale sous forme de témoignage. Ce roman est intéressant pour qui s'intéresse à l'histoire de Maurice et de l'engagisme, mais n'a pas de portée romanesque, c'est vraiment un témoignage familial.
Publié dans la collection Traits et portraits, ce livre nous emmène sur les traces des ancêtres de la romancière venus d’Inde lors de l’engagisme, un détail de l’Histoire que je ne connaissais pas.
J’ai aimé la mémoire défaillante des souvenirs des anciens, les archives qui ne donnent que des noms et des chiffres mais ne disent rien des personnes, de leurs émotions, de leurs pensées.
J’ai aimé découvrir le grand-père et la grand-mère de Natacha, l’erreur du grand-père qui lui confère son caractère et son maintient si particulier.
J’ai aimé la ténacité de sa grand-mère devant la maladie de son fils.
J’ai aimé que le souvenir du grand-père devienne de plus en plus fort et brillant au fur et à mesure des souvenirs.
L’image que je retiendrai :
Celle des fleurs à foison présentent lors du mariage et de la crémation des grands-parents de la romancière.
L'autrice s'interroge sur la forme littéraire que prendra son récit et utilise ll'image du vol d'etourneaux comme modèle (son caractère mystérieux, défensif, liquide). On entre ensuite dans le récit à proprement parler, qui reprend l'histoire de sa famille, de la migration de ses ancêtres vers l'île Maurice, où ils s'etaient engagés pour remplacer les esclaves. Documents d'archive et souvenirs familiaux se mêlent. Elle illustre son propos à l'aide de documents d'époque et de photos familiales (illustrées). Des anecdotes et coutumes surnagent : il y a une reflexion sur ce qu'il reste après la mort des plus anciens (qq objets, des gestes...).
L'engagisme (dont ce que je sais tient en qq phrases) n'est pas au centre du recit mais les qq faits qu'elle nous relate (la ration mensuelle, le salaire, les habitations...) illustre vivement l'exploitation au coeur de ce système.
Nathacha Appanah signe un premier texte dans la bien nommée maison du Mercure de France, dans cette collection Traits et portraits qui a accueilli de nombreux auteurs qui comptent, de Pierre Guyotat à Philippe Sollers, en passant par Marie NDiaye. La Mauricienne, qui a choisi le français plutôt que l’anglais, propose son ouvrage le plus intime, en forme d’hommage à ses grands-parents. Elle remonte jusqu’à son trisaïeul par l’entremise des archives de cette île de déracinés, débarqués de la terre des Dravidiens.
C’est le récit le plus intime que j’ai pu lire de Natacha Appanah, et pourtant, malgré le caractère très personnel du livre, elle nous raconte ici un pan d’Histoire bien trop méconnu : l’engagisme, cet exode de masse ayant principalement mené vers les différentes colonies après l’abolition de l’esclavage. Nous sommes tous concernés par cela, et le message est clair, limpide même : n’oublions pas. Continuons d’honorer la mémoire de nos anciens, car leurs sacrifices ont mené à la nous sommes aujourd’hui.
Superbe écriture. L'auteure raconte avec beaucoup d'émotions et de tendresse l'histoire de ses aïeux. Elle mène une véritable enquête ; à partir de souvenirs de ses proches très ténus, de petites phrases rapportées , des silences, ... elle découvre que ses aïeux sont des coolies indiens arrivés à l'île Maurice non pas au début du 20ème siècle comme le racontait sa famille mais en 1872. Ils étaient venus pour travailler dans les propriétés sucrières. Elle nous rend ses grands parents très proches ; ce livre leur rend un bel hommage.
Joli récit rempli d’affection et de piété filiale. La réside aussi une faiblesse. Cette vision figée d’un passé sur lequel on fait peser le misérabilisme ambiant. Les aventures humaines de l’exil, les adaptations nécessaires et stimulantes autant que cruelles parfois deviennent un bien tiède « ah la tragédie des dominés » avec toute la condescendance de notre époque sûre de ces certitudes à la mode.
caotico, un insieme di pensieri della narratrice un po' vaneggiante, non c'è una vera storia da seguire a ho trovato poco chiari i collegamenti tra i familiari. la scrittrice a volte ostenta l'uso di paroloni in maniera non necessaria. Tuttavia la storia della sua famiglia é interessante e ha del potenziale per un romanzo.
Une fresque d'un passé familial perdu, incomplet et douloureux pour le narrateur. On ressent ce besoin de réponse et en même temps cette soif d'histoire.
Pour autant je n'ai pas vraiment pu rentrer dans l'histoire...
Récit très touchant des origines et de la petite enfance de l'auteure. Dans une langue poétique et légère, ce livre m'a aussi beaucoup appris de l'histoire de l'île Maurice et j'ai tout particulièrement aimé le choix des photos.
She is trying to create a narrative out of fragments of information and jumps from thought to thought/fragment to fragment too much without establishing a real connection with the reader; feels disconnected
un recit personnel de l'histoire de la vie de l'auteure avec ses grands parents et de leur vie avant sa naissance pais aussi un recit historique et social de l'engagisme des coolies à l'ile maurice et de la vie dans ces exploitations de canne à sucre.