Cosimo, Italo e Vanda sono bambini di appena dieci anni con i sogni, la voglia di scoprire il mondo e la spensieratezza dell’infanzia intrappolate dalla Seconda guerra mondiale. Mentre l’intera nazione vacilla, i tre, di fronte alla scomparsa di un amico, non hanno devono partire per una missione di soccorso. La loro fuga darà il via a una seconda, disperata missione di soccorso, quella di una suora e di un militare in convalescenza che subito si mettono sulle loro tracce.
Nel 2023 da questo libro è stato tratto un film omonimo diretto da Claudio Bisio.
Dal film omonimo che ne ha tratto Claudio Bisio, sua prima regia.
Quando i nazisti rastrellarono il ghetto di Roma, tra i 2091 deportati c’erano anche 281 bambini. Nessuno di loro è ritornato.
Il cammeo di Claudio Bisio nel suo film.
Immagino che Fabio Bartolomei abbia voluto dedicare a loro questa sua favola tenera e gentile, che è al contempo quintessenza del romanzo di formazione.
È anche un altro modo per tenere viva una memoria che in molti vogliono rimuovere: il fascismo ha fatto anche cose buone, il confino era una villeggiatura, l’Olocausto non mi interessa, degli ebrei non voglio sentire perché la politica non mi interessa, c’ho la svastica tatuata perché me piace… proseguendo con amenità simili dubito che il Giorno della Memoria rimarrà in calendario ancora a lungo.
Grazie, Fabio.
L’immagine sulla copertina.
Il film di Claudio Bisio, secondo me, è quello che si può definire un buon adattamento: fedele al romanzo, ma sa dove distaccarsene. D'altronde, si tratta di due arti diverse, ciascuna con regole sue.
Italo, Vanda, Cosimo. Tre bambini con tanti sogni, come tutti i bambini della loro età. Italo sogna di diventare come il fratello Vittorio, valoroso sergente dell’esercito del Duce. Vanda sogna una mamma e un papà che la portino via dall’orfanotrofio e che le facciano conoscere l’amore di una famiglia. Cosimo sogna avventure eroiche e coraggiose, in quel mondo di adulti così difficili da capire. Ma siamo nel 1943, e la vita è dura e incomprensibile per molti. Quando Riccardo, amichetto di tutti e tre, improvvisamente scompare, Italo, Vanda e Cosimo decidono di andare a cercarlo. “Hanno visto che lo caricavano su un treno e che lo portavano via!”, “Ma Riccardo?! Perché? Cos’ha fatto di male? E’ un nostro nemico?” sono solo alcune delle domande che ingenuamente si pongono, non capendo come la loro isola fanciullesca, fatta di risa, giochi e complicità, sia andata in fumo così, da un giorno con l’altro. Non va bene, proprio no. Perché Riccardo è uno di loro, è un loro amico e non un loro nemico, per quanto ne dicano i tedeschi, che l’hanno caricato senza motivo su quel treno per portarlo via. Ma via dove, esattamente? Italo recupera uno schizzo che un soldato tedesco, in visita a casa loro, aveva portato al fratello sergente, e secondo loro è in quello schizzo che si trova la risposta alla loro domanda. E’ una sorta di fienile, anzi, no, forse un campo, (“Sì, un campo!”) dove arrivano i binari del treno. Ecco dov’è stato portato Riccardo! E così i tre ragazzini fuggono sulle tracce del loro amico, seguendo un’improbabile traiettoria guidata dai binari del treno, e camminano per giorni e notti, attraversando campagne e casolari e imbattendosi in contadini, viandanti, soldati tedeschi e soldati italiani. Tutt’intorno c’è paura, fame, confusione, “sembrano tutti cattivi!”. A loro volta, Vittorio e Suor Angela, del convento di Vanda, allarmati per la loro scomparsa, si lanciano in una seconda missione di soccorso, per ritrovarli e riportarli a casa il prima possibile. Finirà tragicamente, ve lo dico subito, ma in fondo, per una trama del genere, c’è da aspettarselo. Ciò che conta è la delicatezza, quello sguardo da bambino ingenuo, confuso ma coraggioso, con cui viene narrata. Mi ha ricordato quella di un piccolo grande capolavoro come “Il bambino col pigiama a righe”, quell’ingenuità di chi vede il mondo senza differenze, senza cattiveria, senza pregiudizio. Un mondo pulito, che però viene macchiato. E l’immagine di quel treno, circondato da arbusti e con sei biglie davanti, su uno sfondo giallo ocra, in copertina, è l’immagine perfetta per introdurci in questa fiaba malinconica, testimonianza di quanto quel tempo abbia falciato vittime innocenti anche nei modi più improbabili e diretti.
Tre stelline e mezza.. Gli avvenimenti della seconda guerra mondiale visti con gli occhi dei bambini, inconsapevoli di quello che sta succedendo intorno a loro ma solidali e pieni di buoni propositi quando si tratta di decidere di andare a riprendersi un amico, portato via, perché Riccardo per loro avrebbe fatto lo stesso. È stata una lettura veloce, una storia triste, raccontata con delicatezza dall'autore, giusta, perché no anche in questo periodo, per non dimenticare.
Tra le 2091 persone di religione ebraica deportate durante l'occupazione di Roma c'erano anche 281 bambini. Nessuno di loro è tornato. La storia di tre bambini - Italo, Cosimo e Vanda: il piccolo balilla che gonfia il petto per la vuota importanza del padre e del fratello Vittorio, eroe di guerra; il figlio di un deportato per ragioni politiche, orfano di madre, che vive col fratellino e con il nonno; e l'orfana grossa e sgraziata, che non verrà mai adottata, affidata alle cure di suor Agnese che le vuole bene come a una figlia - che durante l'occupazione tedesca di Roma del 1943 si trovano a giocare insieme nello stesso cortile con Riccardo, un bambino di cui sono fieri di essere amici per il suo altruismo, che purtroppo viene deportato perché ebreo. Italo, Cosimo e Vanda non riescono a spiegarsi cosa possa aver fatto Riccardo, un bambino di dieci anni, contro i tedeschi, e decidono di partire in missione verso il "campo" in cui è stato portato, per farlo liberare. Sono dieci giorni di viaggio durissimo, in cui sono perennemente stremati dalla fame, mentre dietro di loro suor Agnese e Vittorio li inseguono preoccupati del loro benessere. Ancora una volta Fabio Bartolomei racconta una storia dal punto di vista ingenuo e fiducioso dei bambini, che credono che il mondo sia semplice, limpido e buono come loro, e che si devono scontrare con una malvagità inspiegabile che li costringe, purtroppo, a crescere in fretta.
Un libro delicato che usa un linguaggio semplice e che, per questo, riesce ad arrivare dritto al punto, riesce a lanciare un messaggio forte e chiaro su cosa sia stato vivere in quel periodo, durante le battute finali della seconda Guerra Mondiale. E lo fa da un punto di vista diverso, o almeno per me è la prima volta che leggo quest'altra faccia della guerra, quella dei bambini italiani, alcuni figli di camerata, altri orfani, o figli di persone comuni che si ritrovano insieme a vivere gli ultimi istanti di innocenza.
«Allora dobbiamo promettere di diventare dei grandi diversi». [...] «Diversi come?». «Diversi che non facciamo cambiare tutto, che non ci dimentichiamo le cose belle, quelle che ci piacciono di più almeno».
Fabio Bartolomei ha scritto un bel libro, triste e poetico insieme, dove i protagonisti sono Vanda, Cosimo e Italo tre bambini ignari di quello che realmente sta accadendo intorno ad essi, ma uniti nel voler riportare a casa un amico. Il tocco in più sicuramente la voce di Claudio Bisio.
***1/2 Bello, poetico, triste. Come solo i bambini potrebbero salvare il mondo. Anche se poi uno pensa a Lord of the Flies e rivaluta...
Lì l’unico gioco tollerato era la capanna di lenzuola e cuscini. Per due settimane, [...], aveva affrontato uragani e tempeste di neve, aveva abbattuto e ricostruito il rifugio con incrollabile fede nell’unica meta che l’infanzia e certe forme di demenza hanno in comune, la vittoria finale.
«Madre, la preghiera d’intercessione per la pecorella smarrita sta per iniziare ma non trovo sorella Agnese» La madre superiora sospira bonariamente. «Ci toccherà pregare il doppio. Abbiamo appena smarrito anche la pastorella».
«Sì, anche io a volte, però lo so che da grandi cambia tutto. Quando si cresce non si pensano le stesse cose di adesso». «Allora dobbiamo promettere di diventare dei grandi diversi». [...] «Diversi come?». «Diversi che non facciamo cambiare tutto, che non ci dimentichiamo le cose belle, quelle che ci piacciono di più almeno».
“Non mi ero mai sentito tanto felice per così poco” si stupisce Cosimo, troppo preoccupato di contenere le lacrime per capire che quel “poco” è un mondo nuovo, ineluttabile, fatto di tesori che starà a lui vedere o non vedere, sentire o non sentire. Un mondo in cui, senza nemmeno rendersene conto, è appena entrato. In trionfo. Da re con le scarpe rotte.
il punto di vista dei bambini è sempre così dolce, tenero, sovversivo. Ho adorato i 4 bambini protagonisti di questo libro, o forse sono 3 ... perchè uno di loro fa capolino solo a inizio libro, giusto il tempo di farsi amare e poi sparire nel nulla. E' proprio quello che fanno la guerra e l'olocausto.... fanno sparire le persone, disfano le famiglie, distruggono le amicizie, a meno che i tuoi amici non siano così forti da venire a cercarti. Una meravigliosa avventura, la scrittura ti tira dentro mani e piedi nel nostro passato.
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Questo libro di Fabio Bartolomei, a mio avviso, non c'entra nulla con i suoi precedenti. È un racconto di bambini, fascismo, guerra e deportazione. Ed è un bel racconto, ma mi è mancata la dimensione fantastica, fantasiosa, sorprendente che c'era nelle sue opere precedenti (soprattutto in We Are Family, il suo libro che ho preferito).
Era tanto che volevo rileggere Bartolomei, sono davvero contenta, ho letto un romanzo bello, tenero, toccante. Mi è piaciuta la delicatezza con cui è riuscito ad affrontare il tema della deportazione degli ebrei nei campi di concentramento, un argomento trattato più e più volte, ma l'autore è riuscito ad essere originale ed a non cadere nel solito moralismo. La storia racconta di tre bambini che intraprendono un viaggio per ricondurre a casa il loro amico portato via con un treno, divertenti le situazioni che devono affrontare e le perplessità che si pongono quando, una volta giunti a destinazione, dovranno chiedere la liberazione del loro amico. «Niente, è solo che secondo me i tedeschi non lo sanno che Riccardo è buono. E allora potremmo andare a parlarci, così magari ce lo restituiscono». Capiranno purtroppo che questo viaggio non è un gioco, fame e fatica si faranno sentire fin troppo presto e conosceranno purtroppo anche le altre bruttezze della guerra. Il consiglio dell'autore è quello di tornare ad essere spensierati ed incoscienti come i bambini e non dimenticare mai le piccole cose che ci rendono felici. «Sì, anche io a volte, però lo so che da grandi cambia tutto. Quando si cresce non si pensano le stesse cose di adesso». «Allora dobbiamo promettere di diventare dei grandi diversi». ... «Diversi come?». «Diversi che non facciamo cambiare tutto, che non ci dimentichiamo le cose belle, quelle che ci piacciono di più almeno».
Fabio Bartolomei non ha bisogno di parole. Le ha già tutte lui e con loro ha una complicità unica e sorprendente, libro dopo libro. Ti fanno sorridere, ridere, riflettere e piangere a poche righe di distanza, da un casolare allestito alla bell’e meglio ad agriturismo a un campo di concentramento mai raggiunto. “L’ultima volta che siamo stati bambini” arriva dritto al cuore degli adulti che si ritrovano piccoli, pagina dopo pagina, ad emozionarsi e anche a piangere (nel mio caso da p.188 😊). Con la consapevolezza che un libro così è un indispensabile nella storia della Memoria che merita di essere letto e rivissuto. “Accadono milioni di cose là fuori e non si sa mai di quali ci accorgeremo.” Ecco, stavolta accorgiamocene.
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La guerra vista dai bambini. In questo libro possiamo vedere tutti i sentimenti che passano nella mente di un bambino, tutta l'ingenuità, l'amore, la tenerezza, la caparbietà, l'ostinazione, lo sconforto, il desiderio di diventare grandi e quindi di essere riconosciuti "grandi", il senso di ribellione, la voglia di giustizia, la voglia di giocare ma nello stesso tempo di compiere qualcosa di eroico.Sullo sfondo la tragedia dei campi di deportazione e la tristezza di chi sa cosa c'è dietro. Emozioni e amicizie che nascono o si rinsaldano la fanno da padrone in tutto il libro, consigliatissimo a tutte le età.
"Dio fa le cose per bene. Le risposte le dà in un modo che mai avremmo immaginato, così non ce ne dimenticheremo mai". "So di cosa parlo piccola mia, credimi" pensa suor Agnese. "Io ho pregato tutta una notte perché arrivassero i soldi per rendere più bello questo orfanotrofio, e il mattino dopo sei arrivata tu".
Ero propensa a mettere 4 stelle ma, ho pianto alla fine quindi non posso mentire a me stessa. Ps: Non so quali sono ora le letture obbligatorie fatte a scuola ma "L' ultima volta che siamo stati bambini" potrebbe essere un'ottima scelta per le classi più giovani.
Cosimo, Italo e Vanda sono i protagonisti di questa storia, un racconto con i toni delle fiabe, che per certi aspetti mi ha ricordato La vita è bella di Benigni. Tre bambini del tutto diversi e che adorano giocare: c’è Cosimo, che vive col nonno e il fratello, non ha la madre e il padre è un antifascista lontano da casa. Italo, figlio di un pezzo grosso del partito e con un fratello considerato eroe di guerra. Vanda, una bimba orfana che vive dalle suore e che farebbe di tutto per essere adottata, per trovare una famiglia in grado di amarla.
I tre sono un gruppetto particolare e spesso si unisce a loro Riccardo, un ragazzino misterioso, in grado di essere d’aiuto, sempre con la soluzione pronta. Eppure un giorno Riccardo sparisce, perché qualcuno l’ha “rubato”, se l’è portato via e non è più tornato. Dov’è andato? L’hanno messo su un treno. Direzione sconosciuta. Una direzione che purtroppo noi, che la storia la conosciamo bene, sappiamo essere senza ritorno.
Quanto ci vorrà per raggiungere il loro amico? Italo ha trovato una mappa che mostra dei binari che arrivano dritti a un campo, la ferrovia è vicino casa loro, quindi basterà seguire i binari e parlare coi tedeschi, che sicuramente si sono sbagliati, Riccardo è solo un bambino.
È una prosa semplice quella di Bartolomei, che consegna al lettore un racconto di formazione, decisamente adatto a un pubblico giovane; non c’è cattiveria o violenza gratuita, ma con poche parole riesce a far comprendere ai tre bambini protagonisti e a chi legge l’immensa tragedia della guerra e dei civili che la combattono o che tremano per le bombe e per i soldati.
«Sarà sempre così la nostra vita? Sempre così pure da grandi?» si lamenta Cosimo. «Così come?» chiede Vanda. «Così una fregatura. Pensavamo che avremmo giocato insieme tutta la vita e invece ci portano via Riccardo. Pensavamo che per ritrovarlo bastava seguire la ferrovia per un paio di giorni e invece…». «Davvero pensavi di giocare con noi per tutta la vita?» lo interrompe Vanda. «Certo. Tu no?». Lei ci riflette su, arrotola intorno al dito una ciocca di capelli. «Sì, anche io a volte, però lo so che da grandi cambia tutto. Quando si cresce non si pensano le stesse cose di adesso». «Allora dobbiamo promettere di diventare dei grandi diversi». «Diversi come?». «Diversi che non facciamo cambiare tutto, che non ci dimentichiamo le cose belle, quelle che ci piacciono di più almeno». «Te lo prometto, non cambierò» dice solennemente Vanda. «Anche quando avrò dei figli e sarò diventata infermiera non mi dimenticherò di scappare in cortile per un’oretta al giorno». “E lo stesso farò io quando sarò diventato postino” pensa Cosimo. La sua vita senza Italo, Vanda e Riccardo non riesce più a immaginarla. Prima amici, poi compagni d’armi, ora fratelli.
Bel libro. Ho apprezzato il gusto dell'avventura tipico dell'infanzia, la complicità tra amici e l'innocenza di quell'età. È come se in pochi giorni i bambini avessero concentrato tutte le avventure che volevano vivere prima che la vita li scaraventasse di colpo nell'età adulta. Forse un ritorno a casa tutti e tre sani e salvi avrebbe fatto dubitare della veridicità della storia, anche se fino alla fine ho sperato in un miracolo o in un salvataggio dell'ultimo minuto per Italo. È nell'epilogo invece che troviamo un"lieto fine"che ci fa sorridere e che ci ricorda che questo è un romanzo, seppur ambientato in un terribile periodo storico dove gli orrori descritti sono accaduti.
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“Sono bambini. Perdonano cose che noi non perdoneremmo mai”
Ottobre 1943. I tedeschi occupano Roma. Attraverso tre coraggiosi bambini viene raccontata la dura realtà della guerra e il grande valore dell’amicizia Italo, Cosimo e Vanda hanno dieci anni e non hanno più notizie del loro amico Riccardo, portato via dai tedeschi Ignari di quanto male ci sia intorno, nella loro mente si rincorrono domande su domande
"perché mettono le persone sui treni? " Come si fa a scoprire dov’è andato quel treno?” “Se sta su un treno possiamo andare a trovarlo. La stazione non è tanto lontana”
Riccardo va trovato, costi quel che costi e il trio parte per cercarlo, seguendo i binari della ferrovia, direzione nord
Il libro è un’avventura tenera e toccante, che porta dritto al cuore della vita, negli anni in cui ognuno ha dovuto lottare per restare libero. Una storia forte e delicata allo stesso tempo, in cui ogni personaggio con la sua innocenza sfiderà il pericolo e la paura Un romanzo di grande dolcezza nonostante la durezza del tema affrontato diventato un bel film grazie a Claudio Bisio, voce dell’edizione Audible
Fabio Bartolomei evoca l’infanzia che spalanca la strada delle possibilità, perché nonostante tutto c'è sempre un "dopo", un momento per guardare indietro, perché il passato, il loro passato, non potrà mai essere archiviato Tornerà sempre a trovarli, basterà un suono uno stimolo a riportare la memoria a quel tempo "lì è dove siamo partiti" E soprattutto ci sarà sempre speranza, anche senza sapere bene perché
L'ultima volta che siamo stati bambini è una storia di perdita, di Resistenza e di speranza. Tre bambini costretti a crescere precocemente nell'Italia in guerra al tramonto del Fascismo, in fuga dalle famiglie alla ricerca di un amico "rubato" dai tedeschi per la sola colpa di essere ebreo. Si ride, si piange e si riflette sull'orrore che il Ventennio ha significato per tutti, anche per chi avrebbe dovuto pensare solo a giocare. Un romanzo leggero e al tempo stesso pesante come un macigno. Bravo Bartolomei.
Questo romanzo ha il sapore di una favola delicata, raccontata attraverso lo sguardo ingenuo e meravigliato di tre bambini, che si avventurano lungo i binari per andare a recuperare il loro amico "rubato" e spiegare ai tedeschi che si sono sbagliati, che Riccardo è un bravo bambino. Purtroppo non si tratta di una favola, ma di un atroce pezzo della nostra storia, in cui quasi nessun adulto che i bambini incontrano si dimostra umano.
È un libro paraculo. Paraculo perché i protagonisti son bambini che fanno cose che sono tenere ma allo stesso tempo profonde. Paraculo perché ci sono i nazisti (i cattivi per eccellenza) che "rubano" un bambino (quello più buono tra l'altro). Paraculo perché alla fine lo vedi che c'è un po' di buono in tutti? Pure nei soldati fascisti, pure nelle suore. È paraculo, te ne rendi conto leggendolo, ma alla fine te ne freghi perché è bello.
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Libro bello, molto scorrevole e interpretato magistralmente da Claudio Bisio. Ambientato durante la II Guerra Mondiale narra la storia di tre ragazzini che partono sprovveduti alla ricerca del loro amico ebreo. Un libro che parla di amicizia, lealtà e sana incoscienza. Che bello sarebbe poter vedere il mondo ancora con gli di un bambino.
Questo libro non mi ha fatto impazzire. Devo dire che è corto e si legge facilmente, la scrittura è come quella dei bambini, quindi semplice, con pochi dettagli. Essendo corto ho fatto fatica ad affezionarmi a tutti i personaggi, quindi alla fine anche se morti non mi ha toccato più di tanto (mi è dispiaciuto certo, ma non tanto da farmi piangere). La trama è bella, ma la storia in sé un po’ noiosa perché alla fine racconta il viaggio di questi bambini. Non avevo grandi aspettative e diciamo che le ha rispettate.
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