La ragazza dell'albergo di Malpensa guarda partire e non parte. Il suo mondo è fatto di minuscoli brandelli di vite vissute altrove, vite che non sono la sua. Dell'esistenza di Pietro Fogliatti, la ragazza coglie due la fine di un matrimonio consumato, e un nuovo inizio, la partenza per Shanghai.
È lì che il grande progetto imprenditoriale di Pietro vedrà finalmente la luce. Andare a Oriente, per sottrarsi al passato, ma anche per misurarsi con un paese dove i contrasti sono infiniti e i conflitti non esplodono mai. Nel suo bagaglio di imprenditore, Pietro porta con sé il ricordo del padre, morto di tumore per i veleni respirati sul lavoro.
Nella sua fabbrica cinese, si dice Pietro, tutto questo non accadrà: niente morti bianche, niente sfruttamento, molti diritti. Ha in mente delle splendide utopie Pietro, e dimentica che le utopie sono un modo raffinato per suicidarsi. A ricordarglielo ci penseranno i soci americani e ci penserà il destino.
Ma il destino gli farà anche incontrare Jin, la donna misteriosa che appende fiori a un semaforo, che lava i pavimenti e suona il pianoforte, che appare e svanisce, e che, come Pietro, aspetta segretamente la morte di chi le ha strappato la serenità.
Pietro e due naufraghi, stretti l'uno all'altro per non affondare nel mare d'odio che hanno lasciato crescere intorno. Ma poi, rapidamente, tutto cambia, tutto si Jin, la fabbrica, il sogno... E si perde anche Pietro, scompare dai radar del mondo civile. E io comincio a cercarlo.
Alessandro Perissinotto nasce a Torino nel 1964. Pratica vari mestieri e, intanto, si laurea in Lettere nel 1992 con un tesi in semiotica. Inizia quindi un’intensa attività di ricerca, occupandosi di semiologia della fiaba, di multimedialità e di didattica della letteratura. È docente nell'Università di Torino. Tra i suoi saggi ritroviamo Il testo multimediale (Utet-Libreria), Gli attrezzi del narratore (Rizzoli), e, con G.P. Caprettini, il Dizionario della fiaba (Meltemi, Premio C. Nigra per il folclore). Alla narrativa approda nel 1997 con il romanzo poliziesco L’anno che uccisero Rosetta (Sellerio), storia di un’indagine condotta negli anni ’60 in un remoto paese delle alpi piemontesi, al quale fa seguito, nel 2000, La canzone di Colombano (Sellerio - Premio Fedeli), un "noir" ambientato tra Val di Susa e Delfinato all’inizio del Cinquecento. Il suo ultimo romanzo, Treno 8017 (Sellerio 2003), è ancora una storia con delitto che prende le mosse da un fatto vero, la morte di oltre cinquecento persone in un incidente ferroviario del 1944, un incidente poco noto e mai chiarito. Nel 2004 pubblica per Rizzoli Al mio giudice (Premio Grinzane Cavour 2005 per la Narrativa Italiana, Premio via Po 2005, Premio Chianti 2005-2006), un noir epistolare che porta alla luce le criminali spericolatezze della finanza on-line. Del 2006 è Una piccola storia ignobile (Rizzoli - Premio Camaiore), un'indagine nella banalità del male condotta da una psicologa, Anna Pavesi che usa la sua conoscenza dell'animo umano come altri detective usano i mezzi della polizia scientifica. E Anna Pavesi torna anche in L'ultima notte bianca, ambientato nella Torino olimpica, tra la gente esclusa dalla grande festa. Nel 2008 la riflessione sul poliziesco si sviluppa anche in forma saggistica con La società dell’indagine (Bompiani), mentre la sua produzione narrativa si arricchisce con il terzo volume della saga di Anna Pavesi: L’orchestra del Titanic (Rizzoli). Conclusa la trilogia dedicata ad Anna Pavesi, decide di andare oltre il poliziesco per giungere a un romanzo che, pur conservando i ritmi del noir, si svincoli dagli schematismi dell’indagine, un romanzo di sempllice e dolorosa denuncia. Nasce così Per vendetta, una storia d'amore e di follia, ambientato in un'Argentina che non ha ancora sanato le ferite lasciate aperte dalla dittatura. I suoi romanzi sono stati tradotti in numerosi paesi europei e in Giappone.
Collabora inoltre con il quotidiano La Stampa, per il quale scrive articoli e racconti che appaiono sul supplementoTorinoSette.
Mi é piaciuto, ma niente di eccezionale, ammetto anche di esserci rimasta un po'male perché mi ero abituata all'applauso. La faccenda delle coordinate, delle date sballate nella sequenza temporale e del non campire mai da subito chi raccontava cosa, secondo me ha appesantito il libro, ma magari se l'autore ha deciso cosí é perché la trama era un po' fragilina, o forse, semplicemente, é piú probabile che io non ne capisca niente e lui sí; quindi mettiamola cosí: ho letto dei libri di Perissinotto che mi piacevano di piú, ma non é colpa sua bensí mia.
È una storia molto intensa ed emozionante che come spesso accade nella vita nasce dal dolore. Amo molto quando le storie vengono definite esattamente nello spazio e nel tempo perché mi danno la possibilità di collocare la mia storia in quella del romanzo. In particolare in questo libro ci sono giorni e luoghi che hanno intersecato esattamente la mia vita, creando una storia nella storia. Questa è la magia e la potenza di un libro, anzi di questo libro. Bravo bravo Perissinotto
Perissinotto remains one of the most honest Italian writer, somebody who accepts the challenge to write only about what he really knows with a style made of lightness and efficacy. With Coordinate d'oriente he brings the reader to a China unseen to western eyes.
Purtroppo è un libro estremamente parlato, prolisso, e in fin dei conti noioso. Ci sono due piani temporali, con due personaggi diversi, uno che insegue e uno che si nasconde, ma i due raccontano con la stessa voce, narrativamente parlando, e quindi appaiono con la stessa faccia. Che è poi una faccia vaga e indistinta, come quella di tutti gli altri personaggi del libro, che devono essere stati nebulosi e indefiniti a Perissinotto stesso. E Graham Greene si scrive con la e finale, comunque.