Al cimitero di Kawatare, una quieta oasi di pace nel trambusto cittadino, il giovane custode Hioki Nagi ha allestito un ufficio che sembra un accogliente caffè, con poltroncine confortevoli, riviste e libri da sfogliare, e tante piante verdi che ravvivano l’ambiente. Non è così semplice da trovare, ma chi vi s’imbatte ne esce confortato, perché Nagi riceve i visitatori con il sorriso, una tazza di tè fumante e parole che vanno dritte al cuore. E talvolta con un dono il seme d’ipomea bisesta, un fiore misterioso che si dice abbia il potere di gettare un ponte tra i vivi e i morti. Chi lo coltiva e riesce a farlo sbocciare rivive un momento del passato che ha lasciato dietro di sé qualcosa d’irrisolto. Che si tratti di un segreto mai rivelato, di un gesto sbagliato o di una parola non detta, l’ipomea bisesta permette di dare risposte a questioni rimaste in sospeso troppo a lungo. È così per la donna cui mancava un dettaglio della sua infanzia che non avrebbe mai dovuto dimenticare; per il ragazzo che piange per il suo amore perduto; o per il vecchio che ancora si strugge per un rimpianto di gioventù. Per tutti loro, lo schiudersi del fiore segna l’alba di una rinnovata serenità e l’inizio di un nuovo cammino. Solo Nagi ancora non riesce a far germogliare il proprio seme. Forse perché è più facile lenire il dolore degli altri piuttosto che guardare in faccia i propri fantasmi. Eppure, forse sarà proprio aiutando quegli sconosciuti che anche lui riuscirà a riconciliarsi con il passato e a guardare avanti. Perché in fondo, l’unica cosa che conta, per i vivi come per i morti, è appianare le asperità affinché tutto l’amore che è stato seminato torni libero di fiorire.
Le storie degli autori oltreoceano rappresentano per me una seconda comfort zone. Magari per molti questo stile può risultare intriso di malinconia, soprattutto quando la tematica principale è la morte. Per me non è così: ogni racconto che ho avuto il piacere di leggere è riuscito a lasciarmi qualcosa di unico. Pertanto, non potevo non immergermi tra le pagine de “Il fiore dei ricordi ritrovati” di Ren Mizuniwa.
Il protagonista è Hioki Nagi, giovane custode del cimitero Kawatare, una tranquilla oasi di pace nel trambusto cittadino. Nagi ha allestito un ufficio che ricorda un accogliente caffè, con poltroncine comode, riviste, libri da sfogliare e numerose piante verdi a vivacizzare l’ambiente. Ogni persona che incontra porta con sé un dolore nascosto, un ricordo che trafigge il cuore: una donna che ha dimenticato un dettaglio essenziale della sua infanzia, un ragazzo incapace di dire addio all’amore della sua vita, un anziano che non ha mai trovato il coraggio di perdonarsi. Così, tra segreti mai svelati e rimpianti ancora vivi, vivi e morti si incontrano per un ultimo sussurro.
La penna dell’autore è semplice e scorrevole in molti passaggi, anche se in altri ho avvertito un ritmo più lento e, a tratti, ripetitivo. I capitoli brevi rendono agevole la lettura, che può essere interrotta e ripresa con facilità. Le storie raccontate sono originali, i personaggi ben delineati, ma — almeno per quanto mi riguarda — non sono riusciti a trasmettermi emozioni profonde o impressioni destinate a durare nel tempo.
Per concludere, “Il fiore dei ricordi ritrovati” è un romanzo che parte con ottime premesse, ma che, per me, non è riuscito a decollare come speravo. Tuttavia, ogni lettore ha il proprio modo di entrare in sintonia con una storia, e ciò che non ha convinto me potrebbe invece toccare il cuore di qualcun altro. La lettura, in fondo, è un’esperienza intima e soggettiva: se un libro riesce a catturare la vostra attenzione per ragioni che sentite vostre, non esitate a lasciarvi trasportare tra le sue pagine.
Il libro parte da un’idea carina e delicata, quella di un fiore capace di riportare alla luce i ricordi. Però, nella lettura, non sono riuscita a sentirmi davvero coinvolta: la trama procede lentamente e i personaggi non mi hanno lasciato molto.
Nel cimitero di Kawatare, il tempo sembra sospeso, come se ogni respiro fosse un sussurro tra i mondi.
Il protagonista, Hioki Nagi, è il giovane custode di questo luogo fuori dal tempo. Ma più che un custode, è una sorta di traghettatore dell’anima: accoglie i visitatori con gentilezza, li ascolta senza fretta, li conforta con il tè e la sua presenza silenziosa, mai invadente. Il suo piccolo ufficio, trasformato in una sorta di caffè della memoria, è il cuore pulsante del romanzo: lì si intrecciano le storie di chi è venuto a lasciare un fiore, un pensiero, un rimpianto. E lì sboccia, a volte letteralmente, la possibilità del perdono.
Il tema centrale dell’opera è la riconciliazione con il passato. E non in senso astratto, ma attraverso uno stratagemma narrativo tanto semplice quanto potente: il seme dell’ipomea bisesta, un fiore immaginario e simbolico che sboccia solo quando chi lo coltiva è pronto ad affrontare un nodo irrisolto della propria storia. È questa la vera magia del libro: non ci sono incantesimi o sortilegi, ma un profondo realismo emotivo. Il fiore diventa metafora del tempo, della cura, della disponibilità ad accogliere il dolore e a lasciarlo andare.
Ogni personaggio che entra nel piccolo mondo di Nagi porta con sé un dolore taciuto, un ricordo che punge come una scheggia nel cuore: la donna che ha dimenticato un dettaglio essenziale della sua infanzia, il ragazzo incapace di dire addio all'amore della sua vita, l’anziano che non ha mai avuto il coraggio di perdonarsi. Queste storie si intrecciano in una narrazione corale, lieve ma densa, che ci ricorda quanto il passato, se non ascoltato, continui a bussare.
I profumi del tè, il rumore della pioggia che batte sui tetti del cimitero, il fruscio delle foglie mosse dal vento: ogni descrizione è un invito alla quiete, al raccoglimento, alla riflessione. La lettura è quasi meditativa, un’esperienza intima che chiede al lettore di rallentare e ascoltare.
Un romanzo sull'amore che resta, anche quando chi amiamo non c’è più. È un inno al potere del ricordo, ma soprattutto alla possibilità di fare pace con ciò che ci ha ferito, di sciogliere i nodi che ci impediscono di andare avanti.
Se il libro fosse stato incentrato solo ed esclusivamente su Nagi penso che lo avrei amato alla follia, ciò non significa che i vari capitoli del libro non mi siano piaciuti, anzi, però... avrei voluto che il ruolo di Nagi fosse stato più centrale, questo sì, perché è un personaggio che ho davvero tanto, tanto apprezzato.
P.s. L'epilogo è stato un vero pugno allo stomaco, non so come non sia riuscita a scoppiare in lacrime.
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Cinque storie intrecciate fra loro, una storia che fa da filo conduttore per tutte, una morale insegnata e un riscatto nonostante la sofferenza. Scorrevole, commovente (soprattutto una storia) intriso di quell'atmosfera tipicamente giapponese che tanto amo. Una lettura piacevole che consiglio per intrattenersi con leggerezza ma sempre con sentimento.
Mi aspettavo un libro differente e con altre modalità narrative; onestamente, mi ha un po’ deluso. Le storie, anche se collegate tra di loro, sono sostanzialmente indipendenti e risultano ripetitive, poiché si basano sullo stesso impianto.