Prendi la roba dal pallet. Metti la roba sugli scaffali. Controlla. Ricomincia.
Andrea Costa ha ventiquattro anni e per vivere lavora in uno degli immensi magazzini di bricolage che si estendono lungo le periferie di ogni giorno prende la roba e la mette sugli scaffali, così i clienti la troveranno ben disposta al loro arrivo. All’alba si sbatte in tangenziale per raggiungere un lavoro che detesta perché gli divora tempo ed energie, e soprattutto manda in frantumi i suoi sogni, tra cui quello di diventare uno scrittore. E quando non sgobba al magazzino, annega il livore nelle birre insieme a “Gallo”, fratello di strada e filosofo da bar capace di prendere la vita con maggiore levità.
Oltre al lavoro, Andrea odia “quelli lì”, le persone che per rendita familiare possono permettersi di non faticare o faticare solo per hobby. Li incrocia le rare volte in cui si aggira per il centro, ormai diventato una vetrina per turisti e gente che può spendere parecchio. Così va il mondo, del resto.
Finché, quasi fosse un copione stilato dal destino cinico e baro, Andrea non si innamora proprio di una di “quelli lì”, Claudia, ragazza ben più abbiente di lui. Per un po’ se la gode, e in fondo gli piace atteggiarsi a bohémien, sguazzare nella creativa noia altoborghese. Le affinità però cedono presto il posto alle divergenze, per riportarlo alla crudele realtà: che la scure delle disuguaglianze si abbatte pure sui sentimenti. Tra spleen decadente e cieco furore, Costa dovrà lottare per riaccendere una scintilla di speranza – e rivalsa – nella sua vita.
Scortato dalla voce narrante di un protagonista sincero e infuocato, Con rabbia e con amore è un romanzo-manifesto di guerriglia esistenziale, un libretto rosso 2.0 da diffondere per ribadire forte e chiaro che no, non è invidia si chiama conflitto di classe.
“Io ho bisogno di tempo. E cos’è il tempo se non l’insieme di passioni e desideri che i padroni ci hanno rubato?”
Questa è una recensione viscerale, perché ci sono libri che ti prendono “di testa” e libri che sono tutti di “pancia”. Questo romanzo appartiene alla seconda categoria. E forse non l’avrei apprezzato come ho fatto se non fossi, sotto molti punti di vista, uguale ad Andrea Costa.
No, non sposto merce sugli scaffali in un grigio e triste spaccio industriale e a prima vista assomiglio più agli amici fighetti di Claudia, la ragazza borghese e perbene di cui Andrea si innamora. I miei amici per prendermi in giro dicono che sono una radical chic. Ma io vengo da quella classe sociale lì. Io la conosco la rabbia che Andrea mastica e poi sputa — una rabbia che non è mai solo tua, perché l’hai respirata in casa come se fosse attaccata alle pareti e l’hai sentita nei discorsi politici prima ancora di capirli. Questa rabbia generazionale, ora che la lotta di classe non esiste più e le piazze restano vuote, può solo sfociare in un malessere che ti rode da dentro. Se le generazioni prima di noi l’hanno trasformata in amarezza, noi la sfoghiamo in depressione.
Un concetto che non avevo mai verbalizzato prima di leggere Con rabbia e con amore e che mi ha molto colpito è questo: la mia generazione ha avuto più mezzi per istruirsi e conoscere il mondo di quanti i miei genitori o i miei nonni avrebbero potuto sognare. E qui sta la nostra fregatura.
“Beato progressismo — dice Andrea a un certo punto — che mi hai permesso di leggere, andare al cinema, ascoltare musica, formarmi fino a che lo stato ha potuto mantenermi e finalmente scoprire il verbo, il soggetto e i complementi per mettere assieme la spiegazione di questa rabbia atavica che da troppa vita mi porto dentro”
I sogni sono alla nostra portata solo sulla carta. Nella realtà servono più soldi, più tempo, più supporto, più energia, più sicurezza (del tipo che può essere comprata solo con i soldi perché sì, si torna sempre lì). Il rapporto di Andrea Costa con la scrittura è perfettamente sovrapponibile al mio: la maggior parte del tempo sono troppo stanca, perché il lavoro lascia ben poco spazio al resto. E se non è il lavoro è la casa, se non è la casa è una delle innumerevoli priorità che hanno la precedenza perché, banalmente, mi permettono di campare. Difficile non sentirsi somari di periferia.
E a scanso di equivoci, non è che dall’altra parte siano tutte rose e fiori: Claudia è forse ancor più dissociata di Andrea, ma ne esce più facilmente. Forse per superficialità; forse perché, oltre ad avere più mezzi economici, ha anche le spalle più leggere, senza quel fardello di rabbia e amore che noi ci portiamo dietro.
Le risposte in tasca non ce l’ho, e non tenta di darle neanche il libro, se non con un qualche timido passo verso un messaggio che può essere “con una rete di supporto sembra tutto più fattibile”. Solo che lo stesso messaggio si può tradurre in: stai nel tuo e scendici a patti, tanto il mondo col cazzo che cambia. E a me questo messaggio riaccende tutta la rabbia, tipo miccia.
Tutto questo per dire che è un bel libro, scritto bene, e tutti lo possono leggere perché non vi sono chissà quali propositi rivoluzionari dentro. Però non tutti potranno capirlo.
Andrea Costa è complicato ma non si può non volergli bene: tutta quella rabbia che prova verso il sistema, il mondo e soprattutto se stesso è comprensibile. Gli ultimi capitoli sono quasi perfetti.
PICCOLO SPOILER ALLA FINE Praticamente la storia di un 24enne che ha gli stessi dubbi e crisi di un dicassettenne. Che non sa perché fa quel che fa, che non capisce ciò che davvero gli piace e cosa invece no, e per riuscire a far emergere un minimo di autocoscienza "spacca tutto" (figurativamente parlando) intorno a sé. In mezzo, tante riflessioni sullo stato attuale delle cose, sul capitale, sulle differenze di classe, però appunto come se fossero pensate da un ragazzino e non da un giovane adulto. Insomma, mi aspettavo un po' più di profondità e di maturazione, invece si risolve tutto in un "mi iscriverò ad un sindacato", giusto, per carità, ma con i tempi che corrono il livello di consapevolezza raggiunto dal protagonista è davvero poco. Riconosco però la scrittura molto empatica che ci fa entrare in sintonia con il personaggio.
"Sembrerà un discorso strano, di uno che pensa che la propria esistenza sia solo il proprio lavoro, come una personificazione, ma il punto è che questa faccenda regola per davvero la mia esistenza. Che mi piaccia o meno, questa faccenda è quella che mi dà i soldi per vivere. Con fatica, sì, eppure è la faccenda da cui dipendo per davvero: per la mia autonomia, per il mio equilibrio psichico, per un gran numero di motivi che probabilmente odio, che probabilmente contribuiscono sia al mio benessere sia al mio malessere e, proprio per questo, non posso più ignorare. Ne dipendo perché questo è: lavoro dipendente salariato. Il triangolo semiotico dell'inferno."
Un romanzo che parla dell'esperienza di questo ragazzo nella sua quotidianità sia lavorativa che relazionale. Un ragazzo che ha sogni e passioni ma non riesce a focalizzare ciò che vuole realmente. Soffre ma va avanti, nonostante tutto. Una scrittura scorrevole e per quanto possa sembrare un argomento già sentito, la storia del suo percorso mi ha colpito perché rende l'idea di cosa può attraversare un individuo quando è nel bel mezzo delle problematiche. Bello.