Κορυφαίος ανάμεσα στους συγγραφείς του καιρού του, χωρίς το κοινό που του άξιζε παρόλα αυτά, ο Verga εκτοξεύει στο σήμερα μια μνημειώδη σύγχρονη τραγωδία, αναπαριστώντας όχι μόνο τη ζωή ενός σικελιώτικου χωριού του περασμένου αιώνα, αλλά την αέναη πάλη του ανθρώπου με τα στοιχειά της φύσης του – με το καλό, με το κακό, κι όλα τ’ άλλα…
Giovanni Verga was an Italian realist writer, best known for his depictions of life in Sicily, and especially for the short story Cavalleria Rusticana and the novel I Malavoglia.
The first son of Giovanni Battista Catalano Verga and Caterina Di Mauro, Verga was born into a prosperous family of Catania in Sicily. He began writing in his teens, producing the largely unpublished historical novel Amore e Patria (Love and Country); then, although nominally studying law at the University of Catania, he used money his father had given him to publish his I Carbonari della Montagna (The Carbonari of the Mountain) in 1861 and 1862. This was followed by Sulle Lagune (In the Lagoons) in 1863.
Meanwhile, Verga had been serving in the Catania National Guard (1860-64), after which he travelled to Florence several times, settling there in 1869. He moved to Milan in 1872, where he developed his new approach, characterized by the use of dialogue to develop character, which resulted in his most significant works. In 1880 his story collection Vita dei Campi (Life in the Fields), (including Fantasticheria, La Lupa, and Pentolacchia) most of which were about rural Sicily, came out; it included the Cavalleria Rusticana, which was adapted for the theatre and later the libretto of the Mascagni opera. Verga's short story, "Malaria", was one of the first literary depictions of the disease.
He then embarked on a projected series of five novels, but only completed two, I Malavoglia and Mastro-Don Gesualdo (1889), the latter of which was the last major work of his literary career. Both are widely recognized as masterpieces. In 1894 Verga moved back to the house he was born in. In 1920 he was elected a senator. He died of a cerebral thrombosis in 1922.
The Teatro Verga in Catania is named after him.
In the book by Silvia Iannello Le immagini e le parole dei Malavoglia (Sovera, Roma, 2008), the author selects some passages of the Giovanni Verga' novel I Malavoglia, adds original comments and Acitrezza' photographic images, and devotes a chapter to the origins, remarks and frames taken from the immortal movie La terra trema (1948) directed by Luchino Visconti.
Mi piange sempre un po' il cuore le (rare) volte che abbandono un libro. Soprattutto se si tratta di un classico, di un romanzo che ha lasciato il segno. Ma i gusti sono gusti, e, nel mio mondo da lettrice, se uno scrittore ha scritto un libro che non mi soddisfa in nulla, beh, merita un'insufficienza o un abbandono, sia che si chiami Moccia o Dostoevskij: il nome a mio avviso non fornisce alcun alibi o giustificazione. E diciamocelo, il tizio in questione, che altro non che Giovanni Verga, a mio avviso ha scritto un libro tremendo. Avevo tanto apprezzato "I Malavoglia", una delle letture del mio passato di studentessa che, nonostante questo, si sono fatte amare, e apprezzo tanto il realismo letterario, che mi fa ritrovare fra le pagine contesti, situazioni, personaggi che avrebbero potuto benissimo esistere, ma questa volta proprio non ce l'ho fatta. Sono arrivata a meno di metà libro, e contando quanto mi mancava, leggiucchiarlo pur di arrivare alla fine non avrebbe avuto alcun senso: non ho avuto pazienza, e non me ne pento. Ciò che mi è risultata indigesta non è tanto la pesantezza dello stile, quanto l'esagerata quantità di nomi e personaggi che accolgono subito il lettore, sin dalle prime pagine: Bianca, cugina Rubiera, Sganci, Ciolla, Rubiera, Giacalone, Pelagatti, i Trao, vari nomi di Don (Diego, Ferdinando, ecc), di infinite zie, di signore e signorotte, di marchese, di baroni e baronesse implodono nei primi capitoli, con la conseguenza che il lettore, oltre a sentirsi esplodere la testa, non capisce praticamente nulla. Ciò che sono ruscita a capire è che Bianca, giovane poco avvenente e non benestante, cerca marito e che i parenti propongono per lei il nostro protagonista, Mastro Don Gesualdo, scapolo. Stop. Tutto il resto viene fagocitato in una fernesia senza sosta, e senza pari, di nomi e azioni. Come tutti i libri di cui non sono arrivata in fondo, non mi pare giusto assegnargli un voto in stelline. E mi spiace non avere avuto pazienza. Ma mi chiedo come l'autore abbia potuto consegnarci un'opera simile, inutilmente difficoltosa...lo confesso, ad un tratto durante la lettura mi è subentrata nella mente l'immagine di un bimbo imboccato con voracità, un cucchiaio dopo l’altro, un nome dopo l'altro, un personaggio dopo l'altro, in un pastoso e infinito banchetto, e mi è subentrata una cattiva sensazione di capogiro e di disgusto. E, sinceramente, ho rimpianto la bellissima semplicità di quel capolavoro de "I Malavoglia".
Ο Μάστρο-Ντον Τζεζουάλντο, ένας νέος με πολλές ικανότητες θα επιδιώξει παρά την ταπεινή του καταγωγή να ανέβει σε οικονομικό και κοινωνικό επίπεδο χρησιμοποιώντας το επιχειρηματικό μυαλό του. Σε αυτή του την προσπάθεια θα βρεθεί αντιμέτωπος με ένα ολόκληρο χωριό το οποίο πιστεύει ότι ο πλούτος ανήκει σε όσους έχουν σπουδαία «ονόματα» και καταγωγή και όχι σε όσους έχουν ικανότητες.
Ο αγώνας αυτός θα αλλάξει τον χαρακτήρα του και θα τον μετατρέψει σε κάτι τελείως διαφορετικό από αυτό που ήταν όταν ξεκίνησε. Θα πει "ναι" σε πολλές προτάσεις που δεν συμφωνεί και θα θάψει συναισθήματα προκειμένου να σώσει και να επεκτείνει τον βίο του. Επιπλέον σε κάθε του κίνηση οι άνθρωποι του χωριού θα παραμονεύουν…
Ωραία ιστορία με πολλούς και αρκετά ενδιαφέροντες χαρακτήρες όπου έκρυβε πολλά μηνύματα. Δυστυχώς μου φάνηκε τρομερά κουραστική η γραφή σε μερικά σημεία και αυτό μου χάλασε κάπως την όλη εμπειρία. :/
“Hanno ammazzato compare…” ah no! quella è ‘tutta un’altra storia’, cantavano. Però non mi discosto poi molto dalla verità di questo racconto, da quella che preferisco vedere: gesualdo l’hanno ammazzato. Di fatica, di povertà, di fame e ingordigia per la roba, per l’orgoglio di possederla e uscire così dalla propria miserissima condizione di povero per entrare a far parte dell’aristocrazia locale, ma sempre ai margini di due mondi, grazie solo alla propria testa fina, diavolo e diavolaccio! Lui fa i suoi interessi, per cui comprende Donna Bianca, nobile decaduta, che lo sposa portandogli in dote un nome e un segreto. Gesualdo non scoprirà mai l’inganno, mai Bianca dirà sino alla morte, persino a noi lettori. Donna Bianca muore in silenzio ribadendo fino alla fine ciò che era: un’aristocratica usa alla menzogna, come i suoi pari abituata ai compromessi, come tutte le donne in ogni epoca, disillusa da ciò che credette amore e invece era un...divago e deliro e rammento Diodata, povera orfana serva di Gesualdo, colei che sola poteva dargli Amore e obbedienza. Nella morte però non si sfugge a ciò che veramente siamo, è questa la verità. Dopo aver tanto lavorato, guadagnato, donato, strappato a morsi la vita povera di dosso, maledetta la sorte! Gesualdo muore solo in un letto di trine, nello stomaco un cane arrabbiato, affamato della sua vita. Solo muore Gesualdo e i primi a piangerlo sono i servi della nobile figlia. Lo piangono non piangendolo, lo dileggiano piuttosto, poiché il povero mai serve un altro povero che si è arricchito, gli invidiano le ricchezze ma non la fatica, non comprendono il perché di una vita che si sia elevata senza la rivoluzione, senza le armi, senza ‘abbasso il ricco’, ma solo usando la propria intelligenza e caparbietà nel lavorare duro. E’ un cattivo esempio mastro don Gesualdo, lo sarebbe in ogni epoca. Però la morte è ‘una livella’, diceva Totò, nobile anch’egli fuori dal rango, dai ranghi. E’ così: la morte insegna. Anche a chi resta. A me. A me, con questa scrittura formidabile che non lascia tregua, che attraversa i miei luoghi fisici e psicologici senza mai diventare noiosa o pesante. Sembra un fiume che scorre con il Tempo che dipana nodi, vite e tormenti, glorie e disgrazie, sciogliendosi nel sangue. Fenomenale la scena finale, dunque: un crocchio di servitori attorno a quel corpo senza vita. Possono però esserci molte altre vite da raccontare in questo libro, molte altre verità: la condizione contadina, la fame, la rivoluzione, i nobili debosciati, la condizione delle donne, quella dei figli legittimi e non. Io ho solo amato Gesualdo nel suo essere così vero, così ingenuamente scaltro. L’ho amato in queste notti calde che anche lui avrebbe amato, scambiando con lui parole buone mentre mangia un boccone pensando ai poderi, alle mule, contando tarì guardandosi le spalle da tutto, da tutti.
In una lettera a Salvatore Paolo Verdura del 1878 Giovanni Verga annuncia che il protagonista del secondo romanzo del Ciclo dei Vinti sarà «un rappresentante della vita di provincia», Gesualdo Motta: un “mastro”, ovvero un operaio, che inizia lavorando da bambino in una cava e grazie al proprio duro lavoro diventa “don”, titolo destinato, nel Sud Italia, a persone di livello sociale elevato. Gesualdo accumula tanto denaro da surclassare le vecchie famiglie aristocratiche del paese e riesce a sposare la nobile spiantata Bianca Trao. Insomma, diventa un parvenu. La sua scalata sociale, però, non gli procurerà altro che una serie infinita di «bocconi amari», insoddisfazione, senso di vuoto, solitudine, mancanza di autentici rapporti umani. L’intero paese finisce con il detestarlo, tanto i più umili, invidiosi del suo denaro e della sua posizione, quanto i nobili, che lo guardano dall’alto in basso, costretti a fare buon viso a cattivo gioco perché è molto più ricco di loro, e non accettano l’ascesa della classe borghese da lui incarnata. Ascesa che prende avvio proprio con l’incendio del vecchio e malridotto palazzotto della famiglia Trao, evento che simboleggia la decadenza di un’intera classe sociale. Mentre I Malavoglia è un romanzo corale, con protagonista un paese intero, qui c’è un’unica figura centrale, Gesualdo, ai cui pensieri abbiamo costantemente accesso attraverso l’uso del discorso indiretto libero. L’autore, inoltre, ricorre ancora alla tecnica dell’impersonalità, già sfruttata nel romanzo precedente, che prevede una sorta di spostamento della voce del narratore allo stesso livello dei personaggi. La voce narrante, dunque, parla e pensa come se fosse uno di loro. Nei Malavoglia tale spostamento si configura come una regressione, dal momento che i personaggi appartengono a un contesto sociale e culturale molto basso. Nel Mastro-don Gesualdo si descrive un ambiente borghese e aristocratico, dunque il livello del narratore si innalza e viene a coincidere con quello di Verga stesso. La conseguenza principale di questo innalzamento è che non si verificano più le deformazioni e gli effetti stranianti tipici dei Malavoglia, che sono il frutto della prospettiva “bassa” adottata dal narratore. Il narratore del Gesualdo, tuttavia, non è affatto di parte. È anzi estremamente lucido, critico, sarcastico nel mettere in rilievo le meschinità e le bassezze dei personaggi e proprio con Gesualdo e il suo amore quasi patologico per l’accumulo della “roba”, ovvero il denaro e le terre, si mostra a dir poco spietato. Nei Malavoglia è presente una contrapposizione tra due poli, valori positivi e valori negativi, rappresentati da personaggi diversi. Qui tale contrapposizione si sposta all’interno del protagonista, determinando una lacerazione che è la causa del suo sostanziale fallimento e della sua eterna infelicità: Gesualdo conserva valori autentici, che però sono troppo deboli di fronte alla logica dell’interesse e dell’utile (perfino il matrimonio diventa “un negozio”, un affare); logica che finisce con il prevalere, ma si scontra continuamente con gli impulsi positivi del personaggio. Oggi potremmo dire che questo aspro conflitto interiore impedisce a Gesualdo di diventare un uomo “risolto”, in pace con sé stesso. Nel Gesualdo, in verità, i personaggi positivi scompaiono del tutto. Rispetto al romanzo precedente del ciclo, il mondo del Gesualdo è molto più complesso e stratificato e va dai contadini alla nobiltà palermitana, passando per la piccola e media borghesia. Di conseguenza Verga adotta una regia narrativa più articolata, un ricco intreccio polifonico di voci, linguaggi e punti di vista, nonostante il focus resti ben saldo sul protagonista. Questo variegato panorama sociale appare però immerso nella desolazione umana più profonda. Verga celebra le virtù di Gesualdo e il suo slancio quasi eroico verso l’alto, la sua energia, l’intelligenza, la dura fatica di chi si fa da sé, lottando contro tutto e tutti, ma condanna la passione dominante per la “roba”, causa della perdita di umanità e di una vera e propria alienazione, come già accaduto a Mazzarò. Spesso la “roba” è utilizzata per indicare il sangue che scorre nelle vene o i rapporti di parentela. L’universo dei sentimenti trova voce solo nei tre personaggi femminili principali, esempio perfetto della ricca stratificazione sociale presente nel testo: Diodata, un’umile contadina, Bianca, appartenente alla piccola nobiltà provinciale, Isabella, che sposa il duca di Leyra ed entra nell’alta aristocrazia, manifestano un’istanza di sentimenti autentici che è però schiacciata dalla logica del guadagno e certi scoppi d’ira di Gesualdo nei loro confronti derivano proprio, forse, dalla consapevolezza del torto fatto ai sentimenti. La storia stessa non è altro che lotta incessante per la vita. Mentre nei Malavoglia la storia nazionale è così lontana da essere poco più che uno sfondo nebuloso, pur con i suoi effetti nefasti, nel Gesualdo la trama è intessuta di eventi storici di rilievo: non solo l’avvento della classe borghese e la decadenza della nobiltà, ma anche i moti carbonari, l’epidemia di colera del 1837, la rivoluzione del 1848. Gesualdo aderisce ai moti carbonari, ma per interesse personale, per contribuire a rovesciare il vecchio sistema feudale che lo osteggia e lo respinge. Nel ’48, invece, Gesualdo ha ormai cambiato fronte, è dalla parte dei ricchi e difende con le unghie e con i denti i propri averi dagli ideali libertari e democratici. Tali valori, in realtà, non sono che una copertura della lotta costante per il possesso e l’affermazione individuale. Mazzacurati, nella sua splendida prefazione all’edizione Einaudi, definisce il Gesualdo «un’epopea antirisorgimentale», che svela l’altra faccia della medaglia dietro l’ipocrisia del progresso, della libertà, dell’uguaglianza, della lotta ai tiranni, i principi alla base del Risorgimento. La sconfitta di questi valori si accompagna alla sconfitta personale di Gesualdo, incapace perfino di comunicare con la moglie e con Isabella, che è una Trao dalla testa ai piedi e forse non è neppure davvero sua figlia, ma il frutto di una relazione precedente alle nozze tra Bianca e suo cugino. Gesualdo muore da solo nel gelido, immenso, estraneo palazzo del genero a Palermo, avvolto da lenzuola della batista più fine, schiacciato da un destino che ha costruito con le sue stesse mani. Sull’ultima pagina cala un gelido senso di ineluttabilità che conferisce alla storia del parvenu il sapore acre e solenne di una tragedia greca.
Bana hissettirdikleri şunlardır ki; Toplumlar ait oldukları sınıflara çok sıkı bağlıdırlar. O sınıftan kopmak, uzaklaşmak istemezler. Konuyu çok dağıtmak istemem ama sınıfın mensupları her ne kadar sınıflarına çok bağlı olsa da birbirlerine hiç bağlı değildirler. Yani sınıf denen oluşumlar belli toplumların bir araya gelmesi ve birbirlerinden nefret etmesi ile oluşur. Üstelik bu sınıf insanları üst sınıflardan da alt sınıflardan da nefret eder. Yani özetle insanların tamamı birbirinden nefret eder. İnsan denen hayvan kötüdür. Çıkarcıdır. Cahildir. Sınıf içerisinde hareket etmek, konum değiştirmek yasaktır. Buna asla izin verilmez. Bu sizi dünyaya getiren anne babanın çocuğu olmaktan öteye gidememeniz demektir. Yani inşaat işçisinin çocuguysanız öle de kalmanız istenir. Elbette sınıf içinde konum değişimine çok rastlanabilir. Ama çok rastlanıyor olması serbest olduğu manasına gelmez. Konum değişimlerini etkileyen çok fazla parametre vardır. Bu zaman zaman işinizi kolaylaştırır zaman zamansa zorlaştırır. Kişiden kişiye de değişir herşey. Doğduğunuz yaşadığınız şehir hatta ilçe hatta mahalle sokak ev herşeyi değiştirir. Ya da cinsiyetiniz yada dininiz. İnsanlar sadece tek sınıfa ait olamadıkları için işler oldukça karışır, karmaşıklaşır. Ama işlerib çok basit ve sade olduğu bir alan vardır. O da sınıflar arası geçişler. Evet sınıf için konum değişiklikleri çok zordur ve kimse de işinizi kolaylaştırmaz amma sınıflar arası geçişler kesinlikle imkansızdır ve bunu denediğiniz anda bir anda insanların en vahşi yüzlerini görürsünüz. Bütün dünya size düşman kesilir. Bu ailenizden başlar ve sırayla ilerler. Bu geçişi yapmak zor da değildir, imkansızda değildir. Çünkü fiziken mümkün değildir. Duvarcı Ustasıysanız duvarcı ustasısınızdır. Asla fazlası olamazsınız. Bunu bu güne kadar dünya tarihinde başarabilen yoktur. Aklınıza hemencik geliveren o isimlerde esasen başaramadılar. Bu mümkünsüzlüğü üç maddede açıklayabiliriz; 1. Sınıf atlamaya kalkışmak değil, karar vermek değil bunu aklınızdan geçirdiğiniz anda herkes size düşman olur ve işinizi zorlaştırmaya başlarlar. Mensubu olmak istediğiniz sınıfın üyelerinin bunu yapması bir yere kadar anlaşılır. Ancak işinizi en çok zırlaştıranlar zaten onlar olmazlar. En büyüj engellemeleri en yakınınızda kilerden görürsünüz. Çünkü üst sınıftakiler basitçe sizi hakir görürken, kendi sınıfınızdakiler sizi kıskanır ve kıskançlık 7 büyük günahtan biridir ve çok güçlü bir duygudur. 2. Üst sınıftakiler biraz ilk maddede değindiğim üzere kendi sınıflarını sonradan katılmak isteyenlere karşı korumak isterler. Kapılar tamamen kapalıdır. Hatta kapı mapı yoktur. Koca koca kale duvarlarını aşmanız gerekir. 3. Sü ve en acısı sizsiniz. Siz asla bir üst sınıfa ait olamazsınız. Belki kale duvarlarını aşar bütün engelleri geçer ve bir üst sınıfın arasına karışırsınız. Ama o kadar işte. Fazlası olmaz olamaz. Zihniniz aşamaz o duvarları. Ayağınızda ki prangalardan kurtulamazsınız. Köylüyseniz köylüsünüzdür. Şehre taşınınca şehirli olmazsınız. Çocuklarınız şehirde doğunca onlarda şehirli olmaz. Nesiller boyu şehirde doğmaya devam etsenizde şehirlileşemezsiniz. Kabul edin ki bunun örneğini hepiniz heryerde görüyorsunuz. Belki evrim beni haksızlar ancak unutmayın ki evrimsel süreçler milyonlarca yıl sürer. Özetle insanın kendisi dahil herkes sınıflar arası geçişe karşıdır ve zaten öle bişey yoktur. Buna inanacağınıza yatağınızın altında ki öcüye inanın daha iyi
Mastro Don Gesualdo è uno dei personaggi più straordinari della letteratura. Verga, nel descrivere la nobiltà siciliana è impietoso: ci mostra una combriccola di inetti, irresoluti, imbranati e ignoranti che vivacchiano a scrocco e sono pronti a tutto pur di non lavorare. Mastro Don Gesualdo, con la sua etica del lavoro, svetta su tutti, prototipo della modernità.
Mastro Don Gesualdo mi è stato raccontato da un insegnante di liceo come un Don Arpagone, attaccato alla "roba" in quanto tale. Cazzate. Ecco cosa pensa Don Gesualdo moribondo, contemplando il lusso sfrenato presente nella casa del genero:
«Lui invece passava il tempo a [...] calcolare [...] quel che erano costate le finestre scolpite, i pilastri massicci, gli scalini di marmo, quei mobili sontuosi, quelle stoffe, quella gente, quei cavalli che mangiavano, e inghiottivano il denaro come la terra inghiottiva la semente, come beveva l'acqua, senza renderlo però, senza dar frutto, sempre più affamati, sempre più divoranti, simili a quel male che gli consumava le viscere. Quante cose si sarebbero potute fare con quel denaro! Quanti buoni colpi di zappa, quanto sudore di villani si sarebbero pagati! Delle fattorie, dei villaggi interi da fabbricare... delle terre da seminare, a perdita di vista... »
Capito cosa sta a cuore a Mastro-Don Gesualdo? Con quei denari si poteva ingaggiare villani, coltivare la terra, costruire villaggi: si poteva perseguire il progresso, la cività e il benessere, invece si sono mangiati tutto.
Lo trovo commovente. La nobiltà era ferma al '600, al feudo, al vitalizio. Lui è più avanti della borghesia del suo tempo, che si trascina la palla al piede dell'anima per sopperire alla mancanza di nobili natali: lui è l'uomo libero del '900, con tutto il positivo e il negativo: è laico, progressista, privo di scrupoli.
La parabola del protagonista è vertiginosa, sia quando punta alle vette, sia quando all'improvviso, precipita. Don Gesualdo è in guerra con i nobili, che si credono migliori per nascita e con i poveri, in particolare i suoi familiari, che non gli riconoscono l'autonomia di individuo e l'iniziativa individuale (dalla quale derivano profitti individuali).
Il romanzo presenta una certa inattualità lessicale, l'ho trovato meno fruibile di quanto potrebbe essere. Sostantivi indecifrabili, oggetti sconosciuti, azioni o consuetudini dimenticate. Un'edizione commentata sarebbe utile, anche se non è indispensabile.
Verga’nın okuduğum bu ikinci eseri ilkinden daha da etkileyici. Olağanüstü bir çevirisi var, kitabı konuşma dili tadında okutuyor. Küçük yaşlardan itibaren çalışarak duvarcı ustalığından başlayıp mütehatliğe kadar yükselen Don Gesualdo’nun para, servet, mal ve mülk ile sınıf atlamasının daha doğrusu atlatılmamasının bir hikayesi kitabın özeti. Dönemin Sicilya’sı tıpkı önceki kitabı Malovoglia’larda olduğu gibi çok özenli, detaylı ve güzel anlatılıyor. Çok can alıcı saptamalar var, örneğin Don Gesualdo Usta’nın nasırlı ırgat ellerinin soylu bir insan olmadığının göstergesi olduğu saptamasının soylulara hizmet eden uşaklar tarafından yapılması gibi. Herkesin kendi değirmenine su taşıdığı bir Sicilya kasabası ve çevresinde geçen roman anlatım özelliği, dili, akıcılığı ve sadelik içindeki zengin tanımlamalarıyla mutlaka okunması gereken kitaplar arasında yer almalı bana göre.
Se l'avessi letto qualche anno fa probabilmente non lo avrei apprezzato tanto quanto l'ho apprezzato oggi, Verga, infatti, è uno di quegli autori che, ai tempi del liceo, ho proprio odiato. Provando a leggere "I Malavoglia" più volte, altrettante volte l'ho abbandonato dopo pochissime pagine. Negli ultimi anni però ho provato a rivalutarlo, prima con "Storia di una capinera" e adesso con "Mastro-don Gesualdo", un romanzo molto godibile con protagonisti ben descritti, quasi vivi, e inseriti in un contesto molto realistico, con descrizioni che non risultano pesanti. Una Sicilia che viene messa a nudo con tutti i suoi pregi, difetti e contraddizioni. Mastro-don Gesualdo non è un personaggio che risulta molto simpatico ma gli ci si affeziona lo stesso, lui che ha un grande successo negli affari e con la "roba" ma che fallisce miseramente a livello di affetti e dei rapporti con gli altri, una famiglia che lo sfrutta per le sue ricchezze, che viene disprezzato dal suo ceto d'origine perché arricchito ma mai accettato dai ceti più alti, e lo dimostra l'appellativo di "mastro-don" che sottolineano la natura del personaggio, non più muratore ma nemmeno un borghese. Una vita dedita completamente agli affari fino al triste epilogo. Una fine che lascia l'amaro in bocca.
Στην αρχή δεν μου πολυάρεσε, το έβλεπα σαν οι ήρωές, σε ένα χωριό της Σικελίας, απλώς να κουτσομπολεύουν και να νοιάζονται για τη γνώμη του κόσμου. Μετά όμως την αναφορά της χολέρας ( περίπου στο μισό του βιβλίου) η ιστορία και οι ήρωες αλλάζουν, είναι σαν ο συγγραφέας να ωριμάζει και να εμβαθύνει στην τραγικότητα των προσώπων και της πλοκής.
Per quanto mi riguarda, una spanna sopra "I Malavoglia" (che prima o poi rileggerò per apprezzarlo di più). Un tuffo nella Sicilia rurale della prima metà del XIX secolo, avrei letto volentieri il progettato seguito che Verga, purtroppo, non realizzò mai (credo esista solo il primo capitolo). L'ascesa e la caduta di don Gesualdo Motta meritano davvero una lettura. All'inizio non sarà facile orientarsi fra i tanti personaggi perché l'autore ti sbatte dentro la storia senza sconti, lasciandoti fare da solo tutto il lavoro di comprensione, il disorientamento all'inizio è garantito. Ma una volta ambientati, la permanenza è piacevole, interessante e istruttiva. Semplificando al massimo, come costruire un signor romanzo sul concetto "i soldi non fanno la felicità".
Il romanzo è noto. Meglio o peggio de I malavoglia? Per quanto senso abbiano queste classifiche (assai poco...), il Mastro dimostra di sicuro più tormento, che di riflesso dalle vicende immaginarie riverbera nella sua forma, un'architettura ben più complessa che non quella in cui si mòveva Padron 'Ntoni e compagnia.
Ma parliamo d'altro. Parliamo di quest'edizione di Mastro-don Gesualdo. Parliamone male. Parliamo delle note a pié di pagina che, al pari d'uno stormo di zanzare assetate nella più afosa delle Estati, ci opprime e perseguita pagina dopo pagina, paragrafo dopo paragrafo, riga dopo riga, intralciando con costante e fastidiosissimo ronzìo la dolce diadica solitudine che instaurarsi dovrebbe tra opera ed utente. Solitudine che qui non c'è concessa, appunto. Dal costante indesiderato contrappunto di queste note a pié di pagine che, con piglio scolastico tristo e frusto, si pèritano di illustrarci pignole ogni singolo punto dell'opera, spiegandoci cosa stian facendo i personaggi, quali sieno le loro intenzioni, i mòti dell'animo, i significati e i simboli, sinanche dando definizione lessicale dei termini che il curatore, nella sua infinita saggezza, ritiene il lettore possa ignorare, lettore dunque ridotto alla stregua di misero beota e ignorante. Ahimé. È come guardare un film col commento molesto del vicino di poltrona, pronto ad anticipare ogni singola scena e a esternare le sue opinioni non richieste su dialoghi e attori. È come giuocare a scacchi coi suggerimenti sulle mosse provenienti da qualche saputo genietto proditoriamente intervenuto come spettatore. Assolutamente insopportabile.
Mastro Don Gesualdo è un classico.Un pezzo di storia della letteratura italiana.In esso seguiamo la vicenda personale del protagonista:conosciamo la sua ingordigia di benestante nato povero che accumula i beni (la roba)senza saperne godere;il conflitto generazionale che si sviluppa nell'ottica della famiglia patriarcale tra lui e il padre,e che impedisce l'instaurarsi di un normale rapporto affettivo fra i due;il subordinare agli interessi economici l'unico sentimento sincero che egli ha nella propria vita,cioè quello con la serva Diodata. Tutto questo lo porta ad un inevitabile fallimento a livello personale e sentimentale parallelamente all'altrettanto inevitabile fallimento della società a cui appartiene,fondata sulla logica dell'avere invece che su quella dell'essere. Sullo sfondo i moti rivoluzionari del risorgimento italiano e come elemento fondamentale la trascinante scrittura di Verga.Un capolavoro imperdibile.
Non sapevo cosa leggere, così mio figlio ha scelto per me, un po' a caso. Avevo già letto il libro quando andavo a scuola e mi ricordavo che non mi era piaciuto molto, be' mi sono ricreduta. Pieno di personaggi che ho faticato non poco ad inquadrare, ma tutti importanti ed indispensabili, descritti così bene che mi sembrava quasi di vedere un film. Un tema comunque attuale, l'amore verso i beni materiali (la "roba"), la lotta per l'ascesa sociale, la solitudine. Consigliatissimo!
All'inizio risulta difficile entrare nel ritmo della narrazione soprattutto perché i personaggi non vengono presentati, ma dopo i primi capitoli l'ho trovato piacevole. Certo, se vi aspettare una storia che vi faccia sbellicare dalle risate o una tenera storia d'amore questo ovviamente non è il libro che fa per voi, ma se invece siete curiosi di scoprire i meccanismi di una piccola società ottocentesca credo che siate proprio tra le pagine giuste.
Non mi aspettavo proprio di diventare una fan di Verga! Invece, già 'I Malavoglia' mi era piaciuto molto, ma 'Mastro Don Gesualdo' è proprio bellissimo. Sembra di 'leggere' un film, dove ogni capitolo è una scena, brulicante di personaggi e di comparse, dove non c'è solo il protagonista, ma un coro di voci, come nella realtà.
Quando ho studiato Giovanni Verga al liceo, non avrei mai immaginato che sarebbe arrivato un tempo in cui mi sarei disperata sull'incompiutezza del ciclo dei Vinti. C'è un modo per riportare in vita Verga e costringerlo a scrivermi La Duchessa di Leyra?
Giovanni Verga did not write of heroes and main characters; he was interested in communities, "Mastro Don Gesualdo" bursts with characters. To the degree that it has a hero, that role is filled by the title character, a self-made man in a small, too tightly-knit town. This is not Horatio Alger country, though. Verga's characters are victims of fate, and Don Gesualdo comes to a bad end. Perhaps it is less accurate to describe Don Gesualdo as a victim of fate than of the envious community, financial shenanigans, and greedy relatives that surround him. He is not free of unpleasant traits himself, marrying off his mistress to another man when an advantageous marriage to a pregnant but poor aristocrat presents itself. The real focus of the novel is the Sicilian community of this town, its penurious aristocrats, workers, spinsters, and churchmen. And its subject is perhaps the endless masquerade that they present to each other, trying--unsuccessfully--to maintain the public illusion that they are more virtuous, honest, or richer than they actually are. Verga's sharp eye for the revealing image illumines this perfectly. Two old men stick their heads out of windows, "glancing to the right and the left, looking up in the air, and then withdrawing their heads like snails."
Gesualdo Motta ammazzandosi di fatica fin da ragazzo, senza concedersi che qualche ora di sonno e un piatto di minestra ogni tanto, riesce ad affrancarsi dalla povertà che lo circonda e diventare un proprietario temuto e invidiato, ma il giorno in cui si fa convincere a sposare per interesse Bianca Trao ultima discendente di una famiglia aristocratica decaduta, sognando di imparentarsi con quelli che contano, firma invece la sua lenta ma inesorabile condanna personale e sociale: mai amato dalla moglie e dall'unica figlia, invidiato e vessato dai suoi stessi parenti, odiato e disprezzato per le sue umili origini dagli aristocratici, si renderà conto di aver accumulato ricchezze e terre senza aver realizzato nessuno dei suoi sogni e soprattutto di essere stato sempre solo. Realismo e pessimismo raggiungono forse il culmine in questo bellissimo romanzo
Concepito come evoluzione della novella La roba, il romanzo ci presenta una storia di sacrifici in cui la "religione della roba" si scontra con la difficoltà affettiva: anche se la lettura non mi ha entusiasmato (ho decisamente preferito I Malavoglia, è fuor di dubbio che Mastro Don Gesualdo riveli la piena maturità della riflessione narrativa di Verga. http://athenaenoctua2013.blogspot.it/...
It wasn't THAT bad, but probably I read it at the wrong time. Plus it made me go into a reading slump. I will probably continue reading the last pages another time
Ho trovato un'edizione di Mastro-don Gesualdo (per la verità non troppo splendida) che contiene sia la raccolta delle puntate uscite su Nuova Antologia nel 1888 sia la versione definitiva edita poi nel 1889. Leggendo un po' dell'una e un po' dell'altra ci si accorge facilmente di come nella stesura finale sia stato fatto un notevole labor limae per rendere il romanzo sia più adatto ad una lettura continuativa, sia più maneggevole: si fatica non poco a seguire la trama e il filo dei dialoghi nell'edizione a puntate. Sarà per lo stile peso, sarà perché ho apprezzato tutte le altre opere di Verga, almeno inizialmente sono rimasta delusa da una serie di elementi: i primi capitoli del Gesualdo sono ripetitivi, con una trama poco e male articolata, situazioni poco credibili e personaggi statici che come complessità rasentano il livello delle macchiette di Plauto, eccezion fatta per il protagonista, con cui si entra in una sorta di empatia, soprattutto verso la fine. Sostanzialmente anche il minimo dialogo, la minima azione sono incentrati sul fatto che questo burbero Gesualdo Motta "ha la roba", è un uomo che si è fatto da sé, che col sudore della propria fronte ha imparato a proteggere i propri preziosi averi dai possibili sciacalli; tutto il resto è di contorno, e dopo un po' il lettore ne ha abbastanza di sentirsi ripetere ad oltranza gli stessi tre (?) concetti. Da un certo punto in poi invece Verga cambia schema, inverte la rotta. Sebbene secondo me continui a rimanere per certi versi distante dal Verismo (soprattutto per le costanti ironie che l'autore usa senza ritegno, soprattutto nel descrivere le dinamiche relazionali fra i diversi ceti), la narrazione procede assai più agevolmente ed i difetti prima sottolineati vengono in qualche modo aggiustati. Ci sono delle pagine indimenticabili, delle ambientazioni che hanno un che di lirico, tratti evocativi che danno al lettore l'impressione lo sguardo dei personaggi puntati addosso. Non so neppure con quale aggettivo descrivere il capitolo in cui Verga fa "zoom" su tutti i protagonisti elencando i vari modi in cui sono stati delusi dalle loro aspettative, ben differenti le une dalle altre. L'unica pecca che pervade tutto il romanzo è la pesantezza stilistica: se si eccettuano qualche dialogo davvero riuscito e le parti un po' più scorrevoli in cui hanno luogo le rivoluzioni sociali (che comunque ricordano molto Manzoni), il ritmo di lettura è per forza di cose rallentato. In alcuni punti trovo che Verga potesse farla più breve, certe scene ripetute all'infinito potevano essere tagliate. Nel complesso, molto meglio i Malavoglia. Peccato non sapere come vada poi a finire il Ciclo dei Vinti...
Questa lettura risale ai tempi del liceo e più precisamente all'estate di passaggio tra il quarto e il quinto anno. In genere i libri imposti dai professori risultano ostici... questo invece... l'ho semplicemente adorato! Mi ha aiutato molto a capire e a studiare Giovanni Verga, il suo modo di scrivere, il suo modo di vedere le cose e, perchè no, anche una sorta di simbologia, se così si può chiamarla, che utilizza. Ricordo ancora, a distanza di anni, la professoressa che ci spiegava questo libro, come il protagonista porta nel suo nome anche la sua condanna: la solitudine. Nato come Mastro, e perciò appartenente alla borghesia, Gesualdo sposerà una nobile economicamente decaduta divenendo così un Don. Così facendo però gli altri borghesi si allontaneranno da lui poichè ormai lo considerano di una classe superiore mentre, viceversa, i nobili continueranno sempre a guardarlo dall'altro in basso perchè di basse origini e non lo accetteranno mai tra la nobiltà. Questa libro dimostra chiaramente la posizione che l'autore ha nei confronti degli arrampicatori sociali, che egli attacca ferocemente e che, a suo avviso, sono destinati a rimanere completamente soli.
It has been a while since I read an Italian book in Italian and this is one of those classics that had eluded me. I really enjoyed it even though the style of 19th century Italian writing was sometimes a bit of a struggle. Saying that I came across many expressions long forgotten that took me back to my school days, one of my favourite for crawling on all fours "andava bocconi". Again the writing was very tight in this version. The old way of writing dialogue on the same line as description as the modern way of writing dialogue on its own on the next paragraph. On the whole very enjoyable. Now I am watching the whole thing on YouTube courtesy of RAI who filmed an excellent version with Lydia Alfonsi and Enrico Maria Salerno back in 1964...which I missed because I was only six!
Mamma mia che fatica leggerlo! Credo di essermi addormentata ogni volta che lo leggevo. L'ho trovato talmente pesante che devo ammetterlo: ora, dopo averlo appena finito tutto, non ho capito quasi nulla della storia che ho letto...
L'ho finito. Voglio una medaglia, un premio, dei cioccolatini qualsiasi cosa. Mi dispiace, l'ho finito giusto perché mi rompeva lasciarlo a metà ma è stata una tortura, consigliato perché è un classico, sconsigliato per tutto il resto.
Non è proprio il libro migliore per superare il blocco del lettore, ma nella mia mente è stato come ascoltare un audiolibro di Zinato. 4 stelle solo perché senza le note è illeggibile, data la numerosa varietà di ellissi.