Albania, 2025. Lara, una studentessa di giornalismo, italiana di genitori albanesi, arriva in Albania per intervistare un uomo che vive rinchiuso nella sua abitazione da trent’anni. Lei non sa cosa la aspetta, non sa che questo incontro cambierà la sua vita. Albania, 1995. Nel caos che travolge il Paese dopo la caduta del regime comunista, le vicende di due famiglie si intrecciano. Halil e sua moglie Rozafa vivono nel dolore per la scomparsa della loro bambina Nina, svanita nel nulla, e la loro unica consolazione è il figlio maggiore, Uksan. Zek, un uomo violento, maltratta la moglie Odeta, che spesso trova protezione nel figlio Samir. Uksan e Samir sono coetanei, amici per la pelle, con la vita davanti, anche in una terra senza futuro. Un equivoco, una banale lite e Halil, padre di Uksan, picchia a morte Zek, padre di Samir. Il Kanun, un’antica legge albanese, esige la riparazione del delitto. Samir, ora, è obbligato dalla sua famiglia a preservarne l’onore, vendicare il sangue versato, uccidere il suo amico fraterno Uksan. L’amicizia tra i due ragazzi, il loro desiderio di libertà, sarà più forte della vendetta. E Lara, molti anni dopo, chi sta andando davvero a incontrare? Le camelie invernali è la storia di un conflitto viscerale tra due famiglie legate da segreti inconfessabili e da una tradizione oscura e ancestrale. Il potente ritorno di un narratore che ha stupito il mondo con il suo romanzo d’esordio, Domani e per sempre.
Dopo un brillante esordio come scrittore con il romanzo "Domani e per sempre", Ermal Meta è tornato con il suo secondo libro: "Le camelie invernali", riconfermandosi un narratore capace di catturare i lettori con le sue parole, tanto in musica quanto su carta. Con questo secondo romanzo, l'autore ci riporta nella sua terra d'origine, l'Albania. Una terra tanto vicina a noi italiani quanto ancora sconosciuta, ma ricca di fascino e al tempo stesso segnata da ferite profonde che faticano a guarire e che, forse, non lo faranno mai del tutto. Se in "Domani e per sempre" Ermal Meta ci aveva mostrato l'orrore del regime comunista che ha martoriato l'Albania dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino al 1990, qui ci racconta le inevitabili cicatrici che un regime così brutale ha lasciato nel paese. "Le camelie invernali" offre uno spaccato di una realtà difficile, segnata da sporadiche luci e consistenti ombre derivate da ataviche tradizioni. È un racconto di vendetta, faide familiari e debiti di sangue sfociati in una spirale di violenza senza fine. Tra le sue pagine, l'autore apre una finestra su un volto drammatico dell'Albania post regime, quando, venuta meno la politica di repressione, il paese attraversò una grave crisi economica e sociale. È in questo contesto che ritornarono in vita spettri del passato, tradizioni che parevano dimenticate, ma che invece erano ancora vivide nella memoria collettiva. La storia ruota tutta attorno al concetto del "Kanun", un'antica legge albanese che stabiliva che in caso di omicidio, la famiglia della vittima dovesse esigere vendetta, prendendo il sangue di uno degli uomini della famiglia dell'assassino e ristabilendo così il proprio onore. Sangue per lavare via altro sangue. È ciò di cui si sta occupando la giovane Lara, una studentessa di giornalismo che ha deciso di scrivere una tesi sull'argomento. Lara, infatti, è nata in Albania, ma la sua famiglia si è trasferita in Italia. La ragazza decide quindi di tornare nella sua terra natale per intervistare un uomo che vive recluso nella sua abitazione da trent’anni, proprio a causa del "Kanun". L'intervista aprirà la mente di Lara su tanti argomenti disparati e cambierà profondamente il punto di vista tanto della giovane quanto di noi lettori. "Le camelie invernali" è un romanzo da leggere tutto d'un fiato, duecento pagine dense di avvenimenti, colpi di scena ma soprattutto emozioni. Una storia che cattura e coinvolge a pieno il lettore, breve ma ricca di un'intensità che non può lasciare indifferenti. Una trama concitata, scandita da eventi significativi che lasciano il segno in chi legge, oltre che nei protagonisti stessi. Tramite capitoli brevi e scene concise, l'autore tratteggia un quadro preciso dei diversi personaggi che si susseguono fra le pagine, attori inconsapevoli di un dramma il cui epilogo sembra scritto fin dalla prima pagina. Pur con poche battute e momenti ridotti sulla carta, i personaggi riescono a parlare al lettore, a mostrarsi a trecentosessanta gradi nei tratti più veri della loro indole. Bastano pochi gesti perché ognuno di loro sia ben identificato agli occhi di chi legge. La prima di cui facciamo la conoscenza è Lara, un personaggio in cui secondo me l'autore ha riversato tanto della sua esperienza autobiografica. Una ragazza che vive sospesa fra due realtà diverse, senza sentire di appartenere davvero a nessuna delle due. "Troppo italiana in Albania e troppo albanese in Italia". Per Lara il ritorno in Albania è un passo cruciale del suo percorso di vita, un ricongiungimento con la terra che l'ha vista nascere e verso cui sente una sorta di debito. Lara vuole conoscere le sue radici, ma non sa che questo incontro la cambierà nel profondo. Tramite l'intervista della giovane all'uomo recluso a causa del "Kanun", quello che in paese tutti chiamano "il prigioniero", la narrazione si sposta quindi trent'anni prima, nel 1995, quando tutto ha avuto inizio. Come Lara, anche noi lettori ci addentriamo in una vicenda dai contorni oscuri, scoprendo finalmente l'identità dell'uomo. Apprendiamo quindi che la storia vede protagoniste due famiglie, legate da un destino avverso e crudele. Da un lato, abbiamo Halil e Rozafa, che vivono con il figlio Uksan dopo la scomparsa della figlia minore Nina; dall'altro, invece, c'è Zek, un uomo violento che picchia la moglie Odeta e che vive con lei e con il figlio Samir. Accanto a questi personaggi, ve ne sono poi anche altri che fanno la comparsa durante la storia, e ciascuno ricopre un ruolo ben preciso nella narrazione. Le loro vite si intrecciano come fili in modi talvolta inaspettati, andando a disegnare un arazzo complesso e angosciante. Niente è lasciato al caso e, anche se può sembrare dispersivo spostarsi dinamicamente dall'uno all'altro punto di vista all'interno dei vari capitoli, introducendo di volta in volta nuovi personaggi con la propria storia e il proprio background, pian piano tutto ritrova un senso nella globalità del racconto. Ogni personaggio è un tassello essenziale nel puzzle di una storia complicata, che vede scontrarsi casualità e destino in un gioco pericoloso. Attraverso ognuno di essi, l'autore va a rappresentare facce diverse della stessa medaglia. E affronta tematiche forti in modo delicato ma mai superficiale. All'interno di un romanzo che potremmo definire corale, se volessi individuare il vero protagonista direi che è il contesto storico e sociale, arretrato e macchiato dagli echi di un regime che ha sconvolto un intero paese. Il "Kanun", le faide familiari, la vendetta, la violenza nelle sue forme più disparate, la crudeltà e la discriminazione sono tutti elementi che presentano un comune denominatore. La crisi identitaria lasciata dalla fine del regime che ha portato con sé altro dolore e sofferenza. Un tale livello di odio a cui la risposta sembrava essere solo altra violenza. E chi ne ha fatto le spese sono state, come sempre, le persone comuni. Ho apprezzato tantissimo come, anche in questo romanzo dai toni ancora più cupi del precedente, l'autore sia riuscito a delineare un quadro preciso e straziante di una realtà neanche troppo lontana nel tempo da noi. Questo libro presenta tutti gli aspetti peggiori della natura umana, ma ci regala anche qualcosa di pari valore. La speranza, perché quelle vite destinate alle tenebre lottano con ogni mezzo per rimanere nella luce. A dominare il romanzo è un'umanità disperata, che però non ha rinunciato a sperare, neanche di fronte al buio più totale. Un'umanità che, nonostante tutto, è ancora capace di atti di gentilezza. "Le camelie invernali" è un romanzo che conquista il pubblico grazie a un continuo contrasto di luci e ombre, fra famiglie difficili, relazioni complicate e segreti inconfessabili. Complice della sua brutale bellezza, oltre ai temi trattati e alle drammatiche vicende, è anche la scrittura dell'autore. Lo stile è diretto ed essenziale. Va dritto al cuore degli eventi, ma non rinuncia ad immagini più vivide ed evocative. Il testo è ricco di metafore potenti, che acuiscono la carica emotiva del romanzo. La scrittura di Ermal Meta si adatta perfettamente alla natura del racconto. È una storia dura, cruenta, che non ha bisogno di essere addolcita con fronzoli di alcun tipo. Una storia che fa piangere e arrabbiare, ma che risulta quanto mai necessaria. Una storia in cui non ci sono vincitori né sconfitti, solo esseri umani che cercano disperatamente di dare pace alla propria anima. Ma, come afferma l'autore, "Forse l'anima è solo una macchia che non va via".
"Domani e per sempre" è stata una dolcissima sorpresa, una storia profonda in cui era possibile vedere il grande studio e la ricerca che facevano da base. Dal momento in cui sono arrivata all'ultima pagina, sapevo che avrei aspettato -e sperato ci fosse- un prossimo romanzo. "Le camelie invernali", nonostante le poche pagine, riesce a dipingere un quadro tragico e reale dell'Albania degli anni '90, del Kanun ancora oggi rispettato, con personaggi con cui è impossibile non entrare in empatia, nonostante le loro -discutibili- scelte. La scrittura di Ermal Meta si conferma un bellissimo viaggio, e già aspetto il prossimo titolo!
Acquistato d’impulso, sulla scia del ricordo dello splendido esordio di “Domani e per sempre”. Titolo curioso, copertina affascinante, trama che mi lasciava presagire qualcosa di simile al romanzo d’esordio appunto. Invece “Le camelie invernali” mi ha lasciata perplessa: l’inizio, che vede protagonista Lara, una giovane giornalista italo-albanese di oggi decisa a scrivere un articolo su una vicenda dell’Albania del passato, è interessante e lascia presagire una coinvolgente storia di amore e di vendetta. La penna di Ermal Meta accompagna, inoltre, ogni passo con leggerezza e sensibilità. Poi, però, la storia va ad ingarbugliarsi con troppa, troppa violenza. Eccessive azioni truculente e malvage tolgono un po’ troppo spazio alla poesia che aveva condotto “Domani e per sempre” e che qui appunto ci si aspettava di ritrovare. L’antica legge albanese del Kanun, che esige la riparazione di un delitto, è uno spunto interessante ma dà origine a una confusa faida che a mio avviso prende troppo spazio tra le pagine, rendendo, alla fine, la vicenda ripetitiva e soffocante, per quanto narrata con gusto ed eleganza. Allo stato attuale ricordo meno i personaggi e le loro azioni che la mia perplessità a fine lettura. Sufficiente, ma mi aspettavo qualcosa di diverso.
Lara, nata in Italia da genitori albanesi, si appresta a diventare una giornalista. Decide di recarsi in Albania per intervistare un uomo che non esce di casa da 30 anni. È così che viene a conoscenza della storia di Uksan e Samir, amici che si trovano coinvolti in una faida familiare.
È una storia di vendetta, di violenza, di perdita. Tema centrale è il kanun, un insieme di norme non scritte, tramandate oralmente, che in Albania ha da sempre regolamentato la vita individuale, familiare e sociale. Il kanun prevede la vendetta di sangue: "se uccidi qualcuno, la famiglia della vittima ucciderà un membro della tua per ristabilire il suo onore". Ed è così che si innesca un'inarrestabile faida familiare, che coinvolge solo il lato maschile della famiglia, perché la vita di una donna non conta nulla, e che comporta una vita di clausura per chi vuole salvarsi. Un retaggio culturale davvero discutibile ed inaccettabile, che non credo si sia ancora esaurito. Rimanendo in tema familiare, altro triste tema è quello della violenza domestica che una donna è costretta a subire, spesso obbligata a matrimoni combinati, in quanto l'amore non è ammesso e viene considerato una vergogna che sporca il buon nome di una famiglia. La trama è ben articolata e composta da più storie che confluiscono una nell'altra, attraverso continui salti temporali. Vi è anche una specie di intermezzo alla fine di ogni capitolo: parla di una storia damore svelata solo alla fine. Inizialmente la voce narrante è in prima persona, per poi lasciare spazio alla storia dell'intervistato, che avviene in terza persona. La scrittura è semplice e scorrevole e sono presenti anche parole o frasi in albanese, di cui è sempre disponibile la traduzione. Non mancano frangenti più poetici. Ermal Meta è bravissimo a rievocare tradizioni della sua terra d'origine, prestando particolare cura anche nella descrizione degli ambienti e dei paesaggi. Altri temi delicati affrontati sono l'omosessualità ed il traffico clandestino dall'Albania alla Grecia; negli anni 90 si sono registrati numerosi rapimenti di bambini in Albania.Vi sono numerosi ed inaspettati colpi di scena e la narrazione è sempre coinvolgente, con un tocco di mistero che non guasta. Sempre interessante scoprire le usanze di un altro paese, anche se difficili da accettare. L'epilogo è drammatico, come tutta la seconda parte del libro: se inizialmente si poteva pensare ad un messaggio di speranza per spezzare queste rivendicazioni di sangue, non si può che assistere inermi di fronte ad una rabbia generatrice di male. Forse l'autore ha esagerato, ha calcato un po' la mano... o forse è difficile accettare una realtà tanto sconcertante, dove il perdono non è contemplato. E nonostante non approvi tutte le numerose scomparse, oltretutto in un arco di tempo troppo ristretto e con moventi deboli, si è rivelata una buona lettura.
4.5⭐ ho iniziato questo libro Senza aspettative, non sapendo veramente in cosa mi sarei immersa, se mi sarebbe piaciuto oppure se mi avrebbe annoiato. In due giorni me lo sono finito, Senza staccarmi un attimo dalle pagine: due mattinate intense. Le parole di Ermal hanno sempre un che di speciale e di poetico e ho amato infinitamente sia il suo modo di scrivere che la storia che la sua costruzione. Gli avvenimenti sono intensi e sento di aver bisogno di qualche giorno per digerirli a pieno, per "riprendermi" e metabolizzare il tutto, e sinceramente non so neanche come descriverlo. È un racconto che non può essere definito "Bello", se non nello stile di scrittura, perché ciò di cui si parla che è veramente denso, corposo e soprattutto una realtà fisica e tangibile. Ripeto: devo digerirlo, è stato davvero un viaggio intenso, il classico "breve ma intenso"
“Le cose non dette diventano vene sepolte: prima o poi il sangue trova la strada.”
C’è un prologo. Racconta un frammento di storia che risale alla fine dell’800. Serve per spiegare cos’è il kanun, un codice morale che risale all’alba dei tempi e implica la vendetta d’onore e di conseguenza l’avvio di una faida infinita tra famiglie rivali.
C’è una cornice: ai nostri giorni la giovane Lara, studentessa universitaria italiana ma albanese di origine, compie il suo primo viaggio in Albania per intervistare un uomo misterioso, chiamato “il Prigioniero”, che da trent’anni non esce di casa.
C’è un intermezzo: una storia d’amore che si svolge a marzo e si esprime in dialoghi di poche battute tra i due anonimi innamorati (io,almeno, io non ho capito chi potrebbero essere, né perché ci sono…ovvero: cosa mi viene a significare? direbbe Montalbano).
Infine c’è la storia vera e propria che si sviluppa negli anni Novanta tra Albania e Grecia e riguarda (finalmente) il conflitto tra due famiglie: inizia con la scomparsa di una bambina e arriva al punto cruciale dello spargimento di sangue, tale da rendere inevitabile la messa in pratica del kanun.
Non c’è un po’ troppa densità compositiva? A mio parere sì.
Protagonisti sono i giovani figli delle famiglie rivali, Samir e Oksan, che vedono la loro amicizia sfregiata dalla ferocia delle antiche usanze barbariche, perpetuate con orgoglio da una cultura maschilista e violenta. Le conseguenze non possono che essere drammatiche.
Ermal Meta costruisce una storia che ha indubbiamente delle qualità e riserva le stesse sorprese di un thriller, eppure non convince del tutto, nonostante l’ambiziosa costruzione (che viene in parte svilita da qualche caduta di stile, come l’abuso del verbo “fiondarsi”).
Insomma, come ha ben sintetizzato una mia amica, il gradimento di questo romanzo si ferma a un “ni”.
Una storia toccante che parla di tradizioni popolari, di tabù sociali e di malinconie territoriali. Un romanzo che tratta di amore, di odio, di perdono, ma anche di vendetta. Con un linguaggio e uno stile toccante, Meta riesce a toccare i cuori dei lettori mettendo in luce piccoli dettagli della sua Terra e mette in scena anime ed emozioni umane.
Dopo aver molto apprezzato il suo primo romanzo mi sono imbarcata nella lettura di questo suo ultimo. L'inizio è stato bello, interessante e fluido. Dopo mi sono ritrovata in un groviglio di personaggi e situazioni che mi hanno lasciata alquanto perplessa e dal quale non vedevo l'ora di uscirne. La scrittura è sempre bella ma del romanzo mi sento solo di dire : senza infamia e senza lode.
Apprezzo molto l’Ermal Meta scrittore. Avevo iniziato il primo romanzo per pura curiosità e mi aveva sorpresa molto.
Con Le camelie invernali pensavo di sapere cosa aspettarmi, invece l’autore ha alzato l’asticella della sorpresa: ha sperimentato una serie di narrazioni multilivello che - al netto di qualche forzatura - ho apprezzato particolarmente. Il libro è molto scorrevole e si legge in due giorni, nel senso che proprio non si riesce a smettere.
Un solo consiglio all’Ermal Meta scrittore: qualche punto esclamativo in meno all’interno dei dialoghi.
Avevo altissime aspettative da questo libro, e purtroppo sono rimasta delusa. Il tema centrale è assolutamente interessante, mi piace conoscere cose che non so, ma il libro mi ha lasciata perplessa: mi è sembrato che si sia svolto tutto velocissimamente, non ho avuto il tempo di capire bene una scena che già si passava alla successiva. Non ho ritrovato la scrittura poetica che mi ha catturato nel primo libro e di questo me ne rattristo. Non è un brutto libro, però non credo che tenga assolutamente testa al romanzo di esordio.
Un libro breve e scorrevole, con momenti davvero intensi. Mi ha incuriosito perché racconta un lato della storia dell’Albania che non conoscevo. Anche il personaggio di Samir mi è piaciuto. Non gli do cinque stelle solo perché lo stile mi è sembrato un po’ troppo elementare e alcuni passaggi forzati, ma nel complesso è stata una lettura piacevole e interessante. Apprezzo molto Ermal Meta come artista e continuerò a seguirlo anche come scrittore.
Le camelie invernali di Ermal Meta non è romanzo comune, è una storia che si racconta a pezzi, e per farti a pezzi, perché, anche se non si direbbe, diamine, è piena di colpi di scena, ma soprattutto ha un andamento spazio temporale che ti fa saltare da un momento all'altro e da un luogo a un altro, lanciandoti addosso fatti come fossero pietre; alcune ti scivolano sulla pelle, altre, ti lasciano lividi pesanti. Questo è un libro che non sembra avere un autore; è uno di quei casi rari in cui la storia si evolve tra passato e presente senza avere un deus ex machina, ma solo all'apparenza, perché lo stile di Ermal Meta è tutto fuorché inesistente. È crudo, intenso, viscerale ma capace di poesia quando meno te lo aspetti. È un po' come le sue canzoni, così malinconiche, ma vere e innegabilmente dolorose. Al centro, due personaggi: un uomo che non esce da casa da trent’anni, e una giovane donna che attraversa un intero paese per parlargli. Uno ha il passato marchiato addosso come una condanna. L’altra cerca risposte che riguardano la sua identità più di quanto creda. In mezzo: l'Albania, terra d'origine di Ermal Meta, raccontata non come sfondo esotico ma come stratificazione di memoria, ferite e codici arcaici. Una terra bellissima e feroce, fatta di silenzi che parlano più delle parole. - "Non avevo paura di morire, ma di essere visto per quello che ero.” Ma questo non è un romanzo sulla vendetta, e nemmeno sul trauma. È un’opera che esplora la vertigine della colpa, l’impossibilità di amare liberamente, la potenza e il limite del perdono. Le camelie invernali è un’esperienza da affrontare con rispetto e ascolto. Parla di chi è rimasto indietro, di chi ha fatto del silenzio la sua condanna e del ricordo una prigione. Ma parla anche di possibilità — tardive, imperfette, ma ancora vive — di fiorire, anche nel gelo. Ermal Meta illumina il punto esatto in cui le nostre ferite incontrano quelle degli altri. E in quel punto, forse, qualcosa di profondo e umano comincia a cambiare. Finalmente.
Il romanzo comincia spiegando che cosa sia il kanun, una legge non scritta diffusa in Albania del Nord che prevede la vendetta in caso di disonore e omicidio. Benché rara, è ancora applicabile in contesti rurali. Nel 2025 Lara si reca in Albania per raccontare la storia di un uomo che vive segregato nella propria abitazione da oltre trent’anni. Attraverso la sua testimonianza la ragazza ricostruisce la storia di un’amicizia negli anni Novanta fra Uksan e Samir, un legame che deve interrompersi a causa della violenza e di usanze arcane. Anche questo romanzo di Ermal Meta mi è piaciuto molto. Forse avrei preferito una maggiore introspezione dei personaggi e qualche approfondimento ulteriore, ma lo stile narrativo intenso e quasi poetico nel descrivere eventi drammatici e’ coinvolgente e emozionante. Anche in questo racconto, come nel precedente, il dolore è lacerante, intenso, violento e la ricostruzione di un contesto in cui prevalgono i peggiori difetti dell’uomo è preciso e incisivo. Un romanzo di densa emotività che conferma Meta come autore di profonda sensibilità.
Ho divorato questo libro, ho pianto l'anima, tratta di vari temi sociali/culturali in modo così delicato, ogni personaggio ha una forte caratterizzazione, e ogni parola ti arriva dritta al cuore. Ho adorato lo stile, consiglierei questo libro a tutti, perché è breve e scorrevole ma allo stesso tempo è devastante sul finale (quindi se siete tristi non leggetelo, mettetelo da parte per un'altra volta). Mi ha fatta riflettere tanto, su svariati temi come discriminazione, violenza, cultura, crescita. È stata una piacevole sorpresa, ho preso questo libro per puro caso e non mi sarei mai immaginata tutto ciò. Detto questo leggetelo, Ermal si è dimostrato uno straordinario scrittore, a mio parere. Al prossimo libro!
A un certo punto confuso. Peccato. Il libro è partito bene narrando la storia di una ragazza italiana figlia di albanesi che va in Albania per la prima volta per fare un'intervista a un uomo che vive in casa, "prigioniero" della legge del kanun. La trama potrebbe essere interessante ma a un certo punto si incasina tutto per via di salti temporali e alcuni passaggi non mi sono risultati così chiari, anche perché i protagonisti sono stati descritti un po' velocemente (il libro è breve). Peccato perché i temi erano interessanti e Ermal Meta scrive molto bene. Tuttavia verso la fine ho capito il senso di alcuni passaggi ma meno di altri. Anche il fatto stesso che il protagonista si sia chiuso in casa è un po' criptico. Peccato
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Questa storia mi ha fatta riflettere su quanto siano fragili e ambigue le definizioni di libertà e prigione. Ciò che per alcuni appare come un limite invalicabile, una condanna, per altri può trasformarsi nell’unico rifugio possibile, in un’idea di libertà. Quelle mura, che siano fatte di mattoni o di silenzi, iniziano a ergersi intorno a noi fin dalla nascita. E spesso non le vediamo, finché non cominciano a stringere. Questo libro, per me, è un invito: a guardare dentro le nostre gabbie, ad ascoltare ciò che ci abita, e forse a trovare il coraggio di aprirle. Di entrare in una realtà fatta di identità negate, di silenzi imposti, ma anche di resistenza, e dignità.
Questo libro è diverso dal primo scritto dall' autore, se nel primo nonostante tutte le cose brutte e crudeli che accadevano al protagonista si poteva sempre sperare in qualcosa di migliore, si poteva sempre sentire la speranza, in questo accade l'opposto, la speranza Viene annichilita lasciando il posto a un'amarezza assurda che si attanaglia al cuore. È una tragedia nella tragedia, vite spezzate sia in senso letterale che figurativo. La mia valutazione è un po' bassa perché credo che questa storia meritasse più pagine, più spiegazioni, più tempo per digerire ciò che stava accadendo, forse qualche capitolo in più avrebbe reso il tutto ancora più tragico ma ne sarebbe valsa la pena.
Devo dire che mi ha ha piacevolmente sorpreso. Non riuscivo a smettere di leggerlo. Una trama molto ben intrecciata dove passato e presente si fondono. Non mancano i colpi di scena e la scrittura è cruda, efficace e con tratti poetici. Viene raccontata bene la faida tra due famiglie albanesi, come le origini dell’autore, e di come alcune tradizioni fatte di vendetta e silenzi siano le origini di tanto odio nonostante ci sarebbe la possibilità del perdono. Per me ⭐️⭐️⭐️⭐️1\5
Mi piace molto Ermal Meta come musicista e adesso scoperto positivamente anche come scrittore. Il libro è molto interessante, personalmente non conoscevo la legge del Kanun ed è stato una spiacevole scoperta. Però sembra davvero correre troppo. Il libro è piuttosto corto, sarebbe potuto essere tranquillamente più lungo per farci entrare un po' di più nelle emozioni dei tanti personaggi che compaiono in questa storia. Sicuramente ho preferito Domani e per sempre.
Ho un debole per il modo di scrivere Ermal Meta, amo le sue canzoni e ho amato il suo primo romanzo. Le aspettative che avevo su "Le camelie invernali" erano alte, ma sono state soddisfatte, senza alcun dubbio. Ho letteralmente mangiato questo libro e vedere le trame di tutti i personaggi svolgersi e stravolgersi nel corso della lettura mi ha tenuta con il fiato sospeso fino alla fine. Ho segnato tante frasi, semplici ma con una verità e un potere disarmanti.
grandi aspettative ahimè un po' deluse. Argomento avvincente ed interessante il kanun il sangue chiama sangue secondo le leggi popolari albanesi. una storia di amicizia di salvezza di morte. molti personaggi entrano in questa storia, i protagonisti sono empatici emozionanti avvincenti tutti gli altri comparse senza infamia e senza lode...... lettura scorrevole affollata inutilmente un grande non saprei
Un romanzo dalla trama originale, che riesce a sorprendere con diversi colpi di scena ben dosati. Una delle cose che ho apprezzato di più è stata la possibilità di scoprire aspetti della cultura albanese.
Tuttavia, la scrittura non mi ha convinto del tutto: lo stile è piuttosto elementare, a tratti ripetitivo, e l’abuso dei punti esclamativi tende a rendere il tono poco naturale.
Ho amato tanto "Domani e per sempre" e anche questo l'ho trovato bello ed interessante anche se a tratti crudo. Non conoscevo il tema del "kanun" una legge molto antica che ristabilisce l'onore di una famiglia dopo un omicidio attraverso la vendetta. Si svolge tra l'Albania e la Grecia. Si legge d'un fiato e lo consiglio.📚
Ho amato il primo libro di Meta, per cui ero felicissima di sapere che ne aveva scritto un altro, ma devo ammettere che sono rimasta molto delusa. Il libro mi sembra un insieme di troppa roba, troppe informazioni, troppi eventi, troppo tutto, che lo appesantiscono e non gli danno un senso. Un libro senza nè capo nè coda, per quanto potenzialmente il tema del Kanun sia estremamente interessante
Ambientato in Albania all'epoca della caduta del regime, racconta del kanun, legge non scritta che impone ai discendenti maschi di una famiglia di vendicare la morte di un proprio componente e della fuga verso l'Italia e la Grecia di migliaia di persone. Ermal Meta è un poeta e questo libro è il suo secondo capolavoro!
La seconda metà l'ho divorata, ma non appena ho completato la lettura ho ricominciato dall'inizio per capire meglio lo svolgimento della storia. Veramente bello e ricco di sentimenti, soprattutto negativi. Il tema principale: la violenza genera violenza