Merdoni è il racconto di un mese vissuto pericolosamente online . Nasce dalla sensazione sempre più opprimente che Chiara Galeazzi prova avvicinandosi ai social. Fin da quando ha iniziato a usare internet la «sezione commenti» è stata per lei un posto ostile, ma con gli anni i toni sono andati addirittura peggiorando. Pur non avendo mai partecipato, l’autrice decide così di mettersi nei panni di un «leone da tastiera» per sperimentare il potere del giudizio facile. Chissà, magari rende la vita migliore… Merdoni affronta con ironia e profondità uno dei temi più attuali del nostro tempo, che intreccia salute mentale e convivenza civile con la scomparsa del buon vecchio senso dell’umorismo.
Un libro che dovremmo leggere tutti per interrogarci sul senso delle nostre presenze online ma soprattutto per capire che lo spirito da sbirro che vive in noi è solo manifestazione del grande sabotatore che c'è in noi che cerca di impedirci di pensare veramente
Questo volumetto è il risultato di un’indagine condotta dall’autrice sulla pubblica gogna, il famigerato “merdone”, e così proposta all’editore. Si tratta di un esperimento sociale e il campo di studio è l’ex Twitter. Fuori tempo massimo, direi, ma sono curiosa di approfondire e capire cosa aggiunge a un tema già ampiamente dibattuto. A metà del testo l’autrice non riesce ancora a creare una cesura tra se stessa e il suo alter ego (il fake) che posta su X. Interagisce con due post (tre a quasi il 60% di lettura) e s’interroga circa la qualità della scrittura del suo fake. Ci tiene molto a sottolineare che, in altri contesti - retribuiti - la sua scrittura è migliore. I suoi interventi sono evoluti, forse troppo articolati (sostiene) entro il limite numerico dei caratteri. Il pubblico è quel che è e i suoi post, ahinoi, cadono nel vuoto. Incompresa dal popolo del (ex) Twitter.
Quando un autore propone un’indagine a un editore mi aspetto che sia preparato: i temi, peraltro, non sono innovativi o d’avanguardia antropologica. Stiamo parlando di commenti social insensati, d’odio, cospirazionisti e altre comuni involuzioni, spesso formulati in una lingua aliena e in contesti dove gli analfabeti di ritorno o funzionali o fancazzisti o vattelappesca trovano il loro ambito d’elezione. Un tempo imperversavano nei bar con un grappino in mano, oggi imperversano sui social. Evoluzione. Gl’interventi dei commentatori sono prevedibili, gli schemi sempre uguali. Il multiverso social è poco multi. E quindi? E quindi niente, l’autrice s’incazza interiormente, scrive post inessenziali ad attrarre il pubblico dell’esperimento: post inascoltati (perle ai porci, scrive) a causa dell’algoritmo o perché troppo sofisticati per essere compresi? E l’umorismo, la comicità dell’autrice? Non pervenuta. La parte divertente è quella finale che prescinde dall’autrice ed è la social top ten di Propaganda Live con l’enumerazione delle migliori pagine Facebook surreali. Che ricordi. Libercolo inutile alla causa.
Chiara Galeazzi, ti ho appena scoperta ma ti voglio già così bene. Il sabato pomeriggio più divertente che ho passato da un po’ - giuro che si ride a crepapelle e si riflette molto su ragebait e dinamiche sociali. Che splendore
Ci sono delle volte in cui sono molto in difficoltà a parlare di ciò che ho letto e questa è una di quelle: Chiara Galeazzi è talmente esaustiva e mi sento talmente in linea con le conclusioni del suo autosabotante esperimento che non so bene che dire. La riflessione che mi ha scatenato maggiormente è il presupposto senza il quale questo esperimento sociale non avrebbe avuto vita, ovvero “prendere i social per quello che sono”. Mi spiego meglio: con questa banalità intendo dire usarli nel modo in cui “vogliono” essere usati, una partecipazione passiva/passivo aggressiva al fine di farsi sentire e basta, di rimarcare la propria posizione nascondendosi dietro l’onorevole missione salvifica della giustizia; tutte queste premesse includono paradossalmente una sorta di astrazione dai social stessi, seppur l’azione implichi un’immersione totale. Tipo ora - che fa un caldo porco - mentre sei fuori a schiumare non te ne rendi neanche troppo conto e anzi, forse stai lì a pensare "Uooo ma ieri era peggio” perché hai appena sentito un alito di vento (caldo) e solo quando entri nell’androne del palazzo ti accorgi che finora eri esposta ad una friggitrice ad aria. Io non riesco a pensarmi senza la mia dose di bile quotidiana alla quale mi sottopongo volontariamente e questo credo che sia un problema non soltanto mio (forse lo dico per giustificarmi); quante volte ho frenato le mani prima di scrivere qualcosa che mi avrebbe probabilmente portato a discutere su una questione base senza riuscire a creare il minimo spazio di confronto - e non che fosse sempre la mia principale aspirazione, alcune volte volevo semplicemente chiedere «Ma sei rincoglionito?». L’ultima volta che l’ho fatto e stavolta davvero per avere un confronto con delle persone che per il lavoro che fanno pensavo fossero dotate di un’apertura mentale molto maggiore, mi sono sentita rispondere come se fossi un’idiota. E allora sapete cosa? Ha ragione Chiara Galeazzi, esporsi nei commenti poco si confà al mio tipo di persona, continuerò a dire Bello quando qualcosa sarà bello, Auguri quando ci saranno eventi lieti, Grazie a chi lo merita e per il resto a farmi i cazzi miei perché il mio apparato gastrointestinale già non lo faccio vivere benissimo - figuratevi se mi va di farmelo annientare da persone con cui non vorrei aver niente a che fare.
Viste le premesse, mi aspettavo una critica pungente al sistema dei commenti online e agli shitstorm, con l’autrice impegnata in esperimenti dal vivo. Invece il libro si rivela più vicino a un diario personale, segnato da una esperienza piuttosto deprimente. I tweet riportati non superano la decina, e il risultato complessivo è vicino al nulla.
Il testo scorre in un flusso di coscienza: la scrittura è indubbiamente buona e Galeazzi ha il talento di tenerti sulla pagina, ma alla fine non resta molto da portarsi via. Lo stile non basta a compensare la carenza di sostanza.
Un libro che si legge in due ore, ma che lascia pochissimo. Un consiglio spassionato: meglio dedicare quel tempo a qualcos’altro.
Due stelle perché la penna dell’autrice é indubbiamente molto valida. La speranza è che in futuro si misuri con un progetto più consistente, capace di mettere davvero a frutto le sue qualità.
“Se la maggior parte delle persone si facesse un paio di domande prima di scrivere online, internet sarebbe tutta campagna.”
-divertente, scorrevole e tagliente- sono questi gli aggettivi che mi vengono in mente pensando a questa piccola chicca di libro che in poco più di un centinaio di pagine descrive la piaga sempre più dilagante dei “leoni da tastiera” che appesta il mondo dei social.
Prometteva molto bene, ma ha lasciato a desiderare. Si aspetta a lungo per entrare nel vivo dell'esperimento e poi l'esperimento finisce. C'è troppo "diario", troppo "flusso di coscienza", troppe elaborazioni mentali, troppi dettagli della vita personale dell'autrice e pochi dati pratici.
Per un testo più convincente ci sarebbero serviti più commenti al vetriolo, botte e risposte, dati alla mano, più divertimento da parte dell'autrice e meno commenti nel mezzo. Perché il risultato, alla fine, è un unico grande commento: che tra l'altro conoscevamo già da soli/e. In alcuni punti ci sono riferimenti ad altri studi e pubblicazioni, cosa che avvalora il suo esperimento, ma nel complesso l'esperimento proposto è un po' vuoto e gira troppo intorno al fatto di scrivere ed essere pagati per farlo.
È un'autrice comica, ci si aspettava più divertimento da parte sua nelle interazioni al veleno sui social. Doveva divertirsi di più proprio in virtù dell'esperimento, invece ne esce quasi vittima. Nel resto del testo qualche battuta c'è, ma non decolla - a parte il recupero del gruppo Facebook "Gli amici di Max Pezzali che in Come mai lo credevano quasi un dio", che però non è sua.
Più che un altisonante "Merdoni", un discreto "Qualche merdina".
Perché commentare chi commenta online è una pessima idea
La teoria dell' autrice di questo mini saggio è che commentare i post sia inutile perché porterebbe bile, aumenterebbe lo stress, e inoltre non sia un' attività retribuita. Per avvallare questo altissimo concetto, la Galeazzi ha scritto qualche commento in giro su X e ci ha scritto poi un libro. Per vedere l'effetto che fa.
Il libro l'ho trovato inconcludente, su tematiche simili trovo assai più sagace e ficcante la Soncini.
Carino e spunti anche corretti sulla nostra presenza online. Tuttavia un po’ scarso come “merdoni”, l’autrice (nonostante il profilo privato) non ha fatto scattare chissà quali discussioni, secondo me ci si poteva impegnare di più nel cercare di scatenare gli utenti nel dare il loro peggio
Carinissimo, devo ammetterlo! Chiara Galeazzi crea un profilo fake e fa quello che, di norma, non farebbe mai neanche sotto ricatto: commentare in maniera inopportuna e orientata al litigio i post altrui sul social più famoso del mondo: X. Ne trae le conclusioni che in realtà tutte le persone dotate di buon senso potrebbero trarre in autonomia, ma il suo merito è di raccontarle in maniera estremamente divertente.
Il fare dell'autrice mi infastidisce un po' (non so spiegare esattamente in cosa) ma ho trovato questo libro molto interessante, scritto bene e a tratti quasi illuminante sul comportamento delle persone online.
Rimango convinta che commentare online non sia sempre inutile, penso che bisogna decidere coscientemente cosa commentare.
lo stile di Chiara Galeazzi mi piace molto, adoro la sua ironia, però da un libro che si chiama "Merdoni" mi aspettavo almeno un merdone, invece il libro scorre via piacevolmente e con riflessioni interessanti, ma senza merdoni.
Sempre bello leggere delle analisi sull'uso dei social in modo così specifico come la bolla Twitter/X Italia. Grazie Chiara Galeazzi per esserti messa in gioco creando il profilo alternativo, qualcosa che ogni tanto penso di fare ma non avrei la pazienza di starci dietro.
Il resoconto di un mese su X di una persona troppo intelligente per X. Si ride molto, ma un po' ci si spaventa per la pochezza che intasa i social creando e propagando merdoni per il gusto di farlo.