Luca non ha neanche quattordici anni, ma ha una sensibilità silenziosa che lo rende diverso dai coetanei. Con i genitori e il fratello maggiore abita in una località di mare, dove tutto sembra un posto sicuro che con la bella stagione si popola anno dopo anno. Un'estate una ragazza piena di vita diventa il suo primo sogno d'amore. Quando però lei scompare, e i carabinieri bussano alla loro porta, l'esistenza di Luca e dei suoi viene segnata per sempre. Per sottrarre lui, con la sua innocenza di bambino, all'ombra che si propaga inesorabile sulla famiglia, la madre gli riempie in fretta una valigia e lo mette su un treno con un biglietto di sola al Nord lo aspettano lo zio Umberto, professore al liceo, e la zia Mara con le cugine.
In un mondo diverso, lontanissimo da quello della sua infanzia, Luca prova a ricostruirsi, cresce e mette nuove radici, cercando di restituire un senso a parole come fiducia e appartenenza. A sostenerlo ci sono lo zio Umberto, che per lui dà tutto se stesso, e Flavia, una ragazzina determinata a fargli ritrovare la speranza nel futuro.
Con la sua penna delicata e profonda, Roberta Recchia mette in scena relazioni intense, dialoghi vibranti, e una storia che ci tiene stretti fino all'ultima pagina. Un romanzo carico di grazia sulla possibilità di rinascere e di saper perdonare, con un protagonista che ci conquista e ci commuove da perché la sua voce ci arriva con tutta la pienezza dei silenzi e delle verità sussurrate.
Laureata in Lingue e Letterature Europee e Americane, fino a dieci anni fa ha lavorato in un’azienda leader nel ramo delle spedizioni internazionali. Nel 2013 ha deciso di abbandonare il lavoro d’ufficio per dedicarsi all’insegnamento, per cui ha scoperto una profonda passione. Oggi è docente di lingua inglese in una scuola superiore romana. Vive con il suo adorato chihuahua, Claudio, in una piccola città sul litorale laziale. Scrive da sempre, ma l’idea di pubblicare le sue storie era sempre rimasta un sogno nel cassetto. Nel 2023 ha deciso che era tempo di aprire quel cassetto.
Il protagonista è Luca, quasi quattordici anni, sensibile, ma così tanto sensibile che si sente diverso dai suoi coetanei. Abita in una località marittima insieme ai genitori e al fratello più grande, una tipica zona di villeggiatura, che d’estate si popola e d’inverno si spopola. Un’estate si innamora, o almeno pensa che quello sia amore, di Elisabetta, una ragazza piena di vita, che una mattina viene ritrovata sulla spiaggia, a faccia in giù nella sabbia, violentata e uccisa. Mentre lui è a casa, ignaro di quello che è successo, i carabinieri bussano alla porta e portano via, prima suo fratello e poi suo padre. Per toglierlo da tutto quel dolore e da quell’ombra che sta sovrastando la sua famiglia, viene caricato su un treno e mandato al Nord dallo zio Umberto, fratello del padre e professore di liceo, e dalla zia Mara, che vivono insieme alle sue cugine. Un mondo diverso, lontano dalla sua vita e dalla sua infanzia, per ricostruirsi e mettere nuove radici. Lo aiuteranno lo zio, che per lui stravede e Flavia, una sua coetanea della vita precedente per fargli ritrovare una speranza nel futuro.
Che libro! Che libro! Un romanzo che urla tutta la sua rabbia, che sussurra tutta la sua innocenza, stupendo! Un linguaggio lirico, misurato, elegante, mai eccessivo, mai retorico. Una scrittura asciutta, puntuale tesa al bisogno di raccontare, senza dire mai tutto, nascondendo con pudore quelle cose che sono sottintese, ma potenti. Questo romanzo racconta un punto di vista diverso, rispetto al precedente e cioè quale sia il dolore e lo stupore dei familiari del carnefice, che non capiscono, che non sanno come comportarsi, cosa fare. Ogni personaggio ha un suo spazio preciso e ben delineato, che in qualche modo è stato toccato dalla vicenda e convive con la propria forma di dolore.
È difficile replicare un libro bellissimo, ma Roberta ci è riuscita con questo secondo capitolo.
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Un libro scorrevole, coinvolgente, emozionante. È intimamente correlato alla storia di Tutta la vita che resta e riprende il punto di vista di Luca, il fratello del colpevole. La sua storia si snoda nel corso degli anni e racconta il 'dopo'. È impossibile non lasciarsi trascinare dalle sue vicissitudini e quelle della sua famiglia. È una storia di sofferenza e di rinascita, di fiducia e di perdono.
Roberta Recchia torna in libreria con il sequel di “Tutta la vita che resta”. Scrive Roberta nei ringraziamenti:
“Stavolta però ho esitato davvero a lungo, prima di decidere di scrivere questo romanzo. Ero convinta che fosse giusto andare oltre il dramma di Betta Ansaldo, intorno a cui ruota Tutta la vita che resta. Mi sono dedicata per un periodo ad altre storie, altri mondi. Ma sin dalla sua breve apparizione nel primo libro, Luca era rimasto con me, insistente, lo sguardo smarrito in tante emozioni a cui da solo non poteva dare voce. Alla fine la sua storia l’abbiamo raccontata insieme: l’ho preso per mano e ascoltato come avrei fatto con un figlio. Perciò gli sono grata per non aver mollato.”
Luca Nardulli è un adolescente a cui la vita è stravolta dall’arrivo dei carabinieri. In un attimo, la tragedia si abbatte sulla sua famiglia, come accade a un oggetto inamovibile davanti a una forza inarrestabile.
Per Luca è meglio trasferirsi dagli zii a Bergamo
“Ma l’unica alternativa possibile alla verità, in quel momento, era il silenzio. Poco più di un’ora prima, da un telefono a gettoni davanti alla stazione Centrale, aveva parlato con l’avvocato Brugia. Aveva capito che per spiegare al nipote come stavano le cose c’era bisogno di un coraggio che ancora non sapeva dove trovare.”
La forza di questo secondo romanzo di Roberta Recchia, come è accaduto nel primo, è nei buoni sentimenti che possono avere la meglio, nonostante tutto, nonostante le tragedie e il dolore; quella possibilità di rialzarsi sempre finché si è in vita
“La maturità l’aveva convinto che in nessun modo la vita potesse essere semplice, che in nessun modo fosse possibile evitare delusioni, errori, dolori. Ma dalla sofferenza si poteva guarire, questo sì. Bastava solo credere nella felicità con la stessa ostinazione con cui Gianluca si risollevava tutte le volte: per lui contava solo la frescura dell’erba sotto le piante dei piedi nudi, le braccia della madre pronte ad afferrarlo, il suo dito a cui aggrapparsi. La caduta non era che uno sgambetto della vita. L’importante era tutto il resto, la corsa che lo attendeva.”
Dopo aver amato profondamente "Tutta la vita che resta", mi sono avvicinata a questo nuovo romanzo con aspettative altissime. Purtroppo, però, la lettura non è riuscita a restituirmi le stesse emozioni. Questa storia rappresenta, in un certo senso, l’altro lato della narrazione precedente: si concentra su ciò che era rimasto in ombra, dando voce a personaggi e prospettive meno esplorati. Tuttavia, quello che poteva essere un approfondimento intenso e toccante, si rivela invece meno coinvolgente, sia sul piano emotivo che narrativo. Lo stile, che nel primo romanzo mi aveva conquistata per la sua delicatezza e autenticità, qui appare appesantito. La scrittura è più prolissa, i ritmi sono dilatati, e spesso ho avuto la sensazione che i capitoli si trascinassero senza una reale necessità narrativa. Anche la coralità dei personaggi, che poteva essere un punto di forza, finisce per diventare un limite: ce ne sono troppi, e molti di loro restano sfocati o poco credibili, come se mancasse il tempo o lo spazio per svilupparli a fondo. Ciò che ho sentito maggiormente, però, è stata la mancanza di equilibrio emotivo. Il romanzo è dominato da un tono malinconico e cupo, con pochissimi spiragli di luce o di speranza. Comprendo la scelta dell’autrice di restare fedele a un certo tipo di realismo emotivo, ma avrei apprezzato qualche momento in più di respiro, qualche gesto che suggerisse la possibilità di una rinascita. Non è un brutto libro, ma non riesce a reggere il confronto con il precedente. Se a un certo punto avessi deciso di interromperne la lettura, non ne avrei sentito la mancanza. Mi auguro che il prossimo lavoro dell’autrice riesca a ritrovare quella forza narrativa e quella sensibilità che mi avevano colpita tanto la prima volta.
Mi sono avvicinata a questa storia senza conoscere nulla del suo prologo, se non l'emozione lasciata in coloro che attorno a me l'avevano letto. Volevo che fosse un primo incontro, ma fin dall'inizio mi è parso chiaro che non era così. Leggendo, ho capito che conoscevo già ognuno di loro. Conoscevo il dolore malinconico di Luca, la presenza rassicurante di Flavia, resistente a tutto; Umberto, con l'ostinazione delle giuste cause e Mara, chiusa nel silenzio di una madre che ha paura. Conoscevo le cugine, nella loro variopinta diversità, Betta, con la sua anima forte e libera, gli abitanti di Torre Domizia, Alma, perfino Maurizio. Perché uno dei tanti pregi della scrittura di Recchia è la capacità di rendere i personaggi non solo veri ma anche vicini: una famiglia di carta e inchiostro a cui ci si affeziona subito senza nemmeno rendersene conto. Leggendo, si ha l'impressione di farne parte; pagina dopo pagina, si va avanti mossi dalla stessa ansietà di un parente in apprensione per i propri cari. Anche se non conoscevo quasi nulla delle dinamiche del primo libro, sapevo tuttavia del grande dolore che ne fa da protagonista. Qui se ne trova una traccia: il sentimento è lo stesso, solo amplificato da altri dolori, malinconie, paure inespresse, speranza e rabbia. Come un grosso fiume, il dolore avanza insieme alle parole, si nutre dei suoi affluenti, fino a sfociare nel mare della consapevolezza dell'epilogo. La consapevolezza che, più di tutto, può il bene. Un bene che si vuole, si custodisce, spesso in segreto; il bene che fa restare in vita anche quando tutto muore. È il bene che Luca prova per Betta, un bene che nemmeno le atrocità più cupe possono cancellare, perché è l'amore che proviamo a definirci, anche quello verso chi ci ha ferito in modo irreparabile e creato un vuoto dove prima c'era un nome, una storia, un legame. Con "Io che ti ho voluto così bene" Roberta Recchia racconta il dolore dei "non giusti", di coloro che si ritrovano a vivere nell'ombra di un crimine commesso da un parente, un crimine in grado di cambiare per sempre il suono di un cognome. Ma più di questo racconta di ciò che sopravvive sotto la superficie dell'odio, del rancore, dell'abbandono: quel bene che salva e ricuce, che tende verso la speranza, verso la vita oltre il dolore.
Questo libro è una specie di seguito di "tutta la vita che resta". Ci fa sapere cosa succede nella famiglia di un assassino, il dopo. Un libro che ho trovato più maturo del primo, c'è lo stesso dolore e lo stesso strazio.
Mentre leggevo certi nomi propri dei personaggi coinvolti nella vicenda, ho avuto un senso di déjà-vu, e non mi sbagliavo: “Io che ti ho voluto così bene” è una sorta di sequel di “Tutta la vita che resta”, quindi riparte dall’evento centrale che mette in moto l’intera storia, ovvero l’uccisione della giovane Betta Ansaldo ad opera di un gruppetto di ragazzi, ma si concentra sulla famiglia di uno di questi ultimi e in particolare sulla figura di suo fratello minore, Luca. E ci mostra la disgregazione di un nucleo familiare che si scopre ad avere allevato un mostro. Luca, cresciuto col mito del fratello maggiore, si ritrova improvvisamente perduto, tradito, disorientato, e viene spedito dagli zii a Bergamo, dove finirà per restare per sempre, costruendosi una vita in un altro contesto ma circondato comunque da affetti. Nel frattempo la madre si ammala, il padre resta solo e tutti, anche gli zii e le cugine, vivono a loro modo le conseguenze dell’essere additati come “i parenti di un mostro”. Luca è un personaggio complesso, che si muove tra momenti di dolcezza e fragilità e altri di grande forza interiore. La sua storia è intrisa di un amore sincero e di un desiderio di proteggere chi gli sta a cuore, anche quando questo comporta sacrifici. La sua evoluzione nel corso del romanzo è molto ben delineata: si vede come affronta le difficoltà, come cerca di trovare un equilibrio tra i propri sentimenti e le responsabilità. Ciò che rende Luca così particolare è la sua capacità di essere vulnerabile senza perdere la dignità, e di amare con tutto il cuore, anche quando il mondo sembra crollargli addosso. La sua presenza nel romanzo dà una nota di autenticità e umanità che rende la storia ancora più coinvolgente. Il romanzo mi è piaciuto, per quanto non abbia capito, nella parte finale, la presenza della “sotto-storia” di un personaggio che alla fine non risulta coinvolto nel fatto principale. La capacità di Roberta Recchia di toccare le corde dell’animo umano resta intatta e apprezzabile. Credo tuttavia che la sua scrittura sia ora abbastanza matura da staccarsi definitivamente dalla vicenda di Betta Ansaldo per proporre al lettore qualcosa di nuovo e di diverso.
Nei fatti di cronaca nera che quotidianamente purtroppo accadono, sentiamo parlare della vittima, dell’assassino, e delle rispettive famiglie che vivono un grande dolore, anche se in modo diverso. Nel precedente romanzo, “Tutta la vita che resta” Roberta Recchia ci ha parlato del dolore che aveva colpito la famiglia di Betta scomparsa troppo presto e in modo troppo crudele…
In questo nuovo romanzo, la scrittrice invece ci racconta il dolore di chi si trova dall’altra parte, ovvero dalla parte del carnefice…
Ci racconta il dolore di una madre e un padre che si chiedono dove hanno sbagliato, come hanno potuto avere un mostro in casa senza saperlo… E ancora di più ci parla di Luca, il fratello più giovane del carnefice, che vede la sua vita distrutta, per sempre etichettato come un mostro anche lui pur non essendolo… Luca con grande forza e determinazione, ricomincerà a vivere grazie all’aiuto dello zio Umberto, che gli starà vicino come un padre aiutandolo in quegli anni di buio e di dolore. Luca imparerà ad affrontare il passato, a perdonare, a iniziare una nuova vita…
Anche questa volta Roberta Recchia mi ha emozionata e mi ha fatto molto riflettere. Una scrittura fluida, coinvolgente, i personaggi sono descritti in un modo che trovo unico, impariamo a conoscerli nel profondo, e quando si arriva all’ultima pagina, ci mancano già con le loro qualità e i loro difetti… Bellissimo al pari del primo libro uscito l’anno scorso. Lo consiglio!
Lascio due brevi estratti che mi sono piaciuti
“La maturità l'aveva convinto che in nessun modo la vita potesse essere semplice, che in nessun modo fosse possibile evitare delusioni, errori, dolori. Ma dalla sofferenza si poteva guarire, questo sì. “
“La caduta non era che uno sgambetto della vita. L'importante era tutto il resto, la corsa che lo attendeva. Nonostante avesse dubitato molte volte, ora Luca nella felicità aveva deciso di crederci testardamente: valeva sempre la pena di rialzarsi.”
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Luca, che l'aveva amata con tutto l'ardore della sua pubertà, ora, quando la pensava, immaginava solo di farle una carezza per consolarla dalla paura che doveva aver provato a morire al buio, mentre i mostri le ferivano il corpo, davanti al mare che ululava insieme al vento.
Ammetto che è stato difficile leggere questo libro, soprattutto perché sono molto affezionata al precedente. Con il suo primo romanzo, Tutta la vita che resta, avevo trovato una voce divina, incredibilmente concreta, capace di rendere tangibile un dolore profondo. Qui ritrovo tutta quella potenza, specialmente nella figura di Luca, silenzioso, sensibile, strattonato da eventi inaccettabili che lo costringono ad abbandonare la sua infanzia e a ricostruire una vita altrove. La scrittura intatta la sua sincerità: il trauma, l’inquietudine, la freschezza della rinascita, l’ombra del perdono che fatica a prendere forma (giustamente, perché il perdono non deve essere così scontato). Su questi terreni emotivi il romanzo cresce e convince. Luca si fa narrazione interiore e voce del lettore che lotta per restare umano tra colpe non sue. La famiglia dello zio Umberto emerge come rifugio, fragile e luminoso. La scrittura di Recchia è geometria di sensazioni, calibra silenzi, sussurra dialoghi, lascia il lettore partecipe senza mai manipolarlo o esporlo a "pornografia del dolore". Il motivo per cui ho assegnato quattro stelle - anziché cinque - è legato alla terza parte, dove compaiono il caso del bambino e il personaggio di Marina. Quella svolta narrativa mi è sembrata meno credibile, meno autentica: la figura di Marina, capace di riprendere un rapporto con Maurizio, ha avuto il tono di una costruzione troppo forzata, poco aderente alla profondità psicologica degli altri personaggi. Quel passaggio ha smorzato per me l’intensità conquistata all’inizio. Nonostante ciò, Io che ti ho voluto così bene resta un romanzo intenso, una storia di dolore e rinascita vista da una prospettiva inedita. Recchia conferma il suo talento nel restituire la sofferenza senza retorica, nell’incunearsi nel silenzio di chi osserva più di quanto parli. Luca non ha bisogno di capovolgere vite: è già ferito abbastanza da bastare a sé stesso. Un libro umano, impeccabile, che ha saputo restituirmi il senso autentico del volersi bene - anche di fronte alla mostruosità e al dolore.
Pensavo sarebbe stato difficile dare un seguito degno a Tutta la vita che testa, ma Roberta Recchia cavolo se ci sei riuscita ❤️ per favore scrivimi la vita
Nel primo, appassionante, romanzo di Roberta Recchia - un autentico page turner - la storia al centro del racconto è quella dello stupro e dell'omicidio di Betta Ansaldi e delle conseguenze sulla sua famiglia, in particolare sulla cugina Miriam. In questo secondo romanzo si riparte da quell'estate del 1982, anzi, dalla precedente, e dalla cotta che l'appena adolescente Luca Nardulli - il fratello minore dello stupratore/assassino di Betta - aveva per quella ragazza così bella e solare. Quando, due anni dopo, il fratello viene arrestato (assieme al padre, che è accusato di favoreggiamento, ma viene rilasciato perché estraneo ai fatti), Luca viene spedito - senza neanche avere la possibilità di scelta - a Bergamo in casa del fratello del padre, un professore di liceo classico in un rigido istituto maschile gestito da ecclesiastici. La vita non è facile perché la zia Mara, la moglie dello zio, comincia a temere che Luca sia come Maurizio e possa insidiare le sue tre cugine, tutte femmine, anche se è un assurdo pregiudizio, visto che ha il ragazzino sotto agli occhi tutti i giorni e sa che è un bravissimo ragazzo. Quindi questo romanzo fa vedere l'altra faccia della medaglia, quello che sono costretti a subire i parenti degli stupratori, che vengono guardati con diffidenza e timore ingiustificato dalle persone più superficiali e che sono costretti a vivere delle vite davvero difficili per errori non loro. Ancora una volta Recchia mette al centro della storia degli esempi positivi di uomini, quasi a voler ribadire che non tutti gli uomini sono uguali.
“Io che ti ho voluto così bene” è il secondo romanzo di Roberta Recchia, edito dalla casa editrice Rizzoli, che mette in evidenza la bravura dell’autrice nel raccontare una storia verosimile con una sensibilità che commuove.
Quando accade un fatto drammatico, il carnefice è individuato con esattezza, ma la vittima è anch’essa una soltanto ed è altrettanto rintracciabile con precisione? Roberta Recchia ci dimostra che non è affatto così: in una vicenda criminosa c’è sempre un fil rouge di sofferenza che unisce molte persone. Ecco quindi, che la talentuosa autrice italiana riprende la vicenda di Betta Ansaldo e la ripropone al lettore da un altro punto di vista.
La vicenda riprende esattamente da quando i colleghi si presentano alla porta del maresciallo Nardulli con rivelazioni clamorose e il secondogenito del militare, Luca, viene posto su un treno che lo allontana dal clamore e dalla propria famiglia. Il ragazzo, spaesato e intimorito, rifiutato e dimenticato, è il protagonista di queste pagine così intense ed emotivamente coinvolgenti. È destinato a perdersi, come succede a Miriam? No, ma solo perché accanto a lui c’è lo zio Umberto. Solido, integerrimo, generoso e testardo, l’uomo prende per mano il nipote e lo accompagna in un “viaggio contromano” verso il futuro.
“La sua vita gli sembrava un castello di carte, che lui si ostinava a ricostruire ogni volta: bastava un niente ed era di nuovo tabula rasa”.
Un romanzo assolutamente perfetto, per quanto mi riguarda, per trama e stile. I personaggi sono realistici e rappresentati a tutto tondo. Non si può che amarli tutti, siano essi forti e ostinati, o deboli e introversi: zio Umberto, il maresciallo che conta i treni per non impazzire, Lilia che si arrende, Flavia e la sua tenacia, padre Lodoli che brontola e supporta. Il lettore può trovare in queste pagine tutto ciò che cerca: sensibilità, un ventaglio di emozioni, il retrogusto amaro dell’abbandono, la rinascita, le imperfezioni degli esseri umani.
“Per la prima volta si chiese se da genitore avrebbe fatto le stesse scelte di suo padre, se quella damnatio memoriae, che aveva sfiorato persino lui, fosse l'unica soluzione possibile davanti al crimine orrendo, imprevedibile”.
Io che ti ho voluto così bene di Roberta Recchia lo definirei uno spin-off di Tutta la vita che resta. Infatti dall’evento principale che sconvolge la vita dei protagonisti del primo libro si dipana una storia laterale che, in questo volume, trova il suo spazio e la sua dimensione. Il mio consiglio personale è quello di leggere prima Tutta la vita che resta e poi Io che ti ho voluto così bene per poter apprezzare appieno entrambi i libri. Ovviamente nulla vieta di fare il contrario 😉 Luca è un giovane adolescente che incontra per la prima volta l’amore tipico di quegli anni. La sua vita però cambia improvvisamente quando, senza neanche rendersene conto, si ritrova su un treno diretto a Bergamo. Io che ti ho voluto così bene di Roberta Recchia è un romanzo che scava nella fiducia e nel perdono. Una domanda posta dall’autrice durante la presentazione mi è rimasta impressa “Fino a che punto l’amore ci permette di perdonare?”. Una frase che ci indica una e moltiplici strade per delle riflessioni profonde con diversi svincoli e nuovi dubbi. Luca è un ragazzo a cui sono state tagliate le radici ma che riparte da sé stesso per costruirsi un futuro. Una rinascita, con un occhio rivolto sempre al passato, assistita da persone a lui vicine. Io che ti ho voluto così bene è un libro caldo e accogliente che abbraccia i lettori e le lettrici e che è caratterizzato da una esplosiva emotività. La forza di questo romanzo risiede nel descrivere con semplicità e accortezza un mondo che sembra pronto a sfaldarsi nelle proprie mani ma che cerca di esser salvato. Io che ti ho voluto così bene ha un messaggio che ha bisogno di tempo per germogliare, ma una volta sedimentato acquisisce un valore enorme. Bello, molto bello.
3.5⭐️ libro divorato in una giornata e ho scoperto solo una volta finito che fosse un sequel. la scrittura mi ha preso moltissimo e la prima parte è stata davvero bella. nel mezzo ha cominciato un po' a perdersi con episodi inverosimili e un po' troppo melodrammatici per i miei gusti. poi non condivido la morale finale sul perdono—alcuni crimini non possono e non devono essere perdonati. nel complesso però è stato un bel libro e non mi capitava da tanto di rimanere ore incollata alle pagine
La Recchia riesce sempre a farmi scendere le lacrime. Benché questo libro sia molto diverso dal precedente, al cui è collegato, mi son ritrovata a riflettere su come affrontano i drammi, i parenti di persone che hanno compiuto dei gesti efferati. Un punto di vista in cui ci soffermiamo davvero poco.
Un bellissimo libro che conferma le capacità di questa autrice di scendere in profondità nell'animo umano e di arrivare dritto al cuore del lettore. La storia di questo romanzo è strettamente connessa a quello del primo: si riparte infatti dalla tragedia che ha colpito Elisabetta Ansaldi, vittima di un violento stupro in una notte di inizio estate, per scoprire cosa accade ad un'altra famiglia coinvolta, quella dei colpevoli. Se il primo libro vede cosa accade alla famiglia di Elisabetta, come i genitori e la cugina fanno fatica a sopravvivere al dramma che li ha colpiti, questo secondo romanzo vede protagonista Luca, il fratello minore di Maurizio, colpevole dell'omicidio. La vita di Luca e della sua famiglia è altrettanto distrutta nel momento in cui si scopre che il colpevole è quel figlio e fratello maggiore, di cui nessuno sospettava. Luca è vittima degli eventi quasi al pari dei genitori di Elisabetta: in un pomeriggio d'estate la sua vita cambia del tutto e non sarà mai più la stessa. La sua famiglia è completamente distrutta, i genitori lo mandano al Nord per allontanarlo dai curiosi, dai problemi; una soluzione presa di corsa per poter gestire le conseguenze dell'arresto di Maurizio e del padre, accusato di averlo coperto in quanto maresciallo accusato delle indagini. Quella che doveva essere una scelta repentina e temporanea, diventa quella che condizionerà tutta la vita di Luca, che dallo zio rimarrà per sempre, mentre i genitori si struggono e lo allontanano sempre di più. All'inizio l'idea di continuare la storia precedente mi aveva fatto storcere il naso, invece poi pian piano ha trovato un senso e i tasselli sono andati tutti al loro posto; anzi l'idea di far vedere la tragedia anche con gli occhi di un'altra vittima è sicuramente una scelta coraggiosa ed indovinata. I personaggi entrano nel cuore, coma già avvenuto nel primo episodio, non puoi non empatizzare immediatamente con il piccolo Luca e con il trauma che si porterà dietro per una vita intera; non puoi rimanere indifferente di fronte allo zio Umberto che combatte contro tutto e tutti per di non abbandonare la sua famiglia d'origine e quel nipote la cui vita è stata scombussolata. Passando a qualche critica, invece, non ho apprezzato alcuna svolte della storia; alcune cose potevano avvenire da subito, senza tanti giri, l'amore che trionfa su tutto, trionfa alla fine un po' troppo ed in maniera un po' troppo semplice. Sebbene una storia così drammatica ha bisogno di mostrare che l'amore vince su tutto, che l'amore smuove le montagne, deve pur dare una speranza al lettore che viene trascinato nella voragine drammatica assiema ai protagonisti. Roberta Recchia si conferma comunque una scrittrice sublime, ha uno stile diretto eppure incisivo, capace di arrivare dritto al cuore, senza troppi giri di parole. I personaggi da lei narrati sono semplici eppure mostrati in tutte le sfaccettature possibili con delicatezza e sensibilità. Ora non resta che attendere una storia nuova dalla A alla Z...
"Lasciare le emozioni lì dove stavano: gli sembrava che di tutta quella paura, quel dolore, quella rabbia, si potesse impazzire e persino morire."
Introduco così questo romanzo stupendo: una frase che mostra quanto sia una lettura intima, necessaria e soprattutto universale.
Se leggerete la trama forse non troverete un apparente filo conduttore del romanzo, non vi aspetterete una ricerca o un obiettivo. Questo è uno specchio della vita: un susseguirsi intrecci scaturiti da eventi incontrollabili.
Luca è tutti noi, è il bambino che eravamo quando qualcosa si è rotto e proprio come una vernice che si sgretola, lascia intravedere la realtà sotto la nostra illusione.
In questo libro mi ci sono ritrovata e mi ha lasciato anche molti dubbi che mi accompagneranno forse fino a che non capiteranno sulla mia pelle. Rimarranno questioni aperte che penso di non avere ancora la maturità di affrontare.
"Dalla maturità si era aspettato risposte e invece aveva capito che l'esperienza, anziché offrirgli spiegazioni, gli aveva svelato un prisma di complessità, ogni possibilità di giudizio sospesa."
Recchia con una delicatezza sferzante mette a nudo l'animo umano raccontando non solo la sofferenza, ma anche ciò che avviene dopo: il senso di colpa, la rabbia, la felicità ritrovata.
Inoltre non racconta solo di un personaggio, ma anche di tutto ciò che gli gira attorno e trasformandolo a tratti corale; rendendolo un prisma di verità ognuna vissuta da occhi diversi.
Come ultima battuta, lascia la speranza: la speranza della felicità, del perdono e io credo che in mezzo a nostro cinismo e individualismo ce ne sia bisogno.
"Io credo che si ritroveranno. Quando ci si vuole bene ci si ritrova sempre"
Ebbene si, Roberta Recchia l’ha fatto ancora. Il nuovo libro intitolato IO CHE TI HO VOLUTO COSì BENE è emozionante quanto il suo romanzo di esordio.
L’autrice racconta, con la sua scrittura trascinante, una storia che parla di errori, amore e perdono.
I protagonisti sono le persone della porta accanto, gente semplice con la quale è facile confrontarsi. Sono però piuttosto divisivi perchè a seconda di come siamo fatti, possiamo avere delle sensazioni diverse nei loro confronti.
Il libro è ad alta leggibilità, ma ciascun lettore può decidere il suo ritmo: ci si può soffermare a riflettere, oppure scorrere le vicende in modo vorace. (Per quello che riguarda me, l’ho consumato avidamente).
Amare molto ci assicura di non sbagliare mai? Quanto diversamente le persone si approcciano all’errore?
Il personaggio principale è Luca, la cui vita sembra un castello di carte che puntualmente crolla e lui persevera nel ricostruire ogni volta. Una famiglia sfortunata la sua, colpita da numerose tragedie. Il libro racconta il vuoto che si crea quando si diventa senza difese, con la pelle e l’anima esposte a un dolore insopportabile e l’acre percezione che nulla sarà più uguale a prima. Si sorride e ci si commuove molto. Le ultime cento pagine sono un mix di colpi di scena, stupore e intensa commozione.
Quando si chiude il libro ci si chiede che scelte avremmo fatto noi…
Avendo amato il suo libro d’esordio, appena la mia amica mi ha comunicato l’uscita di questo romanzo la voglia di leggerlo è stata tanta, non c’è stato bisogno di dare un’occhiata a nessuna trama prima. Le mie aspettative non sono state deluse e devo ammettere che una parte di me non voleva terminare la lettura, non voleva lasciare andare questa storia e questi personaggi che già mi mancano: Luca, Flavia, Umberto… quest’ultimo a parer mio è quello che ti dona l’insegnamento più prezioso, d’altronde insegna di mestiere. La sua integrità, affidabilità e forza d’animo mi hanno toccato profondamente. Complimenti all’autrice per la sua incredibile capacità di andare a fondo e di andare oltre. Profondo, intimo, emozionante. Lettura straconsigliata!
Questo libro mi è piaciuto tanto. Personaggi a cui ci si affeziona,primo fra tutti Luca Nardulli e il suo meraviglioso Zio. Storie di vita quotidiana fra gioie e dolori raccontate con tanta dolcezza. Bello,bello.
Un bel libro con una bella storia e una 'lezione' da consegnare al lettore. Personaggi carini, ma dimenticabili, protagonista troppo 'impostato' dal mio punto di vista... tutto bello, ma non è scattata la scintilla (forse avrei dovuto leggere prima il suo romanzo d'esordio, che scopro ora riguardare la stessa vicenda)! [Figurarsi se azzecco il giusto ordine per leggere dei libri]
Degna conclusione del primo libro di Roberta Recchia, impossibile non amarne la scrittura tagliente e calda. Consiglio al 100%, soffri ma ne sei felice.
Luca non ha neanche quattordici anni, ma ha una sensibilità silenziosa che lo rende diverso dai coetanei. Con i genitori e il fratello maggiore abita in una località di mare, dove tutto sembra immutabile: un posto sicuro che con la bella stagione si popola anno dopo anno. Un’estate una ragazza piena di vita diventa il suo primo sogno d’amore. Quando però lei scompare, e i carabinieri bussano alla loro porta, l’esistenza di Luca e dei suoi viene segnata per sempre. Per sottrarre lui, con la sua innocenza di bambino, all’ombra che si propaga inesorabile sulla famiglia, la madre gli riempie in fretta una valigia e lo mette su un treno con un biglietto di sola andata: al Nord lo aspettano lo zio Umberto, professore al liceo, e la zia Mara con le cugine. In un mondo diverso, lontanissimo da quello della sua infanzia, Luca prova a ricostruirsi, cresce e mette nuove radici, cercando di restituire un senso a parole come fiducia e appartenenza. A sostenerlo ci sono lo zio Umberto, che per lui dà tutto se stesso, e Flavia, una ragazzina determinata a fargli ritrovare la speranza nel futuro. Con la sua penna delicata e profonda, Roberta Recchia mette in scena relazioni intense, dialoghi vibranti, e una storia che ci tiene stretti fino all’ultima pagina. Un romanzo carico di grazia sulla possibilità di rinascere e di saper perdonare, con un protagonista che ci conquista e ci commuove da subito: perché la sua voce ci arriva con tutta la pienezza dei silenzi e delle verità sussurrate.
Tornare, ma tornare nel punto più scomodo, più rischioso, più autentico del sentire, quello in cui si è costretti a guardare la tragedia dalla parte sbagliata. È quanto ha fatto Roberta Recchia nel suo ultimo libro “Io che ti ho voluto così bene”, tornare o, meglio, riprendere una storia dalla parte che non ci appartiene istintivamente, dalla parte che non ci è concessa nemmeno nella compassione. Se, infatti, nel suo primo romanzo “Tutta la vita che resta”, Recchia raccontava la morte di Betta, una figlia adolescente, attraverso gli occhi svuotati dei genitori, nel nuovo libro la prospettiva si ribalta con una forza narrativa che fa male. La tragedia è la stessa, l’omicidio della ragazza, ma stavolta sono i genitori ed il fratellino dell’assassino a dover convivere con un delitto, sapendo che chi lo ha compiuto gli appartiene per sangue, per amore, per legame. Io che ti ho voluto così bene è la storia di chi paga senza aver fatto, di chi viene allontanato, dimenticato, reso trasparente. Di chi porta una colpa che non è sua, ma gli si incolla addosso come se lo fosse. È questo lo sguardo che Roberta Recchia ha il coraggio di offrire. Spostato, obliquo, mai ovvio, con uno stile che non è mai retorico, mai indulgente, ma profondamente umano, anzi umanissimo. Il dolore non è più soltanto assenza, è contaminazione, è vergogna, è colpa riflessa, è perdita di identità. Che cosa resta a un padre, a una madre, quando il proprio figlio ha compiuto l’irreparabile? Come si sopravvive non al lutto, ma al disonore? Come si guarda il mondo sapendo che non si verrà mai perdonati per qualcosa che non si è commesso, ma che ci riguarda fin nell’anima? Luca è solo un bambino quando si innamora di Betta (la protagonista del primo romanzo), ed è solo di poco più grande quando il suo mondo si capovolge, quando, allontanato dalla famiglia, scopre che l’assassino è suo fratello maggiore. Un cambio abissale di prospettiva che ci porta non più ad abitare la casa ferita, il dolore della famiglia della vittima, ma quella altrettanto devastata, eppure misconosciuta, della famiglia del carnefice. Luca cresce in un’altra città, all’ombra di quel crimine che non ha commesso, ma che segna ogni cosa. Le relazioni, il corpo, lo sguardo degli altri. Il fratello, fino a quel momento idealizzato, amato senza misura, diventa un fantasma che lo condanna. I genitori, incapaci di reggere il peso della vergogna e della colpa, lo allontanano, affidandolo agli zii, ad Umberto, il fratello del padre, che ne diventerà custode e amico. E così Luca viene strappato, estirpato dalle sue radici. Cresce nel vuoto. Senza risposte, senza parole e senza più neanche un nome da abitare. È un’infanzia spezzata, quella che Roberta Recchia ricostruisce con precisione quasi chirurgica. Ma mai fredda. La sua scrittura è di una compostezza struggente. Trattiene, accenna, allude, commuove, lacera, ci costringe a guardare oltre. Oltre la cattiveria della gente, oltre la gelosia delle cugine, oltre la lontananza dall’unica persona che il ragazzo vorrebbe accanto, Flavia. Passano gli anni, ma non passa l’amore e con lei, Luca inizierà un cammino diverso, non verso la guarigione, quella è parola abusata, ma verso una forma di riconciliazione con sé stesso. Flavia non ha la pretesa di salvarlo, e proprio per questo lo salva. Non ci sono parole di troppo, in questo libro, non c’è una scena forzata, non c’è alcuna ricerca di empatia facile. Il lettore si trova incastrato nel cuore del dilemma, tra la madre che sceglie di proteggere il figlio minore allontanandolo da sé, spezzando così il legame che lo teneva legato al fratello maggiore, e un padre che si ritrae, inghiottito da una spirale di silenzi e giudizi interiori. Il bambino, che fino a un attimo prima aveva idealizzato il fratello, si trova senza più riferimenti, risucchiato in una frattura affettiva che nessuno osa nominare. E poi c’è lui, il figlio maggiore, che resta sullo sfondo come un’assenza ingombrante, come una colpa mai lavata, come un’ombra che non si può cancellare ma che si continua, in qualche modo, a vivere. Il romanzo, tuttavia, non rincorre mai lo psicologismo, né la cronaca. Indaga l’animo umano nel punto più cieco. Si chiede, e ci chiede, che ne è di chi non ha fatto nulla, ma paga tutto. Che ne è dei caregiver emotivi, di coloro che soffrono accanto al male, senza averlo generato. Che ne è dei genitori di un assassino. Possono ancora essere madre e padre, se non riescono più a pronunciare il nome del figlio? E poi si interroga su un’altra grande questione. In questa seconda parte del dittico familiare che l’autrice ha deciso di scrivere, infatti, si affronta, soprattutto, il tema del perdono e lo si fa da un’altra angolazione, con un coraggio letterario che disarma. E dunque, è possibile perdonare? Ma soprattutto, si può essere perdonati per ciò che non si è fatto, e che pure ci ha segnato per sempre? Si può ancora amare chi ci ha tolto tutto? E ancora di più, si può continuare ad amare sé stessi, se si è generato chi ha fatto del male? Recchia non offre soluzioni. Ma ci mette dentro tutte le sfumature, tutta la solitudine, tutto lo strazio che accompagna le colpe ereditate, le colpe che si portano nel sangue senza averle commesse. Ti resta dentro, questo libro. Resta nei silenzi, nelle domande che non riesci a spegnere, nella consapevolezza che l’amore, a volte, è la forma più difficile di dolore. Ed è in questa scomoda bellezza che Io che ti ho voluto così bene si fa romanzo necessario. Non per raccontare l’orrore, ma per restituirgli profondità. Perché nulla è mai semplice come sembra. E perché amare, dopo la frattura, è forse l’atto più rivoluzionario che ci sia.
Cosa succede quando ci si trova per motivi familiari dal lato sbagliato di una storia di cronaca nera? Roberta Recchia se lo chiede in un libro che è una sorta di spin-off del suo precedente (capolavoro) Tutta la vita che resta. Al netto del punto di vista interessante è necessario - cosa succede in una famiglia perbene quando si scopre che tra i propri membri c’è un mostro? - e della scrittura sempre lucida, essenziale e per questo ancora più dolorosa, rimane il dubbio che quella storia precedente fosse talmente perfetta da non necessitare di un secondo capitolo.
Prima il timore che dopo la stratosferica bellezza del primo questa volta ci fosse la caduta, poi l’iniziale delusione del collegamento fra i due libri e il dubbio che non fosse capace di scrivere qualcosa di avulso e diverso. Ma più scorrevano le pagine più mi sono resa conto che timori e dubbi erano non solo infondati ma neppure lontanamente sfioravano questo libro. Ancora una volta personaggi di una umanità vera e unica, parole perfette per parlare di sentimenti e stati d’animo. Un finale da groppo alla gola. Avevo amato Corallina, adesso adoro Umberto