L’arte della prima metà del Novecento è un vorticoso susseguirsi di movimenti e “ismi”. Difficile dunque definirla in un sistema chiuso e immutabile, meglio, e forse più giusto, cercare di catturarne lo spirito di molteplicità e di contaminazione continua attraverso un programma di mostre temporanee, percorsi visivi, tematici o storici che tengono conto di connessioni, rimandi e affinità tra artisti anche apparentemente lontani. Il secolo breve, racchiuso fra l’illuminazione elettrica del cielo di Parigi dall’alto della Tour Eiffel per l’expo del 1889 e il lampo devastante del fungo atomico a Hiroshima, ha forgiato il nostro immaginario di uomini contemporanei, frantumando le certezze del secolo lungo. Con queste esposizioni immaginate Philippe Daverio percorre strade poco battute, e si allontana dai consueti percorsi scolastici, cercando piuttosto assonanze e migrazioni, incontri reali o fantastici fra opere e artisti. Klimt, Balla, Kandinskij, Picasso e alcuni altri diventano così i cavalieri dell’arte, che hanno gettato i semi e inventato le “forme” del Novecento, e alcuni temi come la danza, l’ansia dell’uomo contemporaneo e la città, sono i luoghi, reali o ideali, che raccontano la joie de vivre, la frenesia e la solitudine dell’esistenza nel XX secolo.
Philippe Daverio nacque il 17 ottobre 1949 a Mulhouse, in Alsazia. Dal 1961 al 1967 frequentò il Liceo scientifico francese. Arrivato in Italia per gli studi universitari, frequentò il corso di laurea in Economia e Commercio presso l'Università Bocconi di Milano, dove ebbero inizio le sue molteplici attività legate all'arte. Si è occupato anche di strategia e organizzazione nei sistemi culturali pubblici e privati, e ha svolto attività di docente presso atenei e istituti di diverse città: è stato incaricato di un corso di Storia dell'arte presso lo IULM di Milano, laurea in Comunicazione e gestione dei mercati dell'arte e della cultura; ha svolto diversi corsi di Storia del design presso il Politecnico di Milano, e dal 2006 era professore ordinario di Disegno Industriale presso l'Università degli Studi di Palermo.
Il pregio di Daverio, almeno per me, è quello di "connect the dots", connettere di punti che sono nella testa, le cose lette e depositate da qualche parte nella memoria. Evidenzia correlazioni. Per me è più come rileggere dentro me stessa più che leggere il pensiero di Daverio. Ne esci che sei un po' meno miope, ecco. Inoltre va sottolineato che di avanguardie si parla spesso male e velocemente, lui invece che è un po' fissato sul tema, ne sa parecchio e sa raccontare bene questo periodo, facendone emergere il fascino e il genio dei suoi protagonisti.
Un volume corposo che fa viaggiare nel secolo delle avanguardie, anni turbolenti e ricchi di avvenimenti. Amo l'arte e non me lo sono fatto sfuggire, anche se occorrerebbe una solida preparazione circa il secolo scorso per apprezzare al 100% il volume.
Un piacere leggerlo e ancor più immergersi nelle tante immagini di autori moderni o contemporaneo, spesso da collezioni private.. l'autore accentua l'importanza dell'arte italiana, coi Macchiaioli precursori degli Impressionisti, ma forsa anche fa bene, noi italiani di solito ci sentiao provinciali..
3.5 Giuro che non capisco come qualcuno completamente digiuno di storia dell'arte possa raccapezzarsi nel turbine di citazioni, nomi, date, opere lanciate là come se fossero grandine. O.O Resta il fatto che la costruzione per percorsi è stimolante, e l'apparato iconografico incomparabile, ma dal punto di vista divulgativo e didattico Daverio mi lascia sempre perplessa.