La grande bellezza Rzymu znamy wszyscy: antyczna architektura, wyborna kuchnia, jedna z najpiękniejszych metropolii świata. Jednak poza turystycznymi szlakami, w podglebiu miasta kryje się Rzym nieoczywisty i niepokojący – szturmowany przez szczury, spustoszony korupcją i narkotykami, przestrzeń nieograniczonej wolności i zarazem głębokiego zepsucia.
To w tej scenerii w marcu 2016 roku zostaje brutalnie zamordowany młody rzymianin Luca Varani. Sprawcami są dwaj dwudziestokilkulatkowie z dobrych rodzin, którzy przez wiele godzin bezwzględnie torturowali swoją ofiarę. I właśnie natura tej zbrodni rodzi najbardziej niepokojące pytania. Czy to przypadek nieuzasadnionej przemocy? Czy zabójcy są zdeprawowani? Uzależnieni od kokainy? Czy naprawdę byli świadomi tego, co robią?
Nicola Lagioia śledzi tę historię od samego początku: przeprowadza wywiady, zbiera dokumenty i zeznania. Jego podróż tropem sprawców i ofiary oznacza również zejście w noc Rzymu. Z dziennikarskiego śledztwa wyłania się uniwersalny obraz naszych czasów: epoki zawiedzionych oczekiwań, dezorientacji seksualnej i nierówności społecznych. Lagioia, próbując odkryć istotę zła, zadaje również pytanie, jak cienka jest granica między byciem pokrzywdzonym a katem.
Born in Bari, Lagioia debuted as a novelist in 2001 with Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi). With his novel Riportando tutto a casa he won several awards, including the 2010 Viareggio Prize. In 2013 and in 2014 he was among the film selectors of the Venice International Venice Film Festival. In 2015 he won the Strega Prize with the novel La ferocia.
Su certe cose sono un po’ ossessivo compulsivo. Quando trovo qualcosa che mi piace o che mi interessa, mi incuriosisco e inizio a cercare su internet tutto quello che trovo a riguardo. Roba inedita, qualche curiosità che magari nessuno conosce, mi ci diverto un sacco. Una volta ho scoperto un particolare genere musicale, saranno stati dieci anni fa, e la mia ricerca mi ha poi portato a trovare un disco di musica elettronica pazzesco che forse nessuno di voi conosce. E’ ancora uno dei miei dischi preferiti.
A volte la curiosità ti porta a scoprire dell’incredibile, altre invece ti manda in paranoia buttandoti in un abisso oscuro perché ti sei messo ad informarti su qualcosa che era meglio non esplorare. Che diventa un’ossessione. Come un incidente che non riesci a non guardare e che poi, dopo aver fissato anche solo per un secondo, non riesci a dimenticare per diverse settimane. Come il film horror che tanto ti aveva incuriosito e che una volta visto, ti ha assillato per mesi. Avevo solo 16 anni, su.
Una volta una ragazza con cui uscivo si era fissata che uno studio scientifico diceva che 6 minuti di lettura al giorno avrebbero diminuito del bho, 20% l’ansia. Quando ci sentivamo e le chiedevo “Che fai?” spesso mi rispondeva “Sto riducendo la mia ansia del 20%” o una cosa del genere. Così io capivo che stava leggendo. Quindi ho iniziato a vedere la lettura in modo diverso, non solo per acculturarsi e farsi un’idea sulle cose, ma anche come metodo per ridurre l'ansia. Mi aveva anche consigliato un libro che ho apprezzato e che vi consiglio. Tra un messaggio e l'altro la tappa “lettura prima di andare a dormire" si è tramutata in qualcosa di obbligatorio che facevo con piacere. Una roba programmata, per addormentarsi in fretta e dormire meglio.
Lavi i denti Togli le lenti a contatto Copertina Libro
E tutto sommato mi ha sempre aiutato, anche se questa volta è andata in un altro modo.
Ho visto spuntare il titolo nella home da troppa gente, motivo per cui a una certa mi son detto “Pietro, it’s time”. Spesso lo faccio anche se un libro non mi ispira, ma solo per farmene un’idea. Per avere una mia opinione, come quella volta che ho iniziato Game of Thrones per capire meglio i meme (spoiler alert: non mi è piaciuto) o come quando ho letto il libro di Giulia De Lellis per comprendere i grandi discorsi filosofici che gli altri facevano in palestra. Quando leggo qualcosa non mi piace leggere la trama, le recensioni, niente. Mi piace partire dal nulla e vedere come la prendo. Scopro che c’è di mezzo un delitto nudo e crudo, raccontato così, senza mezze misure. E mi dico bho, sarà una cosa alla Dan Brown, alla Stieg Larsson, anche perché i toni erano grigi, cupi, e gia dall’inizio è stato tutto un pugno allo stomaco. Ed è qui che, spinto dalla curiosità, mi sono fiondato col cellulare a cercare qualcosa in più.
Scopro che più che un libro di narrativa, era un vero e proprio reportage su un avvenimento di cronaca nera che ignoravo totalmente. E così mi sono ritrovato a leggere articoli, guardare interviste sull’accaduto nel cuore della notte impossibilitato a dormire. Bravo Nicola Lagioia che riesce a raccontare una storia da un punto di vista del tutto imparziale mostrandoci in maniera oggettiva come sono andate le cose, a seguito di una ricerca durata quattro anni. Due ragazzi della mia età che si mettono a pippare per tre giorni e finiscono per uccidere un ragazzo la cui unica colpa è stata l'essere un po’ ingenuo. In questo libro il concetto di male viene esorcizzato e prende quasi una forma fisica, per cercare di spiegare il perché la mente umana si riduca a pensare certe cose, per poi farle. La disperata ricerca di un movente, un motivo per cui possa essere successo quello che è successo. Non per rendere il tutto meno grave, ma perlomeno per cercare una spiegazione da dare ai genitori di Luca dopo quello che gli è stato fatto. Movente che, pagina dopo pagina, non arriverà.
Questo libro mi ha fatto molta paura. E’ un thriller che non si può smettere di leggere, ma che allo stesso tempo ho dovuto riservare alle ore diurne, perché mi stava causando emozioni un po’ troppo forti. Era lì, sul comodino a guardarmi con aria minacciosa, e ne ero quasi spaventato. Unica nota stonata, non mi è piaciuto il modo in cui il libro è stato strutturato. E’ vero che la storia pur essendo semplice ha dei retroscena intricati, però ho trovato una struttura complessa che a mio parere poteva essere evitata e alcune piccole parti poco utili al fine della storia. Ma oh, io so io.
A volte la curiosità ti porta a scoprire galassie che ti occupano i pomeriggi, altre volte invece trovi degli angoli della mente umana che non ti fanno dormire la notte. Al netto delle considerazioni di cui sopra, io consiglio a tutti questo libro, perché è scritto molto bene e perché lascia un segno, dandovi in un modo o nell’altro la possibilità di fare delle riflessioni.
Uno scrittore una volta ha detto “Ci sono storie che quando le racconti si consumano. Altre storie invece, consumano te.” Questa, secondo me, è una di quelle.
Sta cosa delle stelline mi ha un po' stufato, io non voglio dare voti, io voglio solo dire quello che penso, my two cents di cui non frega nulla a nessuno se non a memoria futura per la sottoscritta.
Lagioia ha scritto un altro libro bellissimo, che sicuramente ho amato meno de La Ferocia, ma che comunque mi ha coinvolto molto. La cronaca che diventa letteratura, il racconto di un lungo incubo, della banalità del male in una città decadente e prossima alla fine. Non fosse successo davvero potrebbe essere un romanzo distopico da tanto non ci si crede. Un libro duro accompagnato da una prosa scarna che Lagioia credo faticato molto ad utilizzare dato che il suo stile non è questo. E a me il suo stile, il suo prosare mi piace moltissimo ma riconosco la bravura sua (e sicuro di un gran editor) di adattare la scrittura a questo racconto già di per se sconvolgente.
Leggo spesso di notte e, è capitato, che tutto questo male mi tenesse sveglia, mi ferisse nell'animo, mi facesse porre domande su tutto quello che mi circonda, sui ragazzi, su questo periodo incerto. Non è un libro che fa compagnia, che ti fa trascorrere ore piacevoli o che hai voglia di riprendere in mano. Lo si riprende in mano per necessità, per cercare una spiegazione che non c'è, per avere delle risposte che non esistono.
Mia madre non c'è più, ma la cosa che forse mi ripeteva più spesso era di non far del male, mai per qualsiasi motivo. Non ho dubbi che le madri di questi giovani persi e infelici, e soli, abbiano fatto lo stesso. Poi il male è uscito fuori comunque nella maniera forse più inaccettabile. E quindi? Come si spiega? Basta la droga? Basta il male di vivere? Non ho risposte, nessuno ne ha, ma, ancora una volta, leggere la banalità del male dovrebbe far riflettere.
Nero d'Avola, in accompagnamento, due bicchieri. Questa volta sono serviti.
Romanzone di non-fiction che ha dei difetti, ma mi è lo stesso piaciuto molto. È una lettura coinvolgente, che tira dentro a un mondo oscuro. La storia è terribile, col suo racconto di un fatto di cronaca nera e di tutto quello che ci ha orbitato intorno. Quando leggo notizie del genere, mi faccio sempre un milione di domande che di solito non sono mai soddisfatte dalle informazioni rese pubbliche. Mi chiedo cosa passasse nella testa di chi ha commesso il delitto, come si sia arrivati a quel punto, quale logica in quel momento guidasse queste persone; e poi mi chiedo come si saranno sentiti gli altri coinvolti, i parenti delle vittime, degli assassini, gli amici, i conoscenti, come sarebbe per un ex fidanzato leggere sul giornale quello che è successo; e così via. In questo senso, La città dei vivi mi ha dato un’immensa gratificazione perché cerca di rispondere a tutte queste domande, di frugare nei risvolti più banali, nella quotidianità della tragedia. L’approfondimento che un giornale non potrà mai fare per mancanza di risorse, qui c’è tutto ed è filtrato dalla scrittura di uno scrittore “serio”, non uno sciacallo qualsiasi in cerca di shock.
Ci sono anche i difetti. Sembra il tentativo di Lagioia di fare il suo A sangue freddo di Capote, passando però attraverso L’avversario di Carrère, con lo scrittore che entra nella non-fiction come un personaggio. Questa cosa non ha funzionato sempre benissimo, nel senso che il paradigma era giusto ma l’esecuzione a volte mi è suonata forzata, come se Lagioia dovesse aderire a quello schema ma la materia prima latitasse dalla sua vita. Da questo punto di vista, ogni tanto è quasi patetico da quanto è fuori luogo – per esempio quando parla del perché si identifica con gli assassini e con la vittima (le sue esperienze di adolescente un po’ sopra le righe mi sono sembrate banali, le motivazioni lontanissime da quelle dei personaggi a cui vorrebbe accostarsi).
C’è sempre un senso di forzatura, di artificiosità, in tutto quello che fa da contorno. Il tema cornice è "Roma putrida e decadente", ma è descritto con un tono a tinte fosche che ogni tanto mi suonava un po’ ridicolo. In più c’è una sottotrama su un pedofilo internazionale che per lo più è scollegata da tutto il resto. La parte autobiografica sullo scrittore che lascia Roma per poi tornarci m’è parsa vacua, appena accennata e quindi resa inutile (tra l’altro parla dell’andare e tornare dalla città come se fosse una cosa semplice, non si capisce in che modo: non deve affittare la casa? Non ha spese, traslochi, contratti del gas e di internet da aprire e chiudere? Non deve pagare un’agenzia? Eccetera). Il romanzo è scritto come se fossero trascorsi 30 anni dall'omicidio, tutto al passato anche parlando di persone ancora in vita, o come se l'evento fosse accaduto in un paese lontano, con la descrizione di fatti arcinoti come se fossero sconosciuti alle masse. La scelta credo dipenda dallo scommettere che il libro possa essere tradotto all'estero e/o avere una vita più lunga di un paio d'anni sugli scaffali delle librerie. Il tempo ci dirà se su questo aveva ragione Lagioia. Il tentativo è non farne un instant book nello stile; ma essendo passato relativamente poco tempo dai fatti, l'effetto è straniante e pomposo.
Un’altra cosa che mi ha lasciata perplessa è che lo sguardo di Lagioia è prettamente etero e cisgender, manca totalmente una coscienza diversa su certi temi. Mi sarebbe piaciuto di più leggere questo libro se fosse stato scritto da qualcuno dentro alle cose di cui parla. Si fa continuamente riferimento al fatto che un personaggio gay desiderasse diventare donna, senza mai prendere in esame il fatto che identità di genere e orientamento sessuale sono due cose diverse. M’è parso che Lagioia fosse talmente ignorante al riguardo da credere che tutto sommato fosse lo stesso discorso, infatti non si prende mai la briga di ragionarci su. È un libro con una visione molto cis-etero e questo aspetto ogni tanto viene fuori malamente, visto che si parla a lungo di personaggi LGBT+. C’è pure un po’ di puttanofobia nel trattare il tema del sex work, anche se Lagioia si sforza tantissimo di non caderci e di trattare con dignità la vittima. Ma è più forte di lui: alla fine lo dice, parlando di se stesso e delle sue esperienze giovanili, che la trova una cosa degradante. Legittimo, però questo sentimento in qualche maniera pervade tutto il libro.
Però ecco, perdonandogli le varie cadute e incertezze, ho apprezzato davvero come ci fa entrare nella vicenda. Soprattutto nella dinamica circostante l’omicidio: il fatto in sé è descritto più sbrigativamente, cercando di evitare risvolti pornografici e sensazionalisti. Si prende uno spazio maggiore per spiegare come si sono conosciuti i due assassini e che tipo di rapporto avessero instaurato, o a farci immedesimare in tutti gli altri personaggi che si sono trovati lambiti dalla situazione (indimenticabile: Alex Tiburtina). Ho apprezzato anche l’inizio, con la descrizione della mattina dopo dal punto di vista della famiglia di uno dei due assassini, con un plumbeo viaggio in macchina verso un funerale e la confessione in autostrada.
En cuanto te metes en la historia de La ciudad de los vivos tienes la absoluta certeza de que tienes entre manos uno de los libros del año. Entusiasmará a los amantes de los documentales sobre crímenes reales y a los lectores de novela negra y policiaca, así como a los admiradores de obras tan celebradas como A sangre fría. Este true crime da al lector lo que busca en este género (una historia desmenuzada al detalle y narrada desde distintos puntos de vista que otorga al espectador la sensación del conocimiento total de un suceso trágico) pero está narrada de una forma tan bien estructurada, tan sensible, tan sencilla en su complejidad... que creo que podrá maravillar a casi cualquier tipo de lector.
En La ciudad de los vivos el autor nos cuenta su obsesión con un crimen acontecido en Roma en 2016 en el que dos veinteañeros de familias poderosas —que apenas se conocían y que muy recientemente habían iniciado una relación turbia— una noche, después de muchas horas de consumo de alcohol y cocaína en el piso de uno de ellos, invitan a unirse a la fiesta a un joven de extrarradio que solía ganarse un dinero extra vendiendo su cuerpo y que, unas horas después, acabaría salvajemente asesinado a martillazos y puñaladas.
Esta es la historia de esa noche, sí, pero también de todo lo que condujo a que esos dos jóvenes llegasen hasta ese punto de perturbación, de cómo esto afecto a las familias de víctima y verdugos, de cómo esto se convirti�� en un fenómeno informativo que tuvo a los medios en jaque durante meses. Y lo que se narra no es solo este proceso criminal y judicial: también se habla de la sociedad italiana, de su clase política, de la vida cotidiana en ese monstruo maravilloso que es Roma, de sus sombras y de su forma de ser. Y está contado desde la perspectiva de un narrador, extremadamente bien documentado, que se involucra en la historia y que vive afectado por ella y por los ecos que le despierta en sus recuerdos.
La ciudad de los vivos es una novela rabiosamente actual que juega a descifrar muchas de las claves que constituyen la sociedad en la que vivimos hoy en día. Es un retrato crudo sobre las diferencias sociales, sobre la vida en los márgenes y los secretos de quienes dicen tener vidas públicas, y de cómo un acto casi azaroso puede condenar para siempre las vidas de los implicados y sus allegados. Es un libro soberbio que se te mete dentro y que es muy difícil de soltar.
Nell’era di Internet, siamo ormai intimi amici dell’idea di avere accesso a qualsiasi cosa, in qualsiasi momento. Se un essere umano viene ucciso, è possibile che le foto del suo corpo martoriato diventino facilmente reperibili in rete – queste immagini si cercano, si guardano, e a questa persona si leva la vita una seconda volta. Questo è quello che succede ne “La città dei vivi”: un ritratto superficiale, mal scritto e assolutamente irrispettoso di una vicenda scabrosa.
Raramente scrivo dei miei pensieri negativi, ma raramente un testo è in grado di farmi ribollire il sangue come questo è stato in grado di fare. Strutturalmente, la storia segue una linea dritta, facile da seguire. Questo è il primo motivo per cui il lettore ne diventa assuefatto, si riscopre desideroso di saperne di più, addirittura famelico. Questo, però, non è sinonimo di buona scrittura: la famelicità ti viene a trovare quando perdi il controllo sulla tua umanità. La sensazione di sporco che che i più hanno provato e descritto una volta terminata la lettura non è data da una particolare e ben scritta analisi della vicenda, da ritratti profondi dell’umanità, ma dalla consapevolezza dell’eccessiva invadenza che abbiamo dimostrato di avere.
Ci sono delle storie che meritano di essere raccontate, ma non tutti siamo in grado di farlo – rimettere insieme i pezzi non è abbastanza per costruire un quadro fedele, rispettoso e all’altezza di questioni universali quali l’omicidio, lo stupro, la morte, l’identità. Così come non si può sperare che la lunghezza di un testo ne riesca a coprire la sua vacuità, che la retorica continua su una città possa passare per critica sociale, che le persone realmente esistite ed esistenti di cui racconti le vicende inizino a sembrare dei personaggi per cui l’autore parteggia.
Lagioia dimostra poca capacità nel dividere la sua vita personale dalla vicenda, di non avere piena padronanza della storia che vuole raccontare, di non riuscire a gestire le linee temporali all’interno di questo testo, e altre molteplici problematiche stilistiche. Inserisce autofiction in punti poco necessari, racconta della possibilità di scrivere questa storia come se stesse parlando di un fardello più pesante di quello che le famiglie stanno raccontando, paragona le sue malefatte in giovane età all’omicidio di un ragazzo. Il modo in cui viene strappata la vita di Luca Varani viene descritta, ma senza che Lagioia sia poi capace di frenarsi dal ricominciare a parlare di sé e del suo rapporto con Roma qualche pagine dopo.
Agli occhi dello scrittore forse risulterò anche io una “progressista”, perché spesso è molto più facile ovattare il suono delle critiche, etichettarle e accantonarle, piuttosto che prenderle in considerazione. “La città dei vivi” è il classico esempio di romanzo che funziona perché inzuppato nella pornografia del dolore, figlio della cultura dello shock. Questo è il prodotto venduto a una società che accoglie con scrosci di applausi storie cruenti raccontate male.
Per me è un no, mi spiace. Non ci sono vivi, ma zombie, non c'è una città, ma una brutta scenografia, non c'è letteratura, ma un ibrido senza perché, non ci sono né Capote né Carrère, ma nemmeno Lagioia. Non ci sono stelline, solo punti interrogativi.
C'è l'imbarazzo, invece, per aver letto in due giorni una storia come questa, di cui volutamente sapevo e avevo voluto sapere poco, che si fa leggere con voracità come fosse una "crime story", mentre è stato un vero, agghiacciante fatto di cronaca.
This Italian autofictional true crime novel has been compared to Capote's classic In Cold Blood, and with good reason: The book tells the story of two ordinary young Romans from well off families, Manuel Foffo and Marco Prato, who after an alcohol and cocaine filled bender brutally killed Luca Varani, the adopted and much beloved son of a family of peddlers. Much like Capote, Lagioia investigates the back stories of the three men, their families, friends, and surroundings in hopes of finding an explanation for the senseless slaughter, and while the author finds many hints and clues that can be interpreted in an explanatory fashion, there is ultimately no rational explanation for the shocking crime that ended three lives: A dead victim, one suicide, one 30-year-prison sentence (this is no spoiler, as this is a well-documented and widely covered case).
Much like Capote, Lagioia himself features as a reporter / narrator, and his thoughts and feelings are reflected in the text. The city of Rome is also a major character: The narrator laments the decaying state of the rat-infested city, the poor administration, the brutality - but he also loves its vibrancy, its survival in ruins. While a minor plot focusing on a Dutch tourist expresses the frustrations of systemic injustice, the murder case in the main plotline shows how society struggles to make sense of evil.
The case of Marco (a nightlife organizer, HIV positive, suicidal and gay, possibly trans) and Manuel (a young man who blamed his father for his failures, identified as straight but also had sex with Marco) is shocking and enigmatic - and it becomes more and more mysterious the more we learn about them. After consuming alcohol and cocaine for two nights and days, they started fantasizing about rape and contacted Luca (a chronically broke mechanic and occasional prostitute) who became their murder victim. Lagioia does a great job accumulating the puzzle pieces, only to show that the motif that reveals itself is expressive, yet abstract. While the whole murder / drugs / sex story lends itself to sensationalism, the author does not fall into this trap; rather, the many voices and contradictory angles speak about the complexity of evil.
An impressive work of true crime with many philosophical undertones and an ode to Rome, despite its flaws.
Questo libro non è un giallo, né è finzione, è il resoconto dettagliato fatto da Nicola Lagioia dell'omicidio Varani. L'omicidio è avvenuto nel 2016 a Roma in un ambiente ambiguo dove si mescolano con sorprendente facilità, alcool, cocaina, spaccio, sesso e prostituzione a pagamento, in un milieu per lo più gay. Un omicidio che parrebbe non avere un perché, un omicidio apparentemente inutile.Viene descritta la mise en place di un festino sessuale portato all'estremo compimento, più che per volontà di uccidere, per uno stato di obnubilamento da troppo alcool e da assunzione di cocaina Facile la discesa all’Averno (Cit. Virgilio) Luca Varani è un nome tra i tanti contatti di WhatsApp scelto a caso dai suoi aguzzini, due trentenni dalle identità confuse: un esuberante egocentrico PR della scena gay romana e un ombroso studente fuoricorso con velleità imprenditoriali. Varani ha una diversa estrazione sociale, borgataro di periferia, fa il carrozziere, è più giovane, belloccio ha un carattere dolce e mansueto ma non esita a fare qualche piccola marchetta per mettere da parte quel tanto per portare la fidanzata in pizzeria o per farle piccoli doni. Lei e i genitori ignorano e respingeranno sempre con rabbia l'ipotesi che Luca si prostituisse, perché sarebbe un po' come accorciare le distanze tra vittima e carnefici. Il festino sfocia in un omicidio rivoltante, preceduto dalle reiterate torture dei due aguzzini che ad un certo punto si accorgono di essere andati troppo in là e si vedono come costretti a uccidere la loro vittima, ma togliere la vita ad una persona non è così facile e l'accanimento sul corpo di Luca diventa ancora più inutilmente feroce. Questo l'odioso spoiler di un evento di cronaca che personalmente non conoscevo affatto, perciò ho cominciato a leggere il romanzo come fosse pura finzione, prendendo coscienza solo ad un certo punto che invece tutto era vero. Al di là dei fatti c'è un forte dilemma morale o etico: può uno scrittore, badate bene non un giornalista che per mestiere adempie ad un supposto dovere di cronaca, può, appunto, uno scrittore scrivere di un fatto reale, avvenuto in un tempo relativamente recente quando ancora la ferita è aperta e sanguinante per i famigliari, per gli amici della vittima ma anche per gli stessi colpevoli? A Nicola Lagioia viene contestato di cavalcare il dolore altrui. Io credo invece che il suo meticoloso lavoro abbia in un certo qual modo reso giustizia alla vittima, ristabilito un ordine. Per 4 anni raccoglie tantissime testimonianze, le narrazioni dei protagonisti, studia le perizie, gli atti processuali da dove emerge come entrambi i colpevoli raccontino il delitto in maniera diversa, come se ad agire non fossero stati loro in un meccanismo di rimozione; studia le sentenze, fa tutto seriamente svolgendo una indagine che cerca di essere il più possibile neutra e che non cede mai al voyeurismo. Soprattutto non giudica, bensì, per quanto possibile, avvia nel lettore quel processo di identificazione con la vittima innanzitutto, ma anche con i colpevoli perché, anche se la pena è sempre meno dura dell'offesa,
bisognerebbe sapere molto del carnefice per capire che la distanza che ci separa da lui è minore di quanto crediamo.
A fare sfondo a questa truce vicenda Roma
una città che non produce più niente, non ci sono industrie, non c'è cultura d'impresa, l'economia è parassitaria, il turismo di terz'ordine, Roma una città che ormai produce solo potere
Città fatiscente, fatta di fango e immondizia, dove il caos regna e che finisce per diventare quasi il terzo colpevole insieme al rapporto con i genitori, alla scuola, alla società; come se un crimine del genere non meritasse invece di venire giudicato soprattutto nella sua semplice tremenda evidenza.
Libro giornalistico, che punta alla ricostruzione dei fatti. Lagioia cerca di capire i motivi che hanno portato Marco Prato e Manuel Foffo ad uccidere Luca Varani, e indaga i motivi per cui Luca Varani aveva piú probabilità di cadere nella trappola rispetto a chi lo aveva preceduto nell’appartamento. Lo fa raccogliendo le testimonianze di amici, famigliari, giornalisti. Di chi nei giorni precedenti all’omicidio ha incrociato le vite di Marco, Manuel e Luca. Di chi è stato nell’appartamento di via Igino Giordani poche ore prima (Damiano, Alex, Tiziano).
Contiene pezzi di memoir, decisamente rilevanti ai fini della storia. Altri che descrivono lo sfascio di Roma Capitale. Ne esce una mappatura della condizione umana inserita in un discorso coerente e coinvolgente. Iper consigliato se vi interessa un certo tipo di non fiction (dalle parti dei già citati A sangue freddo e L’Avversario). Se La ferocia non v’era piaciuto, non lasciatevi troppo condizionare: qui siamo anni luce da quel tipo di scrittura.
File under: cose italiane pensate con un altro approccio, un'altra prospettiva. Tra i libri dell’anno. [80/100]
Stavo vivendo un periodo tranquillo della mia vita. Non accadeva da tempo. Le settimane si susseguivano senza scossoni. Ero alle prese con la scrittura di un libro. Il mio matrimonio andava bene. Gestivo le cose con una certa padronanza. La padronanza, di solito, la esercitiamo su ciò che abbiamo già compreso. Temetti subito, voglio dire, che il caso Varani potesse provocare un deragliamento in tutto quello che mi sforzavo di proteggere. Per questo mi irritai quando ricevetti la telefonata dal giornale: non avevo mai scritto di cronaca nera, quante probabilità c’erano che mi chiedessero di seguire proprio il caso da cui cercavo di tenermi alla larga?
Sapevo cosa significava mettere mezzo passo nel cono d’ombra, sapevo che bisognava tirarsi indietro il prima possibile. Ma poi? Cosa succedeva a chi non si fermava, o non riusciva a farlo? Ecco, questo non lo sapevo per niente. Cosa ne era di chi, immerso nell’ombra, continuava a scendere i gradini? Oltre una certa soglia si apriva un mondo sconosciuto.
In cella siamo quattro, – disse Marco, – a parte me c’è un detenuto che ha contagiato consapevolmente con l’Hiv un sacco di ragazze, un fotografo che addormentava le sue modelle con gli psicofarmaci per violentarle, e un pedofilo. I loro processi sono in corso, magari sono innocenti, però capisci che messi tutti insieme là dentro sembra che stiamo nella cella di Satana».
Non so a quali conclusioni sei arrivato attraverso la tua ricerca, – disse, – non si può arrivare a conoscere tutto degli esseri umani a cui siamo interessati». «Non si arriva a conoscere tutto nemmeno di se stessi, – dissi, – altrimenti nessuno scriverebbe piú un bel niente». «Sí, ma a un certo grado di comprensione bisogna pur arrivare. Queste cose seguono strade complicate, a volte ci vogliono anni, altre volte non ci si arriva mai». «La comprensione non è durevole, siamo transitori persino in questo».
Più che un commento socializzo in pensieri sparsi l’inno al romanzo che questo libro mi sembra rappresentare. Perché questi libri di docufiction, romanzi costruiti su un fatto vero, sul solco, tanto per capirci, di “A sangue freddo” di Capote che del genere è il capostipite inarrivato, fanno venir fuori bene la ragione fondativa del romanzo come forma espressiva. Lagioia qui come tutti i romanzieri cerca nella narrazione un laboratorio dove poter ricostruire ed osservare un pezzo della realtà che lo riguarda intimamente per qualche aspetto che avverte misteriosamente e di cui ha bisogno di diventare consapevole prima e di tentare di comprendere e di nominare (di dargli un nome) poi.
Il romanzo poi non conduce a nessuna verità e tanto meno è la forma di espressione di una verità già posseduta. Il suo dono è rimarcare l’ambiguità ultima del reale (cose, persone, fatti e relazioni che tra cose, persone e fatti si instaurano), evidenziarla e metterla davanti alla riflessione del lettore, al suo gusto, alla sua storia, alla sua sensibilità. Quando si legge un romanzo serio, che vale, come questo, non bisogna mai dimenticare la ragione per cui esiste il romanzo. Quella cioè di rispondere al bisogno di tentare di rappresentare e nominare le cose che ci circondano e che ci accadono. E di farlo accendendo il tipo giusto di luce che faccia emergere un dettaglio, una spiegazione, un senso, un rapporto causa-effetto che altrimenti non riusciremmo a vedere. Ma (e qui sta per l’appunto la cosa veramente importante) se vuoi farlo bene non devi scrivere pensando di voler raggiungere la Verità. Men che meno di averla già in tasca e di dover solo trovare il modo di raccontarla.
Il romanzo vero approda nel suo porto estremo quando raggiunge l’ambiguità, la rappresentazione in parole della complessità delle cose: oggetti, fatti e persone. E perimetrando questa complessità, il romanzo offre crinali e frontiere da cui è possibile guardare alla bivalenza possibile di ogni scelta e di ogni visuale. Il romanzo è la partita doppia della realtà.
Il libro ha al centro da una parte il Male che emerge da un fatto di cronaca e dall’altra Roma. L’autonomia del male da un lato e il senso della responsabilità individuale e della colpa dall’altra. La leggerezza di Roma da un lato e la sua cinica ferocia dall’altra. Il raffronto tra il Male nella Roma del Pasticciaccio e quello nella Roma del nostro tempo spaventa. La rabbia che si alimenta di disperazione, intesa come la somma di impotenza e di mancanza di capacità di immaginare un futuro migliore.
Ultima annotazione. La differenza stilistica tra questo romanzo e “La ferocia” è quanto di più radicale si possa imaginare. Segno di bravura vera.
Credo di non essere in grado di fare una recensione in quanto ho appena finito il libro e spento il kindle ... sono rimasta senza parole... libro consigliatissimo!!!
Bravissimo Nicola, ha scritto il suo libro più bello, partendo da un fatto di cronaca che avevo dimenticato. È facile scomodare Capote di A sangue freddo, ma questo libro è monumentale. Monumentale. C’è tutto, la cronaca nera, la ricostruzione psicologica, un pizzico di auto narrazione ma manca un giudizio morale, Grande forza del libro. E su tutto Roma, bellissima e morente di gabbiani, prostituti, mala gestio e immondizia.
No he podido parar de leerlo hasta terminarlo en poco menos de una semana. Buena historia (real). Bien documentada. Mucho trabajo hay tras esta narración con forma de novela en muchas de sus partes.
Creo que Lagiogia tiene como referencia a algunos de los grandes escritores de las narraciones reales noveladas: Truman Capote y su A sangre fría, o E. Carrere y El adversario. Esas referencias me venían a la cabeza leyendo este magnífico libro, lo cual para mi es mucho decir.
A veces te encuentras incómodo con el tema que toca, a saber: la desnaturalizacion de la persona hasta el punto de no sentir la muerte de una persona, no discernir el dolor físico que se causa a otra persona, una especie de mente sociopática.
Los hechos que hay tras la narración es el asesinato bárbaro de un chico romano a manos de dos jóvenes de familias acomodadas sin móvil aparente de por medio. Aquí entra el autor a tratar de buscar en la psique de los asesinos: lo que pudiera llevar a esa falta de expectativas, o las frustraciones que pideran llevar a ese punto sin retorno.
Recomendable totalmente, aunque a veces se te hace un nudo en la garganta.
This is literary true crime at its best: a chilling account of an extremely violent and incomprehensible murder against the background of a decaying Rome. In 2016, two young men from regular middle class families, Manuel Foffo and Marco Prato, killed a third man, 23-year-old Luca Varani – in their own apartment and seemingly without motive.
Journalist and fine novelist Nicola Lagioia becomes obsessed with the case, also for personal reasons, and tries to understand the reasons and the circumstances that led to the brutal crime. Because of personal correspondence with the suspects, the book is often dubbed an Italian ´In Cold Blood´, but with his active role in the narrative perhaps Emmanuel Carrere´s outstanding ´The Adversary´ is an even better comparison.
One minor point of criticism is that I would have liked more assessment of the role of drugs, alcohol and sleep deprivation as contributing to the crime.
4,5 (rounding it up for personal reasons having done my studies in Rome it was something of a trip down memory lane)
Questo libro nasce da un reportage di cronaca su un omicidio insensato: due settimane di lavoro si sono mutate in quattro anni di studi di atti processuali e indagini attraverso la conoscenza di investigatori sul caso e di persone coinvolte nelle indagini. A catturare l'attenzione dell'autore inizialmente è stata la difficoltà a comprendere il delitto, a capire come due uomini apparentemente qualunque, privi di qualsiasi legame o precedente criminale, abbiano potuto commettere un omicidio così brutale e inquietante, connotato da estrema violenza e incontrollabile distruttività. Ci sono i media che hanno valutato tutte le ipotesi, i temi rilevanti e influenti: la cocaina e l'alcol, la sessualità e il potere, l'annichilimento delle relazioni personali. Fin dall'inizio, gli investigatori non avevano punti di riferimento, si muovevano nel buio, la professionalità nel trattare casi e profili di vittime e omicidi incontrava un buio assoluto, implodeva in un buco nero nel quale il tempo è vuoto, l'essere è un'assenza. Si tratta di due personalità che non vivono di senso di onnipotenza, non si spingono oltre i limiti per vedere cosa si prova; c'è invece una dissociazione tra pensare e agire e in questo discrimine si inserisce una fragile debolezza, mossa prevalentemente da pulsioni narcisiste e perversioni estatiche, finché l'identità crolla e Foffo e Prato si sentono privi del libero arbitrio, della possibilità di scelta, spinti a compiere il male su Varani da forze invincibili e da una catena di eventi, che li rende animali spaventati e imprevedibili, ormai decisi ad angariare per non essere torturati, soggiogare per non soggiacere (forse l'uno all'altro, a specchio). Seguendo Lagioia in questo romanzo inchiesta, sappiamo pochissimo della vittima, per poterci identificare e poterla amare sulla pagina; era figlio di venditore ambulanti, aveva una ragazza dolce e per bene, spendeva i suoi guadagni in slot machine e aveva preso la strada delle sostanze tossiche e della prostituzione. Cerchiamo di conoscere, con il contributo dei testi riportati dal narratore, l'interiorità degli assassini, il loro contesto sociale e familiare, le loro affettività e le abitudini, ciò che desideravano fare prima di annichilire la vita di Luca e la propria, prima di incontrarsi in uno spazio che ha qualcosa di mostruoso e indecifrabile, dove un giovane individuo è morto dissanguato, tra di noi, tra i vivi, nella città dei vivi. Sono umani, fino a pochi attimi prima di diventare assassini; sono umani, ma poi sono fantasmi. Sono stati, si è detto, come posseduti da un agente esterno, da un regista oscuro, non più sensibili, non più intelligenti, non più in sé, forse dormienti nello sfacelo infernale che avevano creato. Lagioia ci racconta l'incubo febbrile, le tensioni deliranti, la genesi del massacro sadico e paranoide. La letteratura non giudica, vuole incontrare il mistero del dolore, raccontare elementi utili a resistere alla paura dell'altro, a prepararsi all'eventualità del male, che nella storia umana sembra invece sempre inevitabile. Uno scrittore pratica quel rituale che è la letteratura, attenendosi con onestà e perseverando con energia dentro i valori designati dalle parole misura e furia, e riesce ad attraversare la soglia della tragedia, entrando dalla porta apollinea e uscendo da quella dionisiaca, in modo accorato ed elegante, documentando e immedesimandosi, tra filosofie popolari e deformazioni fantastiche, e così possiamo chiudere il testo senza chiedere altro: almeno per il momento, fino al prossimo rituale.
“Un'ombra ristagnava in noi dalla notte dei tempi. Distruggere il più debole. Oppure indebolire il più forte per poi distruggerlo. L'aggressione come garanzia per la sopravvivenza. Colpire per sottrarsi alla paura di essere colpiti. Sentirsi impotenti, ridurre l'altro all'impotenza. Sentirsi in pericolo, portare l'altro in pericolo. Sentirsi nulla, ridurre l'altro al nulla. Farsi vincere da questa debolezza, da questa paura atavica, significava scegliere: era qui che andava rintracciata la responsabilità individuale in un'epoca in cui, cerchio retorico dopo cerchio retorico, questo concetto andava nascondendosi sempre più lontano. Altrimenti sarebbe stata la barbarie, o altrimenti, non appena le scienze (a cui non pochi giuristi guardavano con fiducia) avrebbero ricondotto ogni nostro gesto a una determinata serie di reazioni chimiche e impulsi elettrici, il concetto di colpa si sarebbe dissolto insieme a quello di scelta, e noi saremmo stati, nella libertà dalla colpa, imprigionati per sempre”.
Ad appassionare non è la scrittura, la ricostruzione da parte dell'autore o qualche suo artificio creativo ma esclusivamente la vicenda attorno alla quale Lagioia riesce ad inanellare oltre 500 pagine. Nel lettore sorge una curiosità morbosa che lo conduce a macinare una pagina dietro l'altra in cerca di nuovi dettagli scabrosi, nuovi orrori, o di chissà quale rivelazione. Io mi sono sentita a tratti sporca per non avere placato l'istinto ed essere andata avanti, come guardando dal buco della serratura l'intimità di una tragedia che ha sconvolto eternamente tre famiglie. Mi sento quasi in colpa per avere acquistato e letto un libro che mi è sembrato esclusivamente un feticcio per gli amanti di cronaca nera. E di cronaca nera, di mero assemblaggio di interviste e documenti, si tratta: gli apporti romanzeshi dell'autore sono talmente posticci da sembrare appiccicati qua e là, a mo' di cornice forzata, mentre le riflessioni, pur pretenziose, risultano di una banalità assoluta.
Hacía tiempo que un libro no me atrapaba tanto. Lo cierto es que ‘La ciudad de los vivos’ engancha, y mucho. Pero antes que una mera crónica escabrosa de lo sucedido (podría haber acabado fácilmente siendo un true crime de baratija rayano en la explotación), se trata de una narración tan impactante y bien contada que logra trascender la materia objeto de la misma, una aproximación a intentar comprender la siempre esquiva naturaleza del mal, cuando no la naturaleza humana en general. Y como telón de fondo, la Ciudad Eterna, magníficamente recreada por el autor en toda su esplendorosa y asfixiante decadencia.
Mi spiace non esser riuscita a scrivere a caldo quello che questo libro mi aveva smosso, perché mi rendo conto, adesso, che sono passate due settimane, che tutto si è sopito, purtroppo è stata pure una scelta mia consapevole perché temevo di essere troppo pesante e di “pancia” e volevo essere più pacata, più razionale - cosa che devo ricordarmi di non fare mai più e continuare a buttarmi di getto in tutto, sempre, vita compresa.
Ho scelto di leggerlo perché diversi elementi mi attraevano tantissimo: la fama di Lagioia gli elogi a questo libro, letti in rete, da quasi tutti un fatto di cronaca molto recente che mi incuriosiva vedere come veniva rielaborato da uno scrittore ritenuto di un certo livello (del caso in sé mi interessava poco e nulla, se non quel poco che ho letto a suo tempo – amo la criminologia, ma non il voyerismo, sinceramente -.)
Un libro che non ha soddisfatto, una, dico una, delle mie aspettative. Un libro che mi ha deluso e infastidito profondamente.
Unico pregio, si fa per dire, si fa divorare. In certi momenti il ritmo incalzante, ipnotico, per me è fondamentale, perché mi porta lontano dai miei pensieri, dalle cose che in quel momento mi opprimono, potessi andrei a farmi una bella corsa come negli anni della giovinezza, ma non posso, quindi mi butto su altro che mi annienti il logorio della mia mente e certi libri sono ottimi strumenti. Questo lo è. Lo inizi e non smetteresti mai di leggerlo. Peccato però che non è una peculiarità di qualità, per me, questa caratteristica. E' solo un buon ritmo di annientamento mio mentale. Nei thriller è fondamentale, cerco adrenalina. Cerco annientamento, sono storie che voglio che mi annullino, forse un po' come da ragazzina gli horror che mi tenevano incollata alla tv. Ma questo libro non è un horror, non è fiction, non è invenzione, è un fatto di cronaca terribile che ha distrutto quattro famiglie (si dice tre, le famiglie dei due assassini e della vittima, ma non credo che la famiglia della fidanzata di Varani, ne sia uscita leggera, felice e allegra). Un escamotage letterario che ti porta a dimenticarti che stai leggendo una storia vera e non un buon thriller. Una storia vera, dove genitori, amici e fidanzata sono ancora vivi e a 5 anni dal delitto, immagino ancora immersi in un dolore che per alcuni di loro non avrà mai più fine. Questo è ciò che mi ha portato ad avere un fastidio profondo per come si è scelto di raccontare il tutto. Un racconto morboso, voyeristico, dove si è andati a riportare in modo pedante particolari inutili, dove ci si è ostinati a voler raccontar nei dettagli tutto. Era necessario? Secondo me no. Per carità, ottimo lavoro da parte di Lagioia, un lavoro certosino, che in una tesi compilativa avrebbe avuto un ottimo voto, ma assente di una profondità di sguardo, di analisi, di rielaborazione del tutto. Ossia quello che cercavo io. Cosa mi interessa una ricostruzione pedante – che vuole passare per oggettiva, quando poi si sente benissimo che si è preso le parti di Prato e si giudica, invece, la vittima, dove per Prato si arriva a empatizzare e invece per Varani, no?- che potrei recuperar facendomi una ricerca in rete? (Apritevi i video su youteber sull'argomento e vi ritroverete poi gli stessi riportati nel libro, così, tanto per dire). Avrei apprezzato un romanzo ispirato al fatto di cronaca, dove lasciar credere, intendere, che magari i particolari morbosi, i dettagli inutili, potessero essere frutto di fantasia e non reali, perché? Per rispetto di chi ancora è vivo. Avrei apprezzato che la vicenda – conosciuta da tutti e facilmente recuperabile on-line – fosse stata raccontata in meno pagine, per dare spazio alle riflessioni dell'autore, perché per me questo è ciò che da senso a un'operazione del genere calandola, nel caso, nella Letteratura. Mi è sembrato di leggere un reportage di un rotocalco pomeridiano, una di quelle cose squallide che va a cercare il marcio restando nella superficialità più superficiale (ci vole Lagioia per dire che il male alberga in tutti noi, che potremmo essere tutti ipotetici assassini? che spesso i figli di papà che hanno soldi sono persone profondamente infelici? Che i rapporti genitori\figli possono creare personalità di vario genere tra le quali pure assassini?). Vogliamo parlare di come sia pedante la Roma infestata da topi e gabbiani? Come sia banale vedere il paesaggio come riflesso di un malessere omicida? E l'olandese? Ci sarebbe da parlare della parte di autofiction, ma spoilererei l'unica cosa che forse non sapete, ma che, sempre assolutamente secondo me, sembrano più un pretesto per voler dare un senso profondo a un'opera che in realtà non c'è.
Salid a comprar La ciudad de los vivos de Nicola Lagioia ahora mismo. Ya.
Hacía tiempo que un libro no me enganchaba tantísimo. ¿Lo he disfrutado? Pues a ver, es que no cuenta una historia de disfrutar pero es una maravilla de libro, escrito con rigor, con criterio, con ritmo y que deja, a la vez, un poso muy amargo y una senda para reflexionar sobre nosotros mismos y sobre la sociedad y las ciudades en la que vivimos.
¿Qué cuenta La ciudad de los vivos? Cuenta Roma y cuenta el asesinato de Luca Varani ocurrido en 2016. Lagioia hace de Truman Capote para intentar entender porqué ocurrió el asesinato y que llevó a los asesinos, Manuel Foffo y Marco Prieto a cometerlo. Lagioia quiere saber qué sociedad, la romana, la italiana, la europea, la occidental ,crea el caldo de cultivo para un crimen así y después lo devora como carnaza, como espectáculo. Lagioia disecciona como desde la prensa, las redes sociales, la sociedad se juzgan los crímenes, y cualquier otra cosa, desde la atalaya a la que nos subimos todos, el pedestal del «yo no lo haría» y el «son monstruos». La realidad que Lagioia nos muestra, descubre para nosotros y para sí mismo es que un crimen así lo puede realizar cualquiera, ninguno estamos a salvo de convertirnos en eso que juzgamos tan alegremente y con tanta superioridad moral. El ritmo de la novela es trepidante, empiezas a leer y no puedes dejarlo. Vamos saltando de testimonio en testimonio, de noticia en noticia hasta contarlo todo, como si recompusiéramos un espejo roto. Además de todo esto, Lagioia es un personaje de la historia contando su propio enganche con el asesinato, todos los implicados y con Roma. Del crimen consigue distanciarse, de Roma no.
Las descripciones de la ciudad son fantásticas:
«Parece que la ciudad está a punto de colapsar sobre sí misma, dejando entrever una ciudad anterior. Luego, otra ciudad más antigua que esa. El viejo Pórtico de los Argonautas, detrás del Altar de la Patria. El anfiteatro de Calígula, desparecido durante siglos, en vez del Palazzo Borghese. Si la lluvia continuara, podríamos apostar a que los viejos dioses tomarían de nuevo posesión del lugar Pero el mensaje real es otro. Todas las ciudades, tarde o temprano, acabarán destruidas por la lluvia. Que no se engañen Londres o París. Llamadlo lluvia. Todo el mundo sabe que el fin del mundo llegará. Pero el saber, en el hombre es un recurso frágil. Los habitantes de Roma llevan en la sangre la conciencia de las últimas cosas, y está tan asimilado que ya no genera ningún razonamiento. Para los que viven aquí, el fin del mundo ya ha ocurrido, la lluvia solo tiene el molesto efecto de derramar de la copa un vino que en la ciudad se bebe sin parar».
«Más cruel que la tragedia que nos aflige es la tragedia de la que, engañándonos a nosotros mismos, creemos haber escapado».
This is true crime at its best. Nicola Lagioia literally dissects a gruesome murder committed on one of the very loose acquaintances by two barely knowing each other guys. This investigation into the darkest corners of human psyche totally consumed me and left me restless, puzzled, and with a lot of questions. There are sometimes no ways of explaining the desires, daily struggles, and hidden traumas that can lead to even most horrifying acts. Three additional things make this book even more exceptional: visceral descriptions of Rome, lack of judgment while continuously staying curious, and its exquisite language.
Mamma mia. Un pugno nello stomaco. Nonostante conoscessi già approssimativamente la vicenda, questo libro giornalistico mi ha catapultato all'interno di un incubo. Questi giorni sono stati costantemente caratterizzati dall'ambivalenza tra la curiosità di continuare a leggere e il terrore di farlo. La vicenda è veramente terribile, aberrante e tragica; il libro è scritto veramente bene e ne esce un quadro preciso e chiaro di quanto accaduto. Consigliatissimo ma con in progetto di leggere subito dopo un libro veramente leggero e allegro, che eviti di farmi sprofondare nell'angoscia e nella tristezza.
Un libro potentissimo e brutale, dalla scrittura bellissima e ciononostante molto difficile da leggere (almeno per me) visti i temi trattati. Nicola Lagioia è riuscito secondo me a trovare quella perfetta "giusta distanza" per parlare di una vicenda difficile, delle periferie e del male che si annida dietro i volti più insospettabili. Di quella paura che ci assale di fronte a qualcosa di così insensato che ci fa chiedere se non possa capitare anche a noi, un giorno, di essere il carnefice e non la vittima. Un libro in cui è evidente l'enorme lavoro di documentazione, ma che conserva un aspetto empatico e umano nei confronti delle persone coinvolte. Una parte di me vuole ascoltare anche il podcast, l'altra lasciarsi alle spalle per sempre questa vicenda morbosa, che mi lascia un senso fortissimo di claustrofobia e di malessere. Avrò bisogno di elaborare quello che ho letto per molto tempo.
Chiudo il libro e sono senza parole..ho divorato 200 pagine nelle ultime ore. Posso solo che ringraziare l'autore per come ha riportato tutta la storia, tutte le informazioni, tutti gli intrecci con una minuziosità che spesso ti lasciano paralizzata e consigliare a chiunque questa lettura.
È innegabile: il tema è interessante, come lo sono gli omicidi inspiegabili. Se devo riassumere in poche parole, non mi hanno convinto: 1) le riflessioni estemporanee di Lagioia sui ragazzi di periferia e i loro corpi 2) la storia del turista olandese 3) tutte queste evocazioni retoriche del "male".
Ciò detto, Lagioia scrive bene e l'omicidio Varani è agghiacciante, però questo libro è un po' un'occasione sprecata, si sarebbe potuto produrre delle riflessioni un po' più profonde e significative.
Non solo true crime, qua dentro ci sono tutti i motivi per cui ho sempre sostenuto che Roma sarebbe l’unica megalopoli in cui vivrei. Nonostante tutto.
La città dei vivi di Nicola Lagioia (Einaudi) è un libro che si divora, nonostante la mole, in pochissimo tempo. Complice la scrittura calda e avvolgente di Lagioia e la storia, terrificante e tristemente coinvolgente.
La città dei vivi è un libro per gli appassionati di cronaca nera. Lagioia riscostruisce il delitto commesso da Manuel Foffo e Marco Prato che nel marzo 2016 hanno torturato per ore, e poi ucciso, Luca Varani.
Un delitto sconvolgente, più di altri, perché praticamente senza movente. Farò un po' di fatica a raccontarvi questo romanzo, che romanzo non è, perché non vorrei dirvi troppo e al tempo stesso non vorrei lasciarvi insoddisfatti.
Ho sempre avuto una passione per la cronaca nera, lo so detta così è una frase bruttissima, tanto da non essermi persa nemmeno una puntata di Blu Notte con Carlo Lucarelli. Certo, lì si parlava di misteri irrisolti, si facevano congetture, ipotesi. Ne la città dei vivi tutto sembra già certo: due ragazzi si chiudono in casa e fatti di cocaina ed alcool uccidono un altro ragazzo. Non ci sono piste da seguire, prove da analizzare per risalire ad un colpevole... eppure, paradossalmente nulla è chiaro in questa storia.
Manuel e Marco (che impressione chiamarli solo con il nome di battesimo come se fossero due personaggi qualunque di un libro) rovinano la propria vita senza alcun motivo. Ed in quel nulla che si inserisce la penna e la mente di Lagioia.
Attenzione, non sto dicendo che altri delitti siano giustificati ma riuscire a comprendere le cause che hanno portato qualcuno a mettere fine alla vita di un altro, non restituisce senso a un dramma ma almeno lo spiega.
Quando Manuel racconta al padre di aver ucciso una persona confessa anche di non sapere chi sia. Manuel non conosce nemmeno il nome di Luca ed è questo l'abisso in cui ci fa precipitare La città dei vivi. RECENSIONE COMPLETA: www.lalettricecontrocorrente.it
I'm a fan of true crime novels. So given the opportunity to read and review City of the Living, I jumped at the chance. Unfortunately, this novel was a miss for me. Somehow, I think I expected something along the lines of Helter Skelter or similar. But that didn't happen.
I believe that some things got lost in translation since the flow was a little haphazard and really nothing exciting occurs except for some tedious interrogations.
Maybe I'll try reading it again someday to see if my assessment changes. But for now, it's a one star DNF at 34% completion.
I received a DRC from Europa Editions through Edelweiss The review herein is completely my own and contains my honest thoughts and opinions.