"I sogni, soprattutto se molto belli, sono poco attendibili. E i risvegli possono essere bruschi."
La protagonista di questo romanzo è una donna spiritosa, che vive intensamente e che pro-prio per questo ha imparato che i sogni, e tra questi l'amore, riservano tante gioie quante de-lusioni e che bisogna maneggiarli con cautela. Lei, per esempio, sta attraversando un mo-mento le sembra che il suo lavoro, la sua casa, il suo stesso corpo non le somiglino più e le app di dating o i consigli del chirurgo estetico hanno l'aspetto inquietante delle illu-sioni.
Ma il destino ha in serbo una l'acidissima zia Laura, che l'ha sempre cordial-mente detestata, decide di lasciarle in eredità una grande casa appollaiata su un terraz-zamento ligure che digrada verso il mare, e anche il denaro per ristrutturarla. Sembra un sogno, ma non lo è: e riserva nuovi colpi di scena. Inizia così un tempo di pratiche edilizie, di sconfortanti e-mail dell'ingegner Non si può fare, e soprattutto di traslochi più o meno tempo-ranei, in appartamenti più o meno accoglienti ma tutti capaci di portare con sé nuovi incontri rivelatori, di insegnarle che cosa serve per sentirsi davvero a casa.
Lia Piano scrive un romanzo incantevole, malinconico ed esilarante, che nel raccontarci le fasi di una ristrutturazione ci parla della cura del cuore umano , e seguendo la sua prota-gonista alle prese con le difficoltà della vita ci ricorda che spesso è necessario perdersi per potersi ritrovare.
"L'arte di perdersi. Storia dei miei traslochi" di Lia Piano è la ricostruzione, a tratti dolorosa, a tratti esilarante della vita di una protagonista stanca, disillusa e un po' cinica. Se è vero che i capelli trattengono i ricordi, a maggior ragione lo stesso vale per le case che abbiamo abitato. Lo sa molto bene Lia Piano che nel suo romanzo fa vivere ai lettori una doppia esperienza: la ristrutturazione di una casa non può avvenire senza la rinascita di una persona.
"L'unico modo di conoscere davvero una casa è farle un'improvvisata. Entrare di soppiatto, chiudersi velocemente la porta alle spalle, non darle il tempo di prepararsi, farle "Buh". Comincia proprio così "L'arte di perdersi" e fin dalle prime righe il lettore capirà che no, Piano non sta parlando soltanto di case. Tutto comincia con una raccomandata ritirata e poi dimenticata in fondo alla borsa...
Tra le fortune più preziose che possono capitarci nel corso della vita, c’è quella di incontrare persone che si rivelano “casa”, facendoci sentire accolte e avvolte, cullate e coccolate, al sicuro e lontane da giudizi e obblighi a cui invece siamo esposti fuori dalle nostre mura. Persone che ci rallegrano l’umore solo a guardarle, di cui a nostra volta ci prendiamo cura come faremmo con noi stessi, se non di più, e questa fortuna, non meno importante, può comprendere le stesse sensazioni quando ci rendiamo conto di abitare in una casa che ci fa sentire così. Quella in cui nasciamo, non è di certo quella che scegliamo infatti e non è scontato ci piaccia, non perché magari è piccola o arredata male, ma perché ne abbiamo un ricordo faticoso, magari segnato da un’infanzia non serena, che ha reso quel contesto, un posto in cui sognare di liberarcene il più presto possibile. Solo molto tempo dopo, crescendo e cercando di realizzare il nostro futuro al di fuori del “nido”, possiamo aspirare a creare per noi, un posto che rispecchi chi nel frattempo siamo diventati e facendo si che cosa ci circonda, non sia solamente quello che vogliamo vedere ogni giorno, ma anche quello a cui siamo felici di tornare, quando ce ne allontaniamo. Un po' il desiderio di tutta una vita, sposare il luogo in cui vive, che riguarda la protagonista del nuovo romanzo di Lia Piano, “L’arte di perdersi. Storia dei miei traslochi”. Un titolo che fa immaginare una storia mobile, sia dal punto di vista pratico che mentale (quale trasloco si svolge nella calma e nella tranquillità?) e che ci fa conoscere, attraverso una carrellata di ricordi che riguardano le tante case occupate nella sua vita, le vicende spassose e al contempo profonde, di un personaggio che conquista il cuore del lettore ad ogni pagina. Continua, leggi su: https://librangolo.altervista.org/l-a...
Lia Piano racconta con ironia e tenerezza la vita di una donna di cinquant’anni che, tra traslochi reali e simbolici, cerca un posto dove sentirsi finalmente a casa.
Una frase di un ex la costringe a fare i conti con il tempo che passa, ma anche con il modo in cui ci vediamo — e veniamo visti — dagli altri.
Tra amori finiti, app di incontri, madri da accudire e case da rimettere in piedi, Piano costruisce un romanzo leggero e profondo, che parla di rinascita, memoria e piccole imperfezioni quotidiane in cui tutti possiamo riconoscerci.
In effetti un po' dell'arte di perdersi me la sono sentita addosso. Siamo talmente immersi nel mare emotivo della protagonista che le persone che la circondano diventano inconsistenti, comparse a pagamento decantanti copioni scontati e scadenti, e il disorientamento aumenta al variare repentino degli scenari da una pagina all'altra. Il vero traino del libro è la verve ironica che lo contraddistingue, il necessario giro di boa che rivaluta la narrazione a passatempo post-prandiale ideale.
Interessante, letto quasi d'un fiato, molto scorrevole e simpatico. Mi è piaciuta molto la coralità della scena finale, ma anche la delicatezza con cui viene descritto il rapporto con la madre, soprattutto alla fine del libro.