Silvia, bella e fragile, è una ragazza che esplode di vitalità e non chiede altro che di essere amata. Un giorno, dopo un bacio rubato e una festa in terrazza, scopre un insulto rivolto a lei nei bagni della scuola.
Quella parola, quel Fatto, la scalfiscono in modo indelebile, insinuandosi nelle pieghe di una personalità ancora acerba e condizionando per sempre la sua affettività e la sua vita. A riaprire la ferita, vent’anni dopo, il classico invito a una cena di classe per “ritrovarsi”.
La vergogna riaffiora e la paralizza: che fare? Sottrarsi? O far fronte all’ingiustificata crudeltà dei compagni che ancora le brucia?
Saranno i suoi maestri invisibili a consigliarla prendendola per mano; le voci di Joan Didion, Annie Ernaux, James Baldwin e molti altri guideranno la protagonista nel labirinto della memoria aiutandola a decifrare i suoi meccanismi misteriosi: quanto, infatti, i nostri ricordi possono essere distorti o alterati dal rancore e dalla solitudine?
E perché si ama e poi non si ama più? Un diario di viaggio tenero e feroce lungo il sentiero che conduce dal nostro io bambino alla vita adulta.
Spesso mi ritrovo a pensare alla me di qualche anno fa, a volte con nostalgia altre con insofferenza. Tu che torni sempre, le chiedo, cosa cerchi? E cosa dovrei farci io adesso con questo carico di ricordi probabilmente ormai alterati dal tempo? In poco le mie piccole certezze crollarono e con loro smantellata la vita che pensavo di stare costruendo. Quel periodo fu una porta che attraversai inaspettatamente e dopo cui nulla è stato più come prima. Faccio questa breve introduzione personale perchè la lettura di “L’ultima volta che sono stata lei” è stata per me un’esperienza intima, che ha risuonato in più punti. La storia è quella di Silvia e della sua ferita, un trauma adolescenziale destinato a diventare uno spartiacque esistenziale. Ricostruirsi, quindi, fuggendo da luoghi, persone e soprattutto da sé stessi per poi prendere a studiarsi a distanza e capirsi anche attraverso le pagine di chi si è sentito uno straniero prima che succedesse a noi. Susan Sontag, Viginia Woolf, Jeanette Winterson, Annie Ernaux, Joan Didion, James Baldwin sono alcuni degli autori citati attraverso i quali orientarsi e confrontarsi nella vita. Perchè è vero che quando non sappiamo dove sbattere la testa la letteratura viene sempre in soccorso, come questo libro che rientra da oggi nell’elenco delle letture con le quali sono riuscita ad avere un bellissimo dialogo. Leggere la storia di Silvia è stato infatti come parlare con un’amica che potesse comprendere un mio stato d’animo e la condizione del doppio sé, portandomi a ragionare sulla frattura con il mio mondo di un tempo che è un po’ la mia spina nel fianco (e forse lo sarà sempre?). L’analisi che la Pelizzari fa del proprio trascorso è incredibilmente onesta: una tale vulnerabilità in un libro è qualcosa che mi commuove sempre e mi fa pensare al privilegio del lettore che può interiorizzare questi pezzi di esistenza per espanderne la propria. Perchè se è vero che si scrive per capire sé stessi, altrettanto succede quando si legge. Interessantissima l’analisi che il memoir contiene sui ricordi e sull’attendibilità della memoria e di come questa sia soggetta a distorsioni che determinano talvolta il nostro percorso. Libro breve e intenso a cui volere un gran bene.
Leggere questo romanzo é stato come dare, per quella che forse è la prima volta, una voce a tanti miei pensieri sia molto lontani, appartenenti a una vecchia versione di me, ma anche attuali. Ringrazio Silvia perché, raccontandosi e analizzandosi con estrema lucidità, partendo dal suo trauma fino ad oggi, mi ha permesso di arricchire la mia coscienza , facendomi sentire meno sola in quello che è senza dubbio il percorso più difficile che sto affrontando da anni, ovvero quello della ricostruzione della propria identità.
Che la Pelizzari fosse molto brava lo avevo già capito dal Podcast "Tiresia" che riesce ad avvicinare alla letteratura queer anche persone che tendenzialmente non leggono letteratura di genere. Questo primo romanzo è un punto fermo che l'ha cambiata dal punto di vista della sua persona e dei suoi conti con il passato, ma anche come scrittrice: nell'intervista rilasciata alla libreria Ubik dove l'ho ascoltata, ha raccontato di essersi 'sbloccata' e aver cominciato a scrivere grazie a questo romanzo. Sicuramente ricorda "Memoria di ragazza" della Ernaux, ma è interessante leggere una storia simile ambientata in tempi moderni. E' un romanzo-saggio che contiene molti spunti e molti temi: è sicuramente un libro sulla difficile fase della pre-adolescenza, sulla costruzione della propria identità, su come si sia vulnerabili e condizionati dagli altri e spesso il giudizio degli altri condizioni tantissimo la nostra identità futura. Ma è anche un libro onesto sull'interrogarsi con lucidità, da adulti, e dopo analisi terapeutica, sulla ferita narcisistica che ci ha provocato così tanto dolore. Era davvero tutto così terribile? Sono stata solo vittima o posso essere anche stata carnefice? E infine il ruolo della memoria, che accentua dettagli da altre persone poi dimenticati, e ne resetta altri. Il tutto legato insieme dall'evento di una cena dei 40enni che diventerà un modo per riflettere su sé e sul proprio centro, provando a spostare lo sguardo e il punto di vista, non immaginandosi più al centro dell'attenzione, ma parte di una serie di storie individuali probabilmente simili, e guardarsi finalmente prendendo un po' le distanze e senza più giudizi.