Kostya ha dieci anni quando si mette in viaggio per arrivare dalla nonna Irina, domestica a Napoli. Nello zaino, la foto di una madre mai conosciuta e un indirizzo. Suo padre è al fronte per difendere l'Ucraina appena invasa. Tra soldati che cercano di bloccarlo al confine e sconosciute che gli dànno una mano, il bambino riesce ad arrivare. Vita, la signora per cui la nonna lavora, lo scopre addormentato sullo zerbino. Quattro anni fa lei ha perso suo figlio e ora passa le giornate da sola, o con Irina, che ha letto Dante e parla italiano come un poeta del Duecento. Il piccolo ospite inatteso la costringe di nuovo in quel ruolo che il destino le ha tolto. Poi, quando il padre di Kostya è dato per disperso, Irina torna nel suo Paese a cercarlo. D'impulso, Vita decide di raggiungerla, per aiutarla. Tentare di salvare un altro, del resto, è l'unico modo per salvare noi stessi.
Viola Ardone è laureata in Lettere e ha lavorato per alcuni anni nell'editoria. Autrice di varie pubblicazioni, insegna latino e italiano nei licei. Fra i suoi romanzi ricordiamo: La ricetta del cuore in subbuglio (2013) e Una rivoluzione sentimentale (2016) entrambi editi da Salani.
Nonostante mi sia piaciuto e l’abbia letto parecchio volentieri, il romanzo ha molti difetti a mio parere; la parte centrale è un po’ troppo prolissa e il finale non è pienamente convincente. I personaggi sono alquanto stereotipati, soprattutto gli uomini ucraini, la rappresentazione che se ne è data, ovvero sostanzialmente quella di fannulloni e ubriaconi, mi ha un po’ offesa anche se non ne capisco fino in fondo le ragioni.
Vita Mezzanotte è una donna provata dagli eventi della sua esistenza, se ne comprendono i motivi, tuttavia in base alla profonda depressione dalla quale è afflitta e alla quale ha addirittura dato un nome, mi è sembrato poco verosimile che la questione fosse risolta in quattro balletti, per non parlare dell’orrida e incomprensibile storia d’amore finale che per carità di patria non è stata approfondita (ma allora perché inserirla mi chiedo).
Anche la vicenda del bambino Kostya non mi ha convinta del tutto, la sua storia è molto forzata, poco spiegata nei dettagli tecnici del viaggio dal Donbass in guerra a Napoli, a soli 10 anni. Che non ci sia stato un adulto che sia uno a questionare la faccenda mi pare assurdo, e mi ha infastidito non poco. Francamente sul tema “bambini e guerra” mi è parso molto più credibile ed aderente alla realtà dei fatti così come si sono svolti “io che mi limitavo ad amare te” della Postorino, che racconta un’altra guerra - l’assedio di Sarajevo. Il punto è un po’ questo: se scegli di ambientare il tuo romanzo in un conflitto realmente esistito, tuttora in corso, lo devi circostanziare. Altrimenti mi fa un po’ imbestialire che tu abbia scelto il binomio Guerra in Ucraina + Covid per far leva sul lato emotivo che questi due eventi così segnanti hanno avuto nella coscienza tanto recente dei lettori; mi fa pensare a una trovata commerciale e non mi piace affatto.
Dei tre personaggi centrali solo Irina, la domestica che ama Dante e ha studiato filosofia all’università mi ha convinta e commossa. Penso che la sua storia sia quella di tante, troppe donne che vengono dall’est a pulirci la casa e a badare ai nostri anziani, e che noi guardiamo senza vederle, senza pensare che forse avevano altre aspirazioni e che noi siamo troppo fortunate da poterci permettere la depressione mentre loro hanno letteralmente la guerra in casa ma continuano a spazzare i pavimenti. Il suo personaggio salva il libro.
In definitiva confermo il mio rapporto conflittuale con la Ardone, ho letto tutti i suoi libri e continuerò a farlo, ma purtroppo resto quasi sempre tiepida, mi piace come scrive, usa delle belle frasi, ma non mi fa mai innamorare. Diciamo che la vedo più come un’amica 😂
«Provo a chiamare per sentire ancora la sua voce, ma la linea è staccata, da quando c'è stata l'invasione tutto è diventato difficile. Gli mando anche io un vocale. Sta andando alla grande, gli dico, hai fatto bene a fidarti di me. Premo invio e un secondo dopo cancello. Non è vero che sta andando alla grande, anzi è tutto sbagliato, la notte, il freddo, le strade deserte, i gatti sperduti. Mando un pollice alzato, cosí almeno si preoccupa ma soltanto un po'. Aspetto la sua risposta, sullo schermo appare una sola spunta grigia. Io pure ho una sola spunta grigia, sono partito e non arrivato, perso nel posto segreto dove aspettano i messaggi in attesa, su un cloud solitario o in un fiocco di neve che non si è ancora posato. Non mi resta che seguire i pallini blu del navigatore come sassolini lasciati dal mio Tato apposta per me, ma sulla mappa ogni cosa sembra vicina, la vita fuori dallo schermo è troppo grande per tutti.».
5 ⭐️ Kostya è nato con la guerra e dalla guerra sta cercando di scappare. Abbandonato dalla madre e con il padre che decide di partire per il fronte, a soli dieci anni, da solo e con uno zainetto sulle spalle, parte da Mariupol per passare il confine ed entrare in Europa. Ultima fermata: Napoli, dove abita la sua “Babusia”, la nonna, tutto ciò che gli resta. Vita, invece, è depressa, ha perso il figlio quattro anni fa, non le importa più di prendersi cura di sé stessa tant’è che tenta il suicidio. Parla al figlio come se fosse lì, lo chiama Cicú. Vive da sola, a parte Irina che viene tre volte a sistemare la casa, e forse sistemare anche lei. Irina parla un italiano poetico: ha letto Dante al posto di un dizionario. Una mattina bussano alla porta e Vita trova il piccolo Kostya, come portato da una cicogna, che cerca la nonna ucraina. Irina è partita all’alba per andare a cercare suo figlio, non ha lasciato messaggi. Solo il piccolo Kostya a casa di Vita. Per lei quel bambino è una scintilla che riaccende ricordi. Ma si riaccende anche lei e parte per aiutare Irina nel Paese di guerra. Si parla di guerra, di abbandono e di morte. Ma si parla anche di amore: verso il prossimo, verso un figlio, un nipote, una nonna. Questo libro però ci ricorda che “c’è tanta ancora vita” e che solo salvando un altro si salva sè stessi. L’ho finito commossa.
L’ho accolto come si accolgono le cose in cui si ripone la fiducia di una gioia certa, una bambina che scarta il suo pacco il giorno di Natale. E dirmi delusa sarebbe eccessivo. Non sono delusa, è un buon romanzo, forse un ottimo romanzo. Ma viene dopo altri romanzi che mi avevano lasciata senza fiato dallla meraviglia, e questo non mi ha fatto lo stesso effetto. La prima parte sì, comincia bene, la storia è forte, gli incastri solidi, il terreno familiare, ti sembra di entrare in una casa progettata da un’architetta che ami e riconosci e dici, ce l’ha fatta anche stavolta, le è riuscito anche stavolta il miracolo di parlare degli ultimi e renderli essenziali, universali. E lo fa, la Ardone, in effetti, anche stavolta. Ma la seconda parte del romanzo tiene peggio, si sgretola un po’, perde credibilità. Si inoltra nella guerra dove si perde, le sfuggono i fili forti che avevano tenuto insieme la storia delle persone, la Storia grande non lo fa, non lo può fare. Le pagine finali sono splendide, riagguantano in parte quei fili e riscattano alcuni capitoli a mio avviso più deboli. Ma resta la sensazione di un’occasione non del tutto colta da quella che considero la migliore romanziera italiana contemporanea.
2,5 ⭐️ Primo approccio a questa autrice così nominata e consigliata. Purtroppo sono molto delusa. Gli argomenti trattati sono moltissimi e sono davvero seri, importanti, forti. Peccato però che il romanzo sia un continuo di frasi pesanti, costruite apposta con meticolosità per colpire, ripetizioni a non finire che interrompono la già lenta narrazione. La cosa che più non mi è piaciuta è che non c’è niente di spontaneo in questo testo, è tutto calcolato e studiato per sconvolgere e commuovere. Tutto troppo. Questo continuo “piangersi addosso”, invece di emozionarmi, soprattutto di fronte a certi temi così delicati, mi ha molto infastidita e questa esagerazione è diventata troppo alla fine. Finale poi molto tiepido, tirato via
Viola Ardone si riconferma una scrittrice straordinaria, che con brevi e poetiche frase riesce a scavare nell'animo più profondo. Ancora una volta c'è il punto di vista di un bambino, ma intrecciato con quello di una madre e di una nonna. Scelta assoluta azzeccata. Delle ultime 50 pagine avrei sottolineato tutto. Perché storie come questa invitano a non dimenticare. Anzi, a ricordare che siamo tutti umani (e, in parte, straordinari).
Emozionante . La vita di Vita che convive con la sua depressione che lei chiama Orietta , le avventure del piccolo Kostja che in un’Ucraina sferzata dalla guerra , viene messo su un pullman dal padre , diretto in Italia , dove lavora la nonna Irina, governante presso la signora Vita . Storie di vita e di guerra , di emozioni e anche crudeltà . Bello bello, mi è piaciuto tanto . A tratti mi ha strappato qualche sorriso
“La vita si spegne a partire dagli occhi, il tempo la graffia con i suoi rintocchi, ogni parola che non abbiamo detto rimane sospesa sotto lo stesso tetto. Ma quando il cielo si frantuma e cade, ritroverai i miei passi sopra queste strade. Nella danza leggera delle morte foglie, io sarò il vento che poi le raccoglie. Ho lasciato segni che non puoi vedere, e sogni trasparenti come cristalliere. La vita ci dà, la vita ci toglie, io sarò il vento che poi ti raccoglie.”
Viola Ardone è tornata in libreria con “Tanta ancora Vita”.
Stavolta il suo sguardo si posa sul dramma della guerra in Ucraina, con storie personali di perdita e rinascita, creando un mosaico emotivo di grande profondità.
Il protagonista è Kostya, un bambino di dieci anni che fugge dal conflitto, per raggiungere la nonna Irina a Napoli, portando con sé solo una foto della madre mai conosciuta e un indirizzo. Qui incontra Vita, una donna segnata dalla morte del figlio quattro anni prima, che ritrova in sé un barlume di maternità perduta grazie all’arrivo inaspettato del piccolo.
“Non avevo capito allora, Cicú, cosa volesse dire, adesso sí. Posso dire la stessa cosa anch’io: Vita non c’è piú, Vita si è persa. E non l’ho persa quando te ne sei andato ma a poco a poco, fino a quando completare il puzzle non è diventato impossibile, perché non si vede piú neanche il disegno iniziale. Deve essere la forma di depressione di cui parla Pirozzi: una mano invisibile che ogni giorno nasconde un pezzo.”
Attraverso voci alternate – quelle di Kostya, Vita e Irina – Viola Ardone esplora temi universali come il dolore della separazione, la resilienza umana e il potere curativo dei legami improvvisi. La prosa è fluida e poetica, capace di alternare momenti di tenerezza infantile a riflessioni profonde sulla solitudine e sulla speranza. Il contesto bellico non è solo sfondo, ma catalizzatore per interrogarsi su come salvare gli altri significhi spesso salvare se stessi,
“Questo fanno i bambini alle persone. Le sincronizzano sul tempo dell’amore.”
Un romanzo meno forte, secondo me, de “Il treno dei bambini” e di “Olivia Denaro”, ma che comunque merita.
“Vita per vita, figlio per figlio. È giusto, non è giusto, non me lo chiedo piú. Solo salvando un altro si salva anche sé stessi.”
Kostya è un bambino di quasi 10 anni in fuga verso l'Italia in quanto nel suo paese, in Ucraina, imperversa la guerra. La madre non l'ha mai conosciuta ed il padre Roman, uno spendaccione nullafacente che vive grazie ai soldi della madre Irina, governante in una famiglia di Napoli, si arruola come volontario. Kostya, non senza difficoltà, raggiunge la propria destinazione a casa della signora Vita Mezzanotte, un'insegnante lasciata dal marito e alle prese con una forte depressione per una recente perdita.
È un romanzo che affronta temi delicati, dall'attuale guerra in Ucraina a quella interiore dominata dalla solitudine e dalla depressione, dalla perdita alla rinascita ed alla salvezza personale che si attua salvando gli altri. L'autrice Viola Ardone decide di affidare il suo racconto a ben tre voci narranti in prima persona, che si alternano e permettono di spaziare tra ruoli e generazioni diverse. Il tutto è sempre molto intimo ed i sentimenti dei vari personaggi vengono ben scandagliati in profondità. Il libro si apre con Kostya, il personaggio più piccolo ed innocente, un bambino con gli stessi interessi e desideri di tutti i bambini, chiamato però a crescere anzitempo, ad affrontare paure, nostalgie, abbandoni che lo fanno sentire solo, lui che ha tanto amore da dare e ne vorrebbe solo un po'. Poi c'è Vita, una donna distrutta, che dà un nome alla depressione che la abbatte ogni giorno, incapace di risollevarsi ed affrontare un dolore troppo grande ma che finalmente si riscopre madre e rinasce dalla propria cenere. Infine c'è Irina, una donna ucraina, amante del sapere e capace di battute esilaranti, che ha dovuto fare affidamento esclusivamente sulle proprie forze per sostenere la famiglia. Una donna delle pulizie che, come succede a tante straniere, sono come la polvere, invisibili perché nessuno dà loro importanza, ma che si annidano ovunque e silenziosamente, cogliendo molte più cose dei padroni che non il contrario. La scrittura è sempre intensa, ricca di similitudini significative, con frasi che toccano le corde dell'anima. Ho trovato davvero molto poetiche le presunte frasi delle canzoni del figlio di Vita. Vi sono diversi salti temporali, per rievocare innumerevoli ed indelebili ricordi, spesso elencati a mo' di flash, con tante istantanee che affollano la mente ed il cuore. L'autrice ben descrive la pena che deriva dalla guerra, con i suoi orrori, le sue scene di distruzione e le terribili conseguenze. Ma ancora meglio il dolore affrontato dai suoi personaggi, con un riguardo particolare al tema della perdita e del ruolo di madre, che accomuna qualsiasi donna che antepone il bene dei figli al proprio. Ma anche la sofferenza di un bambino di fronte alle bugie di un adulto che, pensando di evitare un dolore, ne crea uno più grande. Molto significativa anche l'immagine del pappagallino che raggiunge la pace solo trovando la sua inseparabile compagna. Non manca poi una precisa ambientazione storica, tra la guerra in Ucraina ed il post covid in Italia. Come in ogni suo romanzo, anche in questo la Ardone richiama un personaggio del libro precedente, anche se per una brevissima comparsa: lo psichiatra Fausto Meraviglia. Vi sono anche dei colpi di scena, in cui l'autrice è bravissima a far credere una cosa per poi mostrarla per come realmente è, perché spesso la fantasia aiuta a fuggire da una realtà troppo dolorosa. Sicuramente una bella lettura, anche se non l'ho trovata così incisiva come le precedenti. Vi sono dei difetti: dei personaggi maschili troppo negativi e stereotipati, delle comparse significative che si perdono per strada, un epilogo un po' riduttivo ed evanescente. Ma non si può non amare la scrittura di questa autrice ed il messaggio di speranza e di rinascita, da un dolore insormontabile che pian piano si supera, insieme, perché sotto quel dolore c'è tanta ancora vita...
Tanta ancora vita è l'ultimo romanzo di Viola Ardone e, visto che avevo amato molto i primi tre, non potevo non recuperarlo.
Un romanzo corale nel quale si intrecciano diverse voci e dove non cambia mai lo sfondo della g*erra. La prima che conosciamo è Kostya; un piccolo adulto che, grazie all'incoraggiamento del padre, scappa dal suo paese per raggiungere sua nonna Irina in Italia. Non c'è una preparazione per il lettore perchè si è subito catapultati nel centro della storia e nella drammaticità di una g*erra che porta via vite e sogni. E poi c'è Irina che lavora come governante da Vita, una donna che combatte anche lei una guerra personale contro la depressione che lei stessa chiama Orietta. Tanta ancora vita è romanzo attuale che ripercorre temi carissimi all'autrice: quello della memoria storica e della salute mentale. Eppure questo romanzo mi ha trascinato meno: ho notato una distanza ( sicuramente voluta) tra la storia e il lettore. Detto questo, Viola Ardone è capace di scandagliare la Storia, quella collettiva , e quella personale, dimostrando quanto ognuno di noi combatta una guerra personale ogni giorno.
4.5 stelline per questo romanzo. Ne ho divorato i primi due terzi, immergendomi completamente nelle storie personali e nell'incontro che avviene tra Kostya, Irina e Vita, tre persone spezzate per motivi differenti ma che grazie al loro trovarsi si salvano a vicenda. Ho apprezzato meno invece l'ultima parte del racconto, dove a mio avviso la storia tende a disgregarsi e non ha più il collante delle parti precedenti. È un libro da leggere, perchè ambientato durante la guerra tra Ucraina e Russia. È un libro necessario di questi tempi.
Purtroppo per me è stato un grande no. L’ho trovato estremamente retorico, i personaggi stereotipati e la sequenza degli eventi davvero inverosimile già dalle prime pagine. Le numerose frasi ad effetto, invece di dare profondità, aumetano la sensazione di un testo artificioso e non all’altezza dei precedenti e indimenticabili romanzi di questa autrice.
Un passo indietro rispetto a Oliva Denaro, ma ancora una volta un libro di forti sentimenti, di quelli che stanno dentro a covare e che solo attraverso l’affetto dato e ricevuto riescono ad emergere. Vita è personaggio difficile, scostante, riottoso alla vita e dolente, fino a quando non esplode prendendo per mano il bambino con una dolcezza che solo una madre (o una donna materna) sa dare. Ma io ho amato molto di più Irina, forse perché con pochi tratti la Ardone è riuscita a completare un personaggio di grande umanità. Non è la storia in sé ad avermi fatto apprezzare questo libro (ed infatti a causa di una storia poco convincente non ho dato la quinta stella), ma sono stati i personaggi ed i loro pensieri, dai più semplici ai più complessi ad essermi entrati dentro. Anche Massimo Mezzanotte, solo apparentemente marginale.
Viola Ardone è tornata con un romanzo a tre voci, emotivamente travolgente, crudo ma anche confortante e pieno di speranza. Con una scrittura incisiva e chiara l'autrice esplora con la delicatezza che la contraddistingue le vite di Kostya, Vita e Irina toccando tematiche attuali fra cui la sindome depressiva e le conseguenze del conflitto russo-ucraino. Ritengo Ardone una delle migliori autrici italiane di narrativa contemporanea soprattutto in ambito storico e sociale. Ha la capacità di raccontare l'animo umano, le sue fragilità e contraddizioni con un linguaggio semplice ma intenso. Le sue donne sono fragili ma anche coraggiose e si è portati ad amarle per la loro unicità. Aspettavo questo libro e non mi ha delusa. Lettura assolutamente consigliata.
Ardone non mi ha ancora mai delusa. Una storia bellissima, in cui due persone si salvano a vicenda. Vita soffre di depressione e Kostya è un bimbo di 10 anni che, fuggendo dalla guerra in Ucraina, le piomba in casa all'improvviso. Kostya è nipote di Irina, domestica in casa di Vita, la quale dovrà continuare a lavorare prendendosi anche cura del bambino. Vita, dal canto suo, raramente riesce ad alzarsi dal letto senza che la sua depressione le schiacci forte il petto costringendola a tornare in posizione orizzontale, nel buio della sua stanza. Kostya, con la sua intelligenza, la sua voglia di imparare e i suoi bisogni di bambino, le tenderà la manina. Non vi dico cosa succede, dovete leggere questo romanzo e recuperare gli altri tre.
Avevo grandi aspettative per Tanta ancora vita, perché Viola Ardone ci ha regalato libri straordinari come Il treno dei bambini e Oliva Denaro.
Il romanzo parte bene: la storia è promettente, i personaggi convincono e l’inizio è solido. Tuttavia, la parte centrale si perde un po’: con il ritorno in Ucraina la storia si indebolisce e perde credibilità.
Anche la rappresentazione di praticamente tutti gli uomini ucraini descritti l'ho trovata molto stereotipata: maschi ubriaconi, traditori e fannulloni che vivono alla giornata sulle spalle di mogli e madri instancabili.
Fortunatamente il finale restituisce parte della forza iniziale ed è una conclusione molto tenera che non scade nel melenso, perfettamente in linea con lo stile dell'autrice
Lo stile resta sempre quello riconoscibile di Ardone, ma nel complesso ho trovato questo libro meno incisivo rispetto agli altri lavori dell’autrice.
Non è un brutto romanzo, ma un piccolo passo indietro rispetto ai suoi capolavori precedenti.
Un capolavoro. La storia di Vita, una madre che ha perso un figlio, di Irina , una donna ucraina che ha il figlio in guerra, di Kostya, un bambino che scappa dalla guerra, di un ritorno che pare impossibile da portare a termine. Su tutto il personaggio di Orietta, la depressione che come un animale si appollaia sul petto di Vita e la schiaccia da 4 anni, da quando il figlio è morto e poi il marito giornalista l’ha lasciata per ricominciare a vivere. Viola Ardone ha di nuovo fatto centro, bravissima!
Non mi ha convinta al 100%, brevemente i motivi: - non mi sono affezionata alle voci narranti, nonostante le delicate storie di ciascuna, forse anche per il linguaggio scelto dell’Ardone. - ho trovato che, passata la primissima parte, ci sia una lunga fase di stallo, abbastanza ripetitiva, in cui succede poco o nulla e in cui la storia rimane ferma; ció non mi invogliava più di un tanto a proseguire. - la parte finale carina, ma per me non salva la fase di stallo che è decisamente più lunga.
Sicuramente il libro dell’Ardone che mi è piaciuto meno.
Credo che questo sarà uno dei post più tristi dell’anno, perché avrei voluto scrivere qualcosa di completamente diverso.
Ho amato ogni libro di Viola Ardone. È una delle mie autrici preferite. Con lei ho fatto una live su IG, sono andata a una sua presentazione a Foggia con @miss_sheperd12, e l���ho incontrata anche all’ultimo SALTO.
Appena ho saputo della pubblicazione di Tanta ancora vita, ho organizzato un GDL per condividerne la lettura con altre persone.
Ma qualcosa è successo. O meglio: mi è successo. La scintilla non è scattata. Ero abituata alle sue storie intense e commoventi, ma con questo romanzo qualcosa non ha funzionato (in me).
Ambientato tra Napoli e l’Ucraina in guerra, il libro intreccia le vite di tre personaggi segnati dal dolore: Vita, una donna depressa per la perdita del figlio; Irina, domestica ucraina; e Kostya, un bambino in fuga dalla guerra.
Nonostante le premesse forti e attuali, la narrazione mi è sembrata troppo costruita, quasi forzata nel voler commuovere a tutti i costi. I personaggi, seppur ben delineati, sembravano muoversi più per necessità narrativa che per autenticità emotiva. Vita, in particolare, mi è apparsa come una figura stereotipata della donna fragile, e la sua evoluzione poco credibile.
Il tema della guerra è trattato con sensibilità, ma senza profondità: si resta in superficie, tra frasi ad effetto e situazioni drammatiche che non lasciano il segno. Anche lo stile, solitamente uno dei punti di forza di Viola (che ho sempre ammirato alla follia), qui appare retorico e ridondante, con dialoghi che cercano la poesia ma inciampano nella teatralità.
Tanta ancora vita nasce con l’ambizione di toccare il cuore, ma il mio è rimasto lì, a battere nella speranza che nella prossima pagina, nel prossimo capitolo, la scintilla scattasse.
Viola Ardone riesce a trasformare le poesie in romanzi, le strofe diventano prosa senza che ci sia un vero e proprio distacco. Non ho idea di come ci riesca, ma le riesce proprio bene. Trasforma l’empatia in parole in maniera quasi disarmante perché ti porta a chiederti come sia possibile che ci riesca con questa semplicità. “Tanta ancora vita” prende ispirazione dai fatti che vedono l’Ucraina protagonista dal febbraio 2022, quando lo scontro con la Russia è diventato ancora più diretto. Kostya rappresenta tutti i bambini e giovani ragazzi che sono stati costretti a fuggire, trovandosi ad affrontare qualcosa di troppo grande da poter essere compreso appieno. Irina ha lasciato il suo paese per cercare di guadagnare qualche soldo in più da mandare alla famiglia. Anche lei si deve destreggiare tra la paura di non sapere dove si trovi il figlio, partito volontario per la guerra, e il senso di colpa per essere salva in un posto che tutto sommato sente come casa. Vita combatte ogni giorno con Orietta, la sua depressione, e trova un po’ di conforto solo stando nel suo letto con gli occhi chiusi, lontana da tutto e da tutti, perfino da Irina, che vede quasi ogni giorno e che tiene bene a distanza. Kostya, Irina e Vita sono legati in maniera indissolubile, ma questo lo scopriranno solo dopo, quando il coraggio batterà la paura e Orietta verrà mandata a farsi un giro. Con “Grande meraviglia” la Ardone mi aveva definitivamente conquistata, ma con questo nuovo romanzo mi ha fatta innamorare.
Ho letto questo libro in un gdl e nonostante la bellissima scrittura dell'autrice l'ho trovato noioso. Con pochissi stimoli ad andare avanti. I protagonisti di questo libro sono tre, Kostya, Vita e Irina, ma principalmente ho avuto il sentore che l'autrice volesse parlare del rapporto madre-figlio e della guerra in Ucraina. Koatya è un bambino che parte per andare dalla nonna, Irina, che vive in Italia perché il padre ha deciso di arruolarsi ed è quindi rimasto solo. Qui viene accolto da Vita, la datrice di lavoro di Irina che è affetta da una profonda tristezza e fa fatica ad alzarsi dal letto. L'arrivo di Kostya nella vita delle due donne darò modo a entrambe di fare qualcosa in più non solo per se stessi ma per gli altri. E quando il padre di Kostya scompare, Irina torna in patria seguita successivamente da Vita che trova un modo per affrontare la sua tristezza nel nuovo scopo che si è prefissata. Mi aspettavo tanto da questo libro e anche se la penna dell'autrice mi ha comunque spinto a continuare non sono riuscita a trovare un senso a tanti piccoli tasselli.
Mi piace lo stile dell’autrice nonostante abbia trovato questo libro meno all’altezza degli altri. Tre personaggi, quindi tre voci, si alternano nella narrazione: quella di Kostya, un bambino che sta lentamente perdendo la fiducia negli adulti, Vita, una donna che ha perso tutto e non sa come rialzarsi, infine c’è Irina, una donna che lavora in Italia e che manda parte del suo stipendio in Ucraina per aiutare il figlio.Molti i temi trattati: la guerra in Ucraina, quindi la fuga e l’arruolamento; il lavoro in un paese non tuo; la depressione. Forse per questo che non mi fa dare 5 stelle. Comunque un buon libro: toccante
Wowo! Una chicca come al solito. Un’autrice che sa catturare l’attenzione del lettore. Due donne e un bambino. La guerra in Ucraina e la decisione di scappare dalla nonna che abita a Napoli. Una donna che lavora per una signora malata. Una donna abbandonata dal marito e provata da un lutto grave, una donna con una compagna ingombrante: la depressione. Due donne che crescono e usano il viaggio come metafora della loro impresa personale. Bellissimi i riferimenti a personaggi che si trovano nei libri precedenti. Il finale non é scontato. Anzi!
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L’ho trovato (decisamente) meno coinvolgente ed emozionante rispetto a Il Treno dei Bambini. Ho trovato alcuni passaggi quasi inverosimili e ho fin pensato “è un libro per ragazzi”. I personaggi avvincenti: è stato bello conoscerli. Viola Ardone scrive molto bene e sicuramente leggerò anche gli altri due romanzi.