Imparare a contare fino a dieci può essere un gioco, un piccolo esercizio da condurre insieme alla mamma, a cinque anni nella spensieratezza della propria camera. Non è lo stesso se il gioco si trasforma in una pratica di sopravvivenza, per evitare i geloni alle dita nel freddo della spianata di Bergen-Belsen, in attesa dell’appello mattutino. Peter Lantos è ancora un bambino quando, insieme alla sua famiglia, viene prelevato dalla casa di Makó, in Ungheria, e rinchiuso prima nel ghetto della città e poi costretto a un lungo viaggio che lo condurrà al lager tedesco. Saranno gli americani a trarre Peter in salvo, ma lo stalinismo sovietico costringerà il ragazzo ad affrontare nuovamente gli stenti di una vita senza la piena libertà. Fuggito a Londra e divenuto adulto, Peter ripercorre le tappe del suo viaggio. Dopo anni trascorsi a studiare la mente umana come neurologo, non accetta che il ricordo di quei giorni sia per lui così confuso. Ma la ricostruzione è molto difficile: i testimoni stanno morendo, i luoghi hanno cambiato geografia e aspetto. Aggrappandosi a ogni indizio e risalendo alle origini di ogni traccia di passato, Peter ricompone i ricordi. Questo è per lui il modo di tenere viva la memoria del suo viaggio, e di restituirla a tutti noi.
When I lived two years in Germany, people hastened to welcome and offer hospitality, perhaps in an effort to compensate for the ghastly stories one heard and read of the Holocaust. To reassure that Germans are civilised and did not support the Third Reich but were mere pawns in a torrent of events beyond their control. It could have convinced me, but one thing always made me cringe; the sight of railway lines, yards and compartments. Which author Peter Lantos experienced all too close. I bought this book at a Writers' Festival as its author so impressed by his ability to turn drastic events of his childhood into a successful and productive life. This book is his rediscovery of events experienced as a Jewish child catapulted from a secure home in Hungary into the torrid Bergen-Belsen camp, where many died of starvation. A most telling page details the gourmet feast the adult author ate in Celle, before he wryly noted: 'After I rose from the table, I suddenly realised that it was not far from her that I had nearly died of starvation sixty years earlier.' This book is a triumph of the human spirit and a warning against similar acts of barbarity.
As a child during the Holocaust, Hungarian child Peter Lantos found himself on an "adventure" he never quite understood. His memoir, therefore, traced the confusion, fear and grief of his childhood journey against the historical research he gained as an adult, travelling back mentally and physically to Hungary, to Austria, to the deportations and, ultimately, to Bergen-Belsen, back to the events marked by the horror of the Nazi efforts to annihilate the Jews of Europe. Yet, it also traced Lantos's re-entry into the survivors' world from his liberation from the concentration camp through the years of Hungarian Communism and finally to Lantos's defection to Britain as a medical researcher. I appreciated the opportunity to read a personal account of the fate of Hungarian Jews during the Holocaust, a population that had been decimated in the very last months of the war in Europe.
Lantos did not pursue a strictly chronological structure, but rather followed a more realistic way of remembering, allowing his memories to flow back and forth through time rather than in a sequenced, historical timeline. I found this worked well in a personal memoir as it more credibly replicated how we store our memories and move between them, making associations in our present about our past when we review them from a distance. Most touching were the contacts and reunions Lantos enjoyed in later life with some of those whose kindnesses were instrumental in his survival and recovery. Overall this is an inspiring book about resilience as Lantos was finally able to lay to rest the "ghosts from the past."
Ho deciso di leggere questo libro in concomitanza del viaggio in Germania, l'ho iniziato proprio in seguito alla visita ad un campo di concentramento. Leggere le parole sincere e crude, testimonianza concreta di un'esperienza autentica mi ha tenuta sveglia la notte e lasciato il desiderio di proseguire durante la giornata. Il libro percorre il passato partendo dalle origini a Makò, piccolo paesino ungherese, passando dalla segregazione nel campo di Bergen-belsen fino al raggiungimento della libertà in periodo comunista post guerra. All'inizio del libro quel bambino è solo un estraneo, ma alla fine del racconto diventa un fedele amico.
Nonostante io ami questo periodo storico e storie di questo genere in ambito più romanzesco, ho trovato questo libro molto bello e interessante. Non mi ero mai soffermata molto a leggere questi romanzi sotto forma di testimonianza autobiografica, devo dire però di essere rimasta impressionata dalla costruzione dettagliata e nozionistica dal punto di vista sia storico, sia umano. In questo libro troviamo esattamente la reale infanzia di Peter Lantos, prelevato dalla sua casa d'origine a Makò, un piccolo paese ungherese. Il racconto si dirama iniziando dalla descrizione del suo luogo d'origine in dettagli precisi e anche statistici,la presentazione della sua famiglia,la prigionia del ghetto nella città,per poi attraversare il doloroso periodo di deportazione insieme ai genitori, il quale soltanto in seguito romperà la silenziosa disperazione racchiusa nel cuore di un bambino di cinque anni. Già, dalle pagine traspare il silenzio della sopportazione forzata inerente al periodo di tempo, in cui all'interno del lager nazista ne vedrà di tutti i colori, soffrendo di fame e di stenti. Prima la morte improvvisa della nonna, poi Peter verrà a conoscenza della morte del padre, che faceva i lavori forzati in un campo vicino a quello in cui vivevano lui e sua madre. Tante perdite, tanta sofferenza rimasta dentro l'anima in quei momenti in cui chiunque e soprattutto un bambino si chiede per quale motivo non riesca e non possa piangere le morti di persone care. E' la stessa ambientazione del lager, il periodo politico e lo svolgimento dei fatti del secondo conflitto mondiale a rendere i prigionieri di quel genocidio quasi insensibili a tutte le sofferenze forzate a cui sono sottoposti, senza potersi lamentare o ribellare. Una storia raccontata dagli occhi di un bambino che stringe un rapporto particolare con la madre, quasi un rapporto più che materno: un legame di compagni di viaggio. Faranno di tutto per sopravvivere e in questo ambito ho trovato veramente dignitosa e straordinaria la figura della madre di Peter. Sarà grazie a lei e ad aiuti esterni fortuiti che il protagonista riuscirà a restare vivo da quell'inferno. Dietro il lavoro della stesura del libro si notano molti interventi esterni che hanno contribuito a renderlo unico nella sua storia, nonostante il lavoro dello scrittore sia già di per sé esemplare. Mi è piaciuto molto il fatto che si sia ripresa a grandi linee anche la storia del dopoguerra, della 'cortina di ferro', ma soprattutto che grazie agli occhi del protagonista sia stata raccontata l'Ungheria, una nazione sempre poco vissuta nell'assemblaggio mondiale. Peter Lantos ripercorre minuziosamente ogni stato d'animo con descrizioni dettagliate dei luoghi, delle persone e di ogni altra cosa rubi attenzione al suo attento sguardo. Consiglio questo libro a chi ama le biografie o valide testimonianze relative al periodo dell'Olocausto, ma studiate e narrate da un punto di vista diverso, molto attento e particolare. Come dire, un arricchimento culturale di umanità, di storia mondiale e nazionale. Il lettore ripercorrerà insieme le cicatrici rimaste nel cuore del protagonista, ma anche l'improvvisa liberazione da parte degli americani fino allo stabilirsi del forte regime comunista sovietico. La seconda parte del libro ripercorre invece il sistema politico del suo paese e della sua nazione fino ad arrivare all'impervio conseguimento della sua laurea in medicina diventando un medico di importanza internazionale. La scelta del protagonista di voler raggruppare le sue 'tracce di memoria' è proprio quello di dar voce a tutto quel dolore represso per tanto tempo e che solo da grande ha potuto liberare scrivendo le pagine di questo importante diario. Un diario utile a ritrovare nella sua memoria passi importanti che pensava o temeva andassero dimenticati per sempre. Soltanto grazie a delle ricerche e alla sua forza interiore è riuscito a donare agli altri questa eccelsa testimonianza. Una lettura dove si ritrova nella sua narrazione imparziale il sentimento del racconto in prima persona, sfumato da quello stile un po' distaccato che permette a chi legge di non elaborare giudizi affrettati tra vittime e carnefici.
Da http://leggerefantastico.blogspot.it Peter Lantos è un bambino ebreo di soli cinque anni che nel 1944 viene deportato da Makò, insieme ai suoi genitori, nel campo di concentramento austriaco di Bergen-Belsen. A Peter viene sottratta l'infanzia felice che spetterebbe ad un qualsiasi bambino della sua età perché ebreo e nato nel bel mezzo dell'ascesa al potere della Germania nazista di Hitler. A soli cinque anni, Peter conosce gli orrori della guerra, della perdita, della brutalità umana, della privazione, degli stenti e dell'umiliazione. Vive sulla propria pelle l'atroce realtà dei campi di concentramento, guarda con gli occhi di un bambino incosciente la cruda ineluttabilità della malattia e della morte, respira a pieni polmoni la sottrazione della dignità umana. L'umiliazione che comincia dalla privazione del cibo e dell'acqua e che continua, inesorabile, con i campi di lavoro, le percosse subite per cause futili o nulle, la costrizione a vivere in piccole baracche fatiscenti e putride, ammassati come animali da macello. L'autore, lo stesso Peter Lantos, ripercorre il suo viaggio a ritroso nel tempo, cercando di collocare i tasselli mancanti della sua infausta infanzia regalando al lettore un percorso forte e significativo che segna uno dei periodi più bui e terribili della storia mondiale. Dalla deportazione ai campi di concentramento al regime comunista degli anni '50, Peter Lantos ricalca le proprie orme consultando archivi storici, incontrando eroi mai dimenticati e riportando alla memoria tempi, luoghi e persone che dovrebbero rimanere indelebili nel cuore e nella mente di tutti. C'è una frase che mi ha particolarmente colpito dell'autobiografia, ed è questa: "Anche se me ne resi conto solo molto più tardi, a Strasshof colsi per la prima volta le implicazioni pratiche del concetto di punizione senza crimine né causa: si è colpevoli per il semplice fatto di esistere." Non bisognerebbe aggiungere null'altro e io non lo farò. Parlare di ciò che ho letto non è affatto facile. Cercare di dare un senso a tutto quanto è accaduto in passato, anche se sembra essersi svolto anni luce da noi ma non lo è, è ancora impossibile. Cercare di dar forma alle emozioni che ti pervadono quando senti risuonare l'eco di queste storie passate, e poi metterle su carta o in questo caso su un foglio di word, è difficile. Praticamente, direi per l'ennesima volta impossibile. Sono convinta che leggere una storia come questa, ripercorrere con un film o un documentario gli eventi accaduti agli ebrei durante la seconda guerra mondiale sia di vitale importanza per la nostra memoria, per la memoria di chi non ha vissuto quelle atrocità e di chi verrà in futuro. Perchè è fondamentale ricordare affinché questo non accada mai più. Peter Lantos, ora diventato un celebre neuroscienziato, ripercorre la propria storia partendo dal racconto di quel bambino di soli cinque anni, affidando alla sua memoria i momenti migliori e peggiori della sua infanzia, della sua adolescenza e della sua maturità. Con estrema praticità e determinazione, servendosi dei suoi ricordi, ci conduce attraverso luoghi divenuti tragicamente famosi, alla ricerca di persone, superstiti come lui che possono far chiarezza sui ricordi sbiaditi di quegli anni terribili. Ricompone dei tasselli mancanti e ricostruisce la propria storia regalandola, con dovizia di particolari e densità di emozioni, al lettore.
“Each memoir of the holocaust adds the particularity of a lived experience, arresting in its detail and in the ways in which its author metabolises the past.”
This is the first book about the Holocaust I’ve read where the author was a child during the dark days of the Final Solution. The author, a retired Hungarian-born neuroscientist, was only four years old when his family was moved from their home in Mako to the ghetto then onwards to two other camps. Over the next 15 months, twelve family members, including his grandmother, father and elder brother lost their lives from malnutrition and illness. Throughout the book, his mother is a key figure; her death was untimely and a shock to the author while they were rebuilding their lives after the war. The format of the book is interesting - the author, who resettled in London to pursue a career in medical research, wasn’t able to return to Hungary till several decades after, because of Russian and Communist rule. He revisits each of the sites he spent before and during WWII, trying to gather information to fill the gaps in his memory about the people who were with him then. The vivid descriptions of each of the camps, the train rides and liberation by the Americans, are similar to that in other Holocaust memoirs. My favourite bit: Revisiting Bergen 30 years after, the author had dinner at a Michelin-starred restaurant. The contrast was stark - this was where he had almost died of hunger. The book ends with a collection of family photos and pictures from National Archives, which are so precious because the communists destroyed the author’s personal belongings left behind in Hungary when he asked to stay in London and became a “defector”. Took me several weeks cos some bits were so poignant and heartbreaking. Highly recommended.
Questo è un altro interessante libro, un’autobiografia, su quello che è stato forse il capitolo più nero della storia mondiale, le deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento nazisti. Il punto di vista ce lo illustra un sopravvissuto, che all’epoca dei fatti (43-44-45) aveva 5 anni, ma raccontando cerca di ricostruire tutti i ricordi di quei momenti tremendi, a partire dalla vita nella cittadina della sua famiglia, Makò in Ungheria, al momento della “cattura”, alla segregazione del ghetto prima e al viaggio per arrivare alla destinazione poi, il campo di Berger-Belsen, luogo dapprima non deputato alla deportazione ma solo alla detenzione, fino al momento della liberazione da parte degli alleati. Un racconto sconvolgente, un viaggio della vera disperazione, con l’incertezza dell’esito, in condizioni disumane, accompagnati dalla brutalità di alcune guardie che non badavano a donne, bambini o anziani, ilgioco di contare fino a 10, che si è trasformato in un modo per evitare che le mani di quel bimbo si congelassero nella spianata del campo, al freddo, senza alcun riguardo per nessuno di quei prigionieri. È un libro che mostra tutta la brutalità umana, mostra dove possono arrivare la cattiveria e la malvagità umana, le idee malsane di pochi potenti. Un viaggio nei ricordi per mantenere viva la memoria e per far sì che tutto quell’orrore, non debba accadere mai più, non possa accadere mai più. Consigliato, un libro che dovrebbero far leggere in tutte le scuole dell’obbligo.
This is an autobiography of a holocaust survivor but the unique quality is that it is the story of a five year old boy's journey with his parents' from their home in Hungary to Belsen interwoven with the tale of the same boy, sixty years later, an eminent consultant who ends up in London and makes the same journey to Belsen in his sixties, and finally meeting with an American soldier who had liberated his train carriage at thence of the war when the boy. Was just six and a half. It has the poignancy you would expect, but told with a reality of a child view that saw this tragic journey as an adventure. Clever, and classic all at the same time....
Tracce di memoria è la storia reale dell’infanzia di Peter Lantos, autore del libro. Era il 1944 quando Peter Lantos, all’età di cinque anni, venne prelevato dalla casa di Makó in Ungheria insieme alla sua famiglia, per essere prima rinchiuso nel ghetto della città e poi deportato in un lager nazista. Per condividere la sua storia con il mondo prima che i ricordi cominciassero a sfumare del tutto, e far si che l’orrore non venisse dimenticato, lo scrittore si è avvalso dell’aiuto di molte fonti esterne.
With the author only being young when he was sent to the camps and it being near to the end of the war there's not as much information about the holocaust as I hoped but never the less this is a good book .
A lovely inspiring book, The story from the child 's point of view about the treatment and internment of Jewish families is very captivating and an interesting read. Would highly recommend