Siamo entrati nell’era di Homo dieteticus. Crudisti, sushisti, vegetariani, vegani, gluten free, no carb: fra etica e dietetica la ricerca del modello alimentare virtuoso è diventata la nuova religione globale. E come tutte le religioni nascenti produce continue contrapposizioni, scismi, eresie, sette, abiure. Ciascun credo si ritiene l’unica via verso la salvezza. E verso l’immortalità. O almeno quel suo succedaneo salutistico che chiamiamo longevità. Così anticipiamo il giorno del giudizio e facciamo del dietologo una sorta di Dio giudice. O di Dio una sorta di dietologo improprio, che dispensa premi e castighi qui e ora. Ecco perché la dieta non è più una misura di benessere, ma una condizione dell’essere.
Penso che il titolo Homo dieteticus è perfetto, così come il sottotitolo ("Viaggio nelle tribù alimentari"). Tutto il resto, a mio avviso, perfetto non è: tante citazioni, tante frasi accattivanti, tante ripetizioni, alcune idee e parallelismi interessanti (sull'ascetismo religioso e dieta moderna, sulla dieta come religione contemporanea, sulla grassofobia come nuovo tipo di discriminazione, ecc.) e qualche curiosità sulla storia del veganismo verso la fine.
Non c'è il racconto, la maggior parte delle idee non viene approfondita, più di una citazione o due. Questo non è il viaggio nelle tribù alimentari ma solo il caleidoscopio di citazioni, idee e curiosità. Ma almeno Homo dieteticus è piuttosto breve.
Superficiale raccolta di citazioni e luoghi comuni, condita con una gran dose di opinioni personali.
In questo libro non c'è nulla di antropologico, potrebbe essere una raccolta di articoli per settimanali generalisti. L'autore ammicca in continuazione con battutine giochi di parole e cita in continuazione Foucault (solo i titoli delle sue opere però!). Numerosi riferimenti alle scelte dietetiche dell'ascetismo antico (interessante ma senza alcun costrutto storico).
Interessante (per me nuova) la scoperta dell' "ortoressia" - che però consiglio di approfondire in un testi più seri (non necessariamente seriosi, come si vede da questo bellissimo e autoironico articolo: 'I am an orthorexic' By David McCandless http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/ma...).
Il libro è banalizzante e narcisista, la cosa più sensata è la biblografia, ma per quello c'è Wikipedia.
Anche se ridondante, l'intuizione del rapporto tra religione e dietetica contemporanea è di effetto. Spiace perchè poco fluente, un continuo citare e accostare studi, costruendo poco. Ripresa negli ultimi capitoli, i piú significativi dal mio punto di vista.
Non so davvero che valutazione dare a questo libro.
Ci sono arrivata perché una delle mie allieve doveva scrivere un tema sulle cibomanie in cui c'era un pezzo dell'introduzione di questo libro. Il tema mi interessava (ed era presentato anche in modo leggibile) così ho rintracciato il libro di seconda mano e l'ho comprato.
È vero. Si legge benissimo: le frasi filano via lisce ed è stato un piacere leggere.
Però. Il contenuto mi è sembrato un po' superficiale. Perché, da un lato, avevo letto i cinque articoli che l'autore aveva dedicato agli estremisti culinari apparsi su Republica nell'estate del 2018. E mi erano piaciuti parecchio. Dall'altro parla di tante cose ma non approfondisce nulla. E spesso si ripete.
Da persona che non ha mai fatto diete in vita sua, la dieta (o qualunque tipo di estremismo culinario) non li capisco. Non ho nulla contro il sale, contro lo zucchero, contro l'olio di palma. Però ho l'impressione che se io e un vegano dovessimo andare a cena insieme, non saprei cosa preparargli da mangiare. Principalmente perché io non sono mai stata amante delle verdure, che non mi danno soddisfazione quando le mangio.
Ecco, uno dei punti del libro: l'uomo moderno cerca di togliere tutto il piacere dal cibo e dalla convivialità. E a me piace mangiare: mi sento felice quando mangio i miei gnocchetti sardi con il ragù. Mi sento felice quando mangio sushi o addento una costicina con la polenta. E detesto mangiare da sola: quando abitavo in una casa dello studente ero l'unica che mangiava nella sala comune perché almeno così vedevo passare qualcuno.
Fino al 2018, Niola parlava di tribù culinarie. E la parola "tribù" implica un minimo di scambio con le altre tribù. In un articoletto del 2019 per "Il venerdì di Repubblica", quelle stesse tribù si sono trasformate in "sette". Che tendono a isolare i propri membri da chi non fa parte della setta. E ci avviamo verso quella direzione.
Si chiude con una nota di speranza, comunque.
La me studentessa universitaria, però, non ha apprezzato che il libro non contenesse neanche una nota al testo per controllare ciò che Niola citava. E la bibliografia non è completa: cercavo un libro da lui menzionato e... puff!
Un viaggio nelle odierne tribù alimentari che parte dalle origini dei tabù sull'alimentazione e dalle sue connessioni con la religione e il senso del sacro in genere. Alcune pagine sono straordinarie per sintesi argomentativa e piacevolezza della scrittura, ma nel complesso non sono rimasto soddisfatto al cento per cento. Per i miei gusti nella disamina il passato è troppo preponderante sul presente, i capitoli hanno un procedere un po' sghembo e a volte si fa fatica a mettere a fuoco quali siano i concetti principali di ciascuno. Purtroppo è un difetto che ho riscontrato in vari saggi italiani e comincio a pensare che ci sia qualcosa di antropologico in questo: come se l'esigenza narrativa avesse sempre la meglio sul contenuto. E' un peccato perché se leggo un saggio io voglio il contenuto e, specialmente se c'è come in qusto caso, voglio che mi sia illustrato per bene. Poi in secondo ordine vorrei anche che non mi si frantumassero i testicoli nel raccontarmelo, ma è sempre il contenuto a dover stare in primo piano.
A sorprendermi è stata soprattutto il filo che lega la tavola alle Chiese. Per quanto riguarda invece lo stile di scrittura, ho particolarmente apprezzato l'originalità di alcune metafore, spesso rivestite di spassosa ironia.