I volumi raccolgono gli articoli di cronaca nera scritti da Dino Buzzati per il "Corriere della Sera" e il "Corriere d'informazione" in un arco di quasi trent'anni. L'autore di Il deserto dei Tartari fu, infatti, prima ancora che narratore, giornalista. Entrato nella redazione del quotidiano milanese nel 1928, Buzzati fu cronista, redattore e quindi inviato, e questi testi offrono interessanti spunti di riflessione sull'attività giornalistica nonché su quella narrativa dello scrittore di Belluno.
Dino Buzzati Traverso (1906 – 1972) è stato uno scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo, librettista, scenografo, costumista e poeta italiano.
Dino Buzzati Traverso was an Italian novelist, short story writer, painter and poet, as well as a journalist for Corriere della Sera. His worldwide fame is mostly due to his novel Il deserto dei Tartari, translated into English as The Tartar Steppe.
Dino Buzzati, oltre che romanziere, fu per decenni giornalista di cronaca nera a Milano, dopo gli anni del Fascismo, che erose dalle fondamenta questa branca giornalistica, che avrebbe minato la rappresentazione delle magnifiche sorti e progressive della Penisola. Qui sono raccolti articoli, inchieste, descrizioni,narrazioni di fatti e crimini cruenti, a testimonianza che la violenza e l'orrore non sono esclusiva contemporanea. Buzzati è quanto di più lontano dal dispaccio di agenzia o dall'asettico reportage di eventi: solidarizza, fa dell'ironia, costruisce contesti e li colora, li sfuma quasi fossero immagini vive. Le vittime, i criminali, chi rimane a piangere la perdita... tutti fuoriescono dalle pagine e ricostruiscono lo spirito di un' epoca, di varie epoche, novelli personaggi in cerca di autore. Solo che in questo caso un autore lo trovano...e che autore! Buzzati è bravissimo, ca va sans dire: "Il deserto dei tartari" rimane a tutt'oggi per me il grande amore di una vita, o almeno tra i grandi amori. Qui però, oltre alla fascinazione del canto, c'è la Storia, che irrompe con foga; accanto alla macrostoria italica (il Vajont e Superga e il Grande Torino ne sono solo due esempi) si riannodano le fila della microstoria, a formare l'arazzo di un'epoca a sfondo nero.
Dino Buzzati. Un uomo che fu una moltitudine: lo scrittore, il pittore, ma nondimeno il giornalista, con una certa vocazione da cavallo di razza per la Nera. C'è già tutto Buzzati in questi articoli di cronaca che pubblicò sul Corriere della Sera e sul Corriere d'informazione, nell'arco di quasi trent'anni dal 1945 fino a circa gli anni '70. Il Buzzati giornalista era un fuoriclasse capace di andare oltre la cronaca, pur rimanendovi ancorato, trasformandola in poesia. Delineava l'evento, che fosse di Nera o un dibattimento giudiziario o narrazione di tragedie collettive, con estrema chiarezza e semplicità ma poi riusciva a trasfondere tutto se stesso con una vibrante sensibilità cogliendo ciò che accadeva nell'animo umano, che fosse dell'assassino o della vittima. Capace di indignarsi e di indignare, di commuoversi e di commuovere, di emozionarsi e di emozionare con una abilità transitiva che metteva il lettore sullo stesso piano del giornalista nel suo sentire.
Non scalpitò mai per diventare editorialista e mettere la propria firma sull'articolo di fondo in prima pagina, per Dino ❤️ il massimo della professione consisteva nel piacere della cronaca. Spesso era il primo ad arrivare sul luogo del disastro o dell'omicidio anche perché il suo capo redattore lo mandava in giro per Milano sulle volanti della polizia a fiutare il male per le strade cittadine.
I fatti raccolti in questa antologia sono moltissimi, ognuno a suo modo un gioiello che va dritto al cuore e lo trafigge.
Che fosse la tragedia del grande Torino a Superga, un fatto che davvero superò la realtà perché, fino ad un secondo prima del suo accadere, nessuno avrebbe mai potuto immaginare come - tante - variabili - rarissime circostanze avessero deciso di darsi tutte appuntamento nello stesso giorno, alla stessa ora nello stesso luogo.
O che fosse la tragedia di Albenga nella quale in un incidente nautico morirono annegati quarantatre bambini di una colonia milanese. O che fosse l'affondamento dell'Andrea Doria O il dramma di Marcinelle O la morte di Alberto Ascari all'autodromo di Monza O il disastro del Vajont O Rita Forte e l'eccidio di via San Gregorio a Milano O ancora l'assassino di John Fitzgerald Kennedy E tantissimi altri fatti clamorosi, vicini o distanti nel tempo o nei luoghi, articoli che si leggono come fossero racconti della sua Boutique del mistero, diventando pezzi di grandissima letteratura.
P.s. Gli articoli sono suddivisi in due voll. La recensione è fatta sul secondo volume ma riguarda entrambi,
La nera di Buzzati - Crimini e misteri La nera di Buzzati - Incubi
L’opera di Buzzati è sempre più apprezzata nella sua complessità: non solo i romanzi e i racconti già celebri vivente l’autore, ma anche il Poema a Fumetti, discusso a suo tempo, è stato ripubblicato di recente; anche i suoi articoli di cronaca dedicati ad aspetti più o meno misteriosi della vita sono stati raccolti nelle belle “Cronache terrestri”. Mancava forse una raccolta sistematica di quello che fu il suo primo mestiere e il suo pane quotidiano per decenni, ovvero il cronista di “nera”: nonostante sia rimasto nella memoria collettiva il suo reportage sulla terribile strage operata da Rina Fort, “la belva di via San Gregorio”, poco si sapeva della sua restante attività. Ecco a colmare la lacuna un sontuoso volume, ricco di fotografie, riproduzioni di giornali d’epoca e anche tavole a fumetti dove Buzzati sperimentava un nuovo mezzo espressivo. Sfileranno davanti a noi le più note tragedie degli anni ’40, ’50 e ’60, dalla catastrofe del Vajont a quella di Marcinelle, dall’affogamento collettivo dei bambini di Albenga a quello dei ragazzi di Marsala, ma soprattutto vedremo il lato oscuro di Milano e un Nord Italia in pieno miracolo economico ma ancora provinciali e contadini, tuttavia macchiati di delitti di efferatezza senza pari. Spesso la cronaca si conclude, o è sostituita, da divagazioni fantastiche degne del Buzzati narratore, sempre vicino al confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti, sempre sgomento per la facilità con cui si può ricevere la “chiamata”. Toccanti per esempio l’articolo sulla prigionia di Kappler, o quello sulla maternità di Ilse Kock “la belva di Buchenwald”; ironico invece il racconto di fantascienza che commenta i primi tentativi di fecondazione in vitro..
[...] Mentre qui in questo tempo si discute ancora di cosa si sarebbe dovuto fare, di cosa ha sbagliato chi, di soldi, di colpe di vergogne la voce di Buzzati arriva da un altro mondo, spalanca l’abisso con delicatezza e ci dice: «Ma non capite che tutto questo affanno non serve a nulla?».
Soprattutto terribile mi sembrò un padre. Guidato come un automa da un infermiere ritrovò quasi subito il suo bimbo. Era un signore sui trent’anni vestito correttamente di grigio, dal volto nobile e in certo senso avventuroso. Veniva da solo. L’infermiere presto lo lasciò richiamato da altre scene miserande. E lui non disse una parola, non ebbe un sospiro o una lagrima, lo vidi anzi poco a poco diventare di pietra. Fissava con avida intensità il figlio nato inutilmente da lui e mi parve di leggere nella sua faccia un rimorso cupo, senza rimedio, quasi che tra l’uomo e il bimbo ci fosse stato un lungo e meschino malinteso.
Solo Buzzati può trasformare la cronaca nera in poesia, i morti in eroi partiti in reggimento verso epiche avventure. Da Albenga al Vajont Dino scrive con inchiostro di lacrime e riesce quasi a farne versare anche noi a decenni di distanza. Quei nomi, quelle persone che lui dice verranno dimenticate dopo pochi giorni, un mese al massimo, risuonano dal nulla, anche oggi, prepotentemente vivi grazie alla penna del genio assoluto Buzzati
Evidenziare, con le mie dita saltellanti sulla tastiera, la grandezza di questa/e (a seconda dell’edizione che avrete in mano) raccolta/e di articoli di cronaca scritti da Buzzati fra la fine degli anni Quaranta e gli anni Settanta è perfettamente inutile: se già li hai letti, ti sono rimasti scolpiti nel cuore. Se non li hai letti e deciderai di affrontarli – magari, un po’ come ho fatto io, perché ne ricordavi vagamente qualcuno – non ti accorgerai di essere di fronte a un gigante grazie a me, ma esclusivamente per il dialogo che avvierai con l’autore, per le sue parole perfette, per quell’equilibrio miracoloso fra cronaca ed emozione, fra “il fatto accaduto” e cosa rivela dell’uomo, dell’umano, e a volte anche del divino.
Ci sono pagine in cui il Buzzati narratore emerge con una potenza che ti sembra invincibile; altre in cui prevale l’occhio del giornalista, nella sua più nobile definizione, così distante da quel che viviamo oggi, in uno sguardo accompagnato da un battito del cuore che fa da sottofondo a tutta la lettura. Sarà che invecchio male e sempre più cose mi muovono alla commozione, ma ho vissuto pagine che mi hanno riempito le guance di lacrime (Marilina, oh, Marilina, e le figurine dove albergano le anime del Grande Torino), altre che mi hanno indignato, altre ancora che mi hanno ferito a una profondità che non ero del tutto pronto a sondare.
Sarò banale, lo so, ma alla conclusione di ogni articolo non potevo che abbandonarmi al pensiero di “cosa avrebbe scritto Buzzati” di uno qualunque delle grandi e piccole tragedie che hanno segnato la storia del mondo e della nostra nazione da quando sono al mondo pur’io: come avrebbe raccontato aerei che si schiantano e torri che crollano, cadaveri e speranze in mezzo al Mediterraneo, una madre inadeguata e assassina, una guerra civile e tremenda al centro dell’Europa, i femminicidi come una piaga sociale.