¿El libro de papel está condenado a su desaparición? En absoluto. Casati, que a pesar de lo que pudiera parecer no es un ludita o un analfabeto digital, sino el director del centro de referencia europea en investigación, nos invita a plantar a las grandes corporaciones empeñadas en introducir su tecnología para crear posibilidades de negocio, no sólo para vender sus lectores, tabletas y teléfonos, sino principalmente para introducirse de la manera más directa posible en la mente del lector y crearles nuevas necesidades.
El autor reivindica el libro clásico de papel como objeto que pone una frontera clara a las intrusiones constantes, a las posibilidades de distracción, y reivindica la necesidad de una lectura atenta para llegar a una comprensión necesaria de los textos. Es, en definitiva, un alegato contra un colonialismo digital que amenaza ya con apoderarse incluso de la educación.
Roberto Casati è un filosofo italiano. Direttore di Ricerca al Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) all'Institut Nicod, École normale supérieure di Parigi, è autore di saggi specialistici e di divulgazione, e ha insegnato in diverse università europee e statunitensi.
Con tono pacato, senso dell'ironia, argomentazioni di buon senso ma anche scientificamente dimostrate e soprattutto con grande passione, Roberto Casati ci apre gli occhi sui grandi equivoci del pensiero univoco. Ci spiega che forse il tema non è quello di fornire un tablet ad ogni alunno, ma di domandarsi cosa se ne faccia. Ci fa riflettere sulla necessità che la scuola non insegua la tecnologia, ma si ponga in termini critici nella salvaguardia del sapere. Ci fa sorridere sulle idiozie dei "nativi digitali" e del "multitasking", dimostrandoci come stiamo cadendo in una colossale trappola commerciale. Ma intelligentemente, senza essere luddista, Casati propone anche ricette di consumo critico. Le tecnologie possono aiutare, se saremo capaci di non farle diventare un fine ma solo uno strumento. Se sapremo "proteggere" i nostri spazi di attenzione, e tra questi in particolare scuole e biblioteche, senza trasformarle in qualcosa che non potranno mai essere e che non ha senso che siano. Un libro molto intelligente, che dovrebbero leggere tutti: genitori, insegnanti, cittadini a cui sta a cuore una certa idea di democrazia.
Dal direttore del CNRS all'Institute Nicod, onestamente, mi sarei aspettato qualcosa in più. Ero già titubante dopo una prima scorsa all'indice. E' un pamphlet, va bene, ma ritengo un po' presuntuoso il tentativo di rendere conto, in un libro che si propone in modo esplicito come una riflessione sulla lettura, di troppi aspetti della cultura digitale in appena 132 pagine. Anzi, tentare di ragionare sul concetto di "colonialismo digitale" senza dar conto del fatto che una cultura e una conoscenza digitale esistono o quantomeno possono esistere, è una premessa ben poco scientifica. Il libro è simpatico e scorrevole, ottimo per insegnanti e educatori per alcune riflessioni controcorrente, magari utili come incentivo (prima dell'Ipad in classe e del "device a tutti sempre e comunque" dovrebbe venire l'alfabetizzazione, la digital literacy, la netiquette della rete e, ma qui aggiungo io: l'insegnamento della "conoscenza reticolare", partecipata, non più monolitica e oracolare come nell'insegnamento scolastico e universitario italiano) Tolto questo, che c'entra Wikipedia? E, se proprio vogliamo parlare di promozione della lettura, saranno ancora utili, a scuola, quelle pratiche di obbligo al riassunto e alla stesura di elaborati per dimostrare la comprensione del testo, soprattutto nel caso della narrativa? Casati lancia l'idea del mese di lettura. Bene, ottimo. Solo che ogni singolo giorno gli studenti dovrebbero poi dimostrare, secondo pratiche ante-diluviane, di averlo letto veramente, il libro, compreso (per quel che vuol dire poi...), per poi trascrivere riassunto e personaggi o esporre chissà quali riflessioni. Non una citazione al lavoro sulla neurologia della lettura di Maryanne Wolf, durante le rapide e superficiali incursioni nell'argomento da parte dell'autore. Non una, all'opposto, a Nicholas Negroponte (e sì che ne è passato di tempo).
Davvero inutile le poche paginette sulla bolla informativa, la tutela della privacy e tutto il resto. Più o meno le stesse informazioni che si possono recuperare su Wikipedia, al massimo sarà da ringraziare l'autore per averle tradotte ("filter bubble" è una voce che non esiste nella versione italiana di Wikipedia). E, comunque, anche fossero state dettagliate e utili (senza comunque, immagino, alcun tentativo di coinvolgere aspetti un po' più attuali tipo information hacking, hack-space e movimenti come Noisebridge...), cosa c'entrano con la difesa della lettura (cartacea)?
“Un peccato” è l’unica osservazione che mi sento di fare relativa a questo libro.
È un peccato che Casati alterni osservazioni complesse e generalmente accurate a “Word Salad” (dall’inglese “Insalata di Parole”) che nel migliore dei casi risultano come ragionamenti digressivi che ben poco hanno a che vedere con l'argomento trattato. Certi periodi potrebbero essere estrapolati da un capitolo, inseriti in un manuale di cucina, e risulterebbero egualmente fuori posto. Il saggio si sviluppa come una commistione tra l’apologia al buon vecchio libro di carta (Facendo spesso uso di argomentazioni spicce che si distinguono da sproloqui populisti e nostalgici alla Salvini solo per il registro più elevato) ed un discorso più generalizzato (e per questo profondamente dispersivo) sull’evoluzione della divulgazione culturale nel mondo digitalizzato.
Tanto per cominciare, l’argomentazione cardine di Casati comincia da un assunto completamente errato che ti fa chiedere se abbia una minima idea di cosa stia parlando, oppure se il suo editore gli abbia detto: “Roberto, ti va di scrivere un libro intero su qualunque cosa ti venga in mente di dire?”. Il suddetto postulato è che il lettore (in particolare quello giovane) prediliga come strumento di lettura un Ipad, in quanto ha più funzionalità del ben più limitato Kindle. Fin dai tempi in cui non mi ero ancora convertito al modello digitalizzato dell’e-reader, (arrivando oggi ad un approccio misto tra cartaceo e digitale) ero pienamente consapevole che l’unico modo per dedicarsi attivamente alla lettura virtuale fosse il Kindle. Casati dà per scontato che il “non-nativo-digitale” sia così superficiale e ingenuo da non rendersi conto che un dispositivo come il tablet o il telefonino siano, proprio a causa delle molteplici funzionalità e notifiche, totalmente inadatti alla lettura. Di contro, da persona che legge molto e soprattutto che conosce molti lettori, non ho mai sentito di qualcuno che legga regolarmente su telefonino o tablet, quindi mi chiedo di quali individui stia parlando. Il fatto che la stragrande maggioranza delle tesi dell’autore per TUTTA la prima metà del libro si basino su questo assunto fallace rende già pressoché metà del testo inutile.
Ulteriormente, il fatto che l’autore dimostri (al di là di questi punti ciechi) un intelletto sviluppato e soprattutto profondamente ponderante, rende i passaggi “buoni” ancora più amari. In particolare, la sua supposizione secondo cui il multitasking non vada legittimato come un nuovo modo di “concepire la realtà” ma come un deficit, l’ho trovata interessante e probabilmente corretta. La seconda parte del saggio, incentrata sull’applicazione scolastica delle tecnologie digitali, con ovvia particolare attenzione al bibliotecarismo virtuale, è di certo il punto forte del libro. I punti esposti sono ben definiti, ben motivati e soprattutto argomentati con indubbio talento. Ciononostante, il superficialismo con cui Casati talvolta attacca determinati strawman (dall’inglese “uomo di paglia”/fantoccio, ossia una rappresentazione fallace e intellettualmente disonesta delle tesi supportate dall’opposizione) rischia di guastare la ripresa qualitativa del testo. Ritornando ai pregi, le riflessioni di Casati sull’empietà della natura semi-enciclopedica del manuale sono brillanti e interessanti, e analogamente il puntare l’attenzione sul design più che sulla polarizzazione rispetto all’avanzamento tecnologica è un punto più che corretto.
Concludo dicendo che il professore rispecchia perfettamente l’archetipo dello scrittore accademico: intelligente, erudito e allo stesso tempo fin troppo prolisso, attaccato alla propria retorica di gusto dubbio fino allo sconveniente e diciamocelo un po’ troppo sicuro di sé. Mi è piaciuto molto leggerlo perché così ostico da farmici affezionare proprio per attrito.
Quando ho finito il libro sono stato pervaso da un profondo senso di nostalgia per il tempo perso e delusione generica a causa dell'alternarsi di punti buoni e ragionati e scrittura saggistica di pessima qualità, e per tanto non posso dargli più di due stelle.
Per cominciare, sono abbastanza d'accordo sul fatto che il libro di carta abbia un "formato cognitivo perfetto", che sia "una nicchia ecologica in cui convivono simbioticamente un autore e un lettore" (pag. 27). Tuttavia è anche vero che un ebook letto su un eReader consente di tenere concentrata l'attenzione su un testo, scongiurando il "task switching" (pag. 69) favorito dal tablet. Non è da escludere la comparsa sul mercato di un prodotto ibrido tra eReader e tablet, con schermo a colori non retroilluminato, pensato prevalentemente per leggere contenuti anche complessi, con infografiche e altri inserti multimediali (che occupino in ogni caso una parte minore rispetto al testo).
Non sono invece d'accordo sul fatto che, fino al giorno in cui è arrivato l'iPad (27 gennaio 2010), i computer fossero prevalentemente, se non esclusivamente, strumenti di produzione intellettuale (pag. 18). Con un computer era già possibile guardare film, giocare, navigare passivamente su Internet. E poi, pensiamo al pc sul posto di lavoro: spesso le restrizioni sono relative soltanto ai social network, posso comunque farne un uso personale (a meno che l'azienda non monitori tutte le attività svolte quotidianamente su ogni singolo computer). Lavoro (inteso come task) vs. tutto il resto, lettura vs. tutto il resto.
Indubbiamente le logiche commerciali portano le aziende di hardware a proporre prodotti come l'iPad (che lui definisce una "vetrina di contenuti" in concorrenza con il libro digitale), un device pensato primariamente per intrattenere e non per la lettura profonda. Punto. D'altra parte, se pensiamo a com'è fatto un libro di carta, è evidente che tutti i soggetti che contribuiscono a produrre il supporto materiale (industria della carta, fotolitista, tipografia, legatoria) e a venderlo (libreria) sono al servizio quasi esclusivamente di chi produce il contenuto (casa editrice). I device digitali sono prodotti e spesso anche commercializzati da chi ha poco o nulla a che fare con il settore dell'editoria libraria. Probabilmente la situazione cambierebbe se a produrre i dispositivi di lettura fossero aziende che hanno lo stesso ruolo di stakeholder nel settore dell'editoria libraria. Ma, realisticamente, il capitalismo lascia poco spazio ai "se" e un'inversione di tendenza nel senso che ho appena descritto è difficile da immaginare.
Tornando al libro, l'autore indica caratteristiche quali la manipolabilità, trasmissibilità, riconsultabilità e regalabilità come vantaggi del formato cartaceo. Attualmente, queste sono ascrivibili anche a un ebook, che in più consente la ricerca full-text, può avere un dizionario collegato, permette di evidenziare, annotare ed è sempre più disponibile in un formato standard, Epub (non è del tutto vero che "non c'è ancora un accordo su un ebook standard", pag. 9).
Convincenti le argomentazioni che smontano il concetto di "natività digitale" (pag. 58-65, ma il bello viene tra pag. 84 e 85, quando l'autore riporta una dichiarazione da brividi del Ministro Profumo sui motivi del libro digitale a scuola) e quelle che invitano a un uso più consapevole di Wikipedia ("Perché non correggete - e scrivete - anche voi Wikipedia?", pag. 102-111, inciso mio).
Due parole sulle "strategie di autodifesa" - nei confronti soprattutto di Google - con cui si chiude il libro (pag. 115-127): per "proteggerci dalla bolla informazionale" e "difenderci dalla sindrome di intrappolamento" non c'è bisogno di usare il "caso". Basta non essere loggati a un motore di ricerca o a qualunque altro servizio online a cui è possibile iscriversi e aprire una "Nuova finestra di navigazione in incognito" (opzione disponibile su Chrome ma presente con altro nome anche negli altri browser). L'autore fa "una lista di spinte più o meno gentili per combattere la «dieta unilaterale di esempi» lamentata da Wittgenstein", ma ammetto di non aver colto il senso dei punti 3, 4, 5, 6.
In conclusione, Roberto Casati ha sicuramente individuato e ben analizzato le due criticità principali che caratterizzano le nuove forme di lettura e di apprendimento, ovvero il design dell'interfaccia e il ruolo della scuola. Ma secondo me il punto debole del libro sta nell'aver completamente trascurato esperienze importanti come Inkling - sul fronte "libro digitale" - e Actively Learn su quello dell'apprendimento online (solo per citarne due, in realtà me ne vengono in mente almeno altre dieci). L'autore ha riportato due casi piuttosto deboli di integrazione della tecnologia alla didattica: il progetto di micro-tutorato sviluppato da Laurie Butgereit (pag. 48-50) e il modo in cui lui stesso coinvolge i suoi studenti (pag. 86-88). In entrambe le situazioni la tecnologia non è utilizzata al massimo delle sue potenzialità (nel primo è una chat e nel secondo un blog, che prevedono esclusivamente l'utilizzo della parola scritta).
Ho letto per ora il 34% del libro e sono tentata di abbandonarlo. Tanta confusione di idee sulla lettura digitale non è una buona premessa per una trattazione interessante e possibilmente originale dell'argomento. Possibile che l'autore non abbia capito che un conto è la lettura che si fa su un device dedicato come per es il kindle e un conto e l'esperienza di lettura che si fa su un tablet come l'iPad !? Se non si è colta questa fondamentale differenza si rischia di ...parlare di nulla! Speriamo che la continuazione del libro non sia deludente come l'inizio.:-( --------------------------------------------- Non ci crederete, ma la continuazione del libro mi sta offrendo diversi spunti di riflessione. Mi piace per esempio l'idea dell'autore di dedicare un mese intero alla sola lettura durante l'orario scolastico nelle scuole medie e superiori! Aggiungo io che in quel mese si potrebbero anche organizzare letture ad alta voce. Da ex bibliotecaria di pubblica lettura mi permetto di dire rispetto alle idee che Casati esprime sulla necessità di rivedere i servizi bibliotecari nell'ottica di offrire degli spazi protetti dalle occasioni di distrazione digitale, che il primo grosso problema sono i bibliotecari (così come per la scuola a mio avviso il primo problema sono i docenti e i dirigenti) che nella stragrande maggioranza dei casi non sono all'altezza della situazione e non hanno alcun interesse a cambiare le cose! ---------------------------------------- Alla fine, in 4 o 5 ore con calma mi sono letta il libro in formato digitale. Dopo un inizio poco stimolante, la trattazione si è fatta più interessante non tanto per l'originalità delle interpretazioni, ma per la sintesi e la particolare contestualizzazione che mi hanno sollecitato a pensare ad aspetti della lettura a cui non avevo dato sufficiente peso: per esempio, non avevo riflettuto a sufficienza sul fatto che leggere con un ereader ci sottopone facilmente al controllo di ciò che leggiamo, di come, di quando e dove leggiamo. Se ci penso bene, la cosa mi piace davvero poco:-O
Un 3,5. Escrito allá por 2013, Casati supo ver o intuir muchos de los problemas que nos han aquejado después. Propone la idea del colonialismo digital, ese movimiento que pretende que lo digital se cuele no solo en nuestra vida pública sino también en la cognitiva. Lo mejor del libro, el análisis del mito de los nativos digitales y el de la colonización de lo digital en el aula. Algunas propuestas yo diría que son algo inocentes y otras inútiles. Quizà lo menos interesante es cuando sale del ámbito de la escuela y analiza otras repercusiones del colonialismo digital.
Although the critic is relevant and the core of the essay is a concern that I have always considered important, I do not feel the way he communicates it is the best. I see some rage that could be based on traditions and unfamiliar to new currents that could bring good things to, for example, the teaching and learning.