Tra arrivi e partenze, amicizie lunghe una vita e disincontri quotidiani, orizzonte superiore e orizzonte inferiore, ricordi tenaci e attimi mancati, Stefano Bartezzaghi ci conduce in un insolito viaggio sentimentale nella sua città. E la sua linguacornucopia scava nell'ovvio e nel mediocre del quotidiano e dell'oggetto comune per produrre riverberi insoliti, lampi di ricordi, nuovi angoli di osservazione, storie frivole e serie di persone note o del tutto sconosciute che insieme a Milano ci raccontano anche un'altra possibile città. Magari la nostra.
Siete dei lettori che non rinunciano a leggere nemmeno per quelle due fermate che separano Piola da Centrale? Siete di quelli che stanno leggendo e contano il numero di pagine che gli mancano alla fine del capitolo per capire se riusciranno a terminarlo prima di arrivare alla fermata? Siete di quelli che, un capitolo qui e un capitolo là, finiscono per perdersi pezzettini di storie? Lo siete davvero? Allora sappiate che M. Una Metronovela è ciò di cui avete bisogno. http://www.finzionimagazine.it/libri/...
Leggere un libro in cui un capitolo si intitola "Cadorna" alla fermata della metro di Cadorna (poco importa se rossa o verde) è un'esperienza davvero gustosa. E' come dare un senso a tutto quel tempo passato sottoterra nell'attraversare la città, e poi ritrovi i tuoi angoli, i tuoi spazi: il vento di Piola, il caos di Loreto, la biforcazione di Pagano, l'odore delle focacce di Lambrate. Ma tutto questo, se pur mi ha divertito, non mi è bastato. Forse è un po' dispersivo o disordinato, pur ben scritto. A volte ci ho trovato un piglio un po' snob. Non si può criticare le sciurette che frequentano il parco Pallavacino (Guido Vergani) e poi chiedersi "chissà come dev'essere, vivere a Primaticcio, amarsi a Gàmbara, lasciarsi a Rogoredo". Come vuoi che sia? E' come vivere a conciliazione, amarsi a Montenapoleone e lasciarsi a Duomo!
La metropolitana c'entra davvero poco in questa collezione di pedanterie, con l'aggiunta di qualche fesseria, condita da giochi di parole che fanno di molto rimpiangere Bergonzoni. Deludente.
Esilarante, a tratti. Noioso, a tratti. Commovente: solo ai capolinea. Cupo, chiuso, deprimente, a tratti. Uno scritto che corrisponde appieno al progetto di scritto sulla metropolitana, in parte per conscia volontà dell'autore, in parte perchè si tratta di appunti annotati in momenti diversi della vita di Bartezzaghi, momenti anche distanti tra loro (lo scrive lui nella postfazione) e che di conseguenza riflettono comprensibilmente stati d'animo diversi. Uno scritto intelligente, di persona colta, non boriosa, che ha ben assimilato quello che ha appreso e che lo ha fatto non per dovere ma per piacere; uno scritto che lascia trasparire il ritratto di chi scrive: non un Perec nostrano (nevrotico ma piattino, siamo onesti, via) bensì persona allegra, autoironica, scherzosa, con alti e bassi e probabilmente, passato il buio della separazione (credo) più alti che bassi. Poco interessanti le parti con Chuck e Dem, così come il capitolo sulla metropolitana di Roma: un po' appiccicato lì, ma tagliabile. Infine un libro in cui però non ci si può perdere: come se lo si leggesse sulla metro, è necessario staccare ogni tanto. Ma un buon libro.
Nel leggere M. Una metronovela, saggio un po’ romanzesco e molto biografico di Stefano Bartezzaghi è stato inevitabile riprendere una vecchia abitudine che un po’ mi aveva abbandonato: puoi avere tutti gli attrezzi tecnologici che vuoi (smart-fono, Ipad, watch-coso e via dicendo), ma non c’è nulla come appuntarsi qualcosa scaturito da una lettura come una buona vecchia penna e il supporto cartaceo a disposizione in quel momento (post-it abbandonato nella borsa del pc o retro di una lettera ricevuta vanno più che bene).
Il problema poi è tradurre la scrittura canin-medicale che mi contraddistingue – specie se supportata dagli sbalzi della metropolitana – in qualcosa di intellegibile e adatta a un post su Capitolo23. Mi aiuta aver sfogliato l’ultima pagina ieri sera, tranquilli.
La prima cosa che devo assolutamente comunicarvi è che si è trattato – almeno per me – di una lettura intensa, nel senso che non sarei riuscito a dedicarci due/tre ore consecutive, come capita con quei romanzi che ti attanagliano il cuore e le pupille. Mantenendo la metafora metropolitana, direi che quindici, massimo venti fermate sono l’ideale: Bartezzaghi ha una (inevitabile) capacità di giocare con le parole che sul breve periodo funziona deliziosamente, su quello lungo un po’ meno. Aiuta, oggettivamente, che oltre che trattarsi di un vero inno alla milanesità l’autore racconti moltissimo della sua vita e inserisca persino una trama romanzesca (più che discreta).
Quello che mi ha colpito di più è stato però una sorta di percorso comune: come Stefano Bartezzaghi, anche io ho adorato scendere in fermate della metrò milanese quasi senza scopo, scoprirne gli angoli, interrogandomi sul perchè siano state posizionate qui e non lì. Come lui, ho ricordati i segnetti neri che sulle mappe della linea verde avvisavano dell’apertura a destra o a sinistra (e adesso che mi sono trasferito a Crescenzago dopo quindici anni di linea rossa, la cosa mi confonde ormai da mesi). Come lui, ho ascoltato leggende urbane sulla fermata di Turati, giocato sull’assonanza Rovereto-Rogoredo, trascorso pomeriggi a studiare la fermata di Loreto e il suo semi-inestricabile sviluppo sotterraneo.
Insomma, un saggio-romanzo-autobiografia non per tutti, forse. Ma per i milanesi di nascita o acquisiti, un volume di cui adorerete – assaggiandolo con calma e giusto dosaggio – ogni singola pagina.
Bartezzaghi con le parole ci sa fare, e lo dimostra in ogni capitolo di questa sconclusionata gita a bordo della metro milanese (con una guest star alla fine). Il libro zeppo di aneddoti su Milano, è quasi una guida turistica, quasi come la collana Passenger di Iperborea. Per vedere Milano con occhi diversi, da sotto.
Una buona narrazione su tutto ciò che ruota attorno alla rete metropolitana di Milano con molti sguardi personali, anche se a volte il libro mi è sembrato eccessivamente prolisso
Un romanzo (quasi) autobiografico che prende il via a partire dalle fermate della metropolitana di Milano che l'autore usa o ha frequentato in passato.
Stavolta è davvero difficile recensire e valutare un libro.
L'ho acquistato di fiducia e istinto: un libro su Milano raccontato di fermata di metropolitana in fermata di metropolitana, non sulla storia in sé delle fermate, ma su vite che da lì sono passate.
Un'idea bella, intrigante, che mi ha fatto venire voglia di porlo in cima alla coda di lettura.
E, diciamolo, Bartezzaghi scrive sicuramente bene e, quando vuole, sa osservare e raccontare in modo avvolgente, con una capacità evocativa innegabile.
Il problema è che Bartezzaghi è anche e soprattutto un enigmista e ai giochi di parole, lui, non rinuncia: paragrafi su paragrafi che analizzano la composizione di una parola a seguire un flusso di pensiero suo e solo suo che, purtroppo, non è detto si riesca ad agganciare.
Ed è questo il problema principale di tutto il libro: i flussi di pensiero che si dipanano in ogni capitolo sono talmente personale da non permettere di immedesimarsi. Scorci di vita vissuta (sempre quella dell'autore, a formare un'autobiografia per ritagli disorganizzati), deviazioni, iperboli, salti d'argomento da un paragrafo all'altro, addirittura finti capitoli di un romanzo inesistente fanno sì che no, non sia proprio possibile stare sempre dietro a ciò che l'autore racconta.
Ed è un peccato perché quando invece su qualche racconto si riesce a salire, allora il viaggio è piacevole, malinconico, interessante, a volte commovente: tutti effetti che rendono i difetti ancora più fastidiosi.
Erano evitabili e non si è voluto, questo è.
Così come poi diventa evidente che certi capitoli, che sarebbero nominati in base a una certa fermata della metro, con quella fermata non hanno praticamente nulla a che fare. Quindi perché costruire una metronovela che tale non è? Perché non scrivere "la mia vita a Milano: scorci vari ed eventuali?": magari io non l'avrei comprato, magari sì, ma di certo sarebbe stato più onesto.
(E no, un capitolo verso la fine dedicato alla metropolitana di Roma non allevia, anzi...).
Eppure non riesco a stroncarlo, non del tutto, perché ci sono quei benedetti paragrafi che sono proprio belli da leggere. Perché c'è la descrizione a fine libro di quei due ragazzi in metropolitana che è tanto viva da poter essere vista a occhi chiusi.
Per cui no, non lo stronco, gli do la sufficienza. Ma perché in alcuni momenti è riuscito a emozionarmi e, si sa, sotto questa scorza stronza c'è sempre un orso sentimentale.
O mia bela Madunina che te brillet de lontan tutta d’ora e piscinina ti te dominet Milan. Sotta a ti se viv la vita se sta mai con i man in man.
Milano, Milano, Milano.... Vivo questa città da pendolare, da studente. Le sono affezionata, anche se spesso, purtroppo più spesso di quanto io desideri, non riesco ad apprezzarla pienamente, rimanendo legata agli spostamenti in metropolitana, alle attese in stazione e alle lezioni in università. Quando ne ho l'occasione, però, esco in superficie, cammino, vago per le vie, cercando di non perdermi. Non posso dire di conoscerla bene quanto l'autore, ma molti dei luoghi da lui evocati non mi erano affatto sconosciuti, anzi, mi erano quasi familiari. E' stato piacevole capire quanto il mio legame con questa città sia più profondo di quanto io stessa pensassi, tanto da permettere ad alcuni ricordi di riaffiorare mano a mano che alcune zone, alcuni quartieri (e alcune fermate) venivano nominati.
Questo libro è ricco di aneddoti interessanti sulla città (sulla città che era, sulla città che è ora e su coloro che la abitano e che l'abitavano in passato), ma è anche un libro di memorie e di ricordi personali dell'autore, di divagazioni e giochi di parole sui nomi delle strade, delle piazze, delle fermate della metropolitana. A tratti, può risultare tratti prolisso o pedante, ma è di certo affascinante e piacevole scoprire - o riscoprire - una città in questo modo.
Una confessione: ho saltato la gran parte degli sketch su Chuck & Dem. (Ma lo dice anche Pennac che al lettore tutto è concesso "Les droits imprescriptibles du lecteur: [...] 2. Le droit de sauter des pages.")
In questa sua incursione nella narrativa Stefano Bartezzaghi mette insieme varie cose. Il punto di partenza sono alcune delle stazioni della metropolitana milanese - a parte il penultimo capitolo in cui fa un cammeo la metro romana. Ma mentre i treni sotterranei (oops... Bartezzaghi nel testo si lamenta che i convogli non dovrebbero chiamarsi treni, perché poi nelle stazioni che sono anche ferroviarie ci si confonde) tagliano la città più o meno in modo diretto, lui preferisce perdersi in incisi e controincisi proprio come gli piace andare a zonzo per le vie della sua città. Il libro è così anche una raccolta di ricordi della sua gioventù e del presente, lampi illuminanti un luogo o un non-luogo cittadino; il tutto annaffiato da qualche gioco di parole qua e là, perché in fin dei conti è sempre Bartezzaghi. E infine c'è la cosiddetta "metronovela": varie scene da diffondere sugli ormai onnipresenti video nelle varie stazioni e che hanno come protagonisti un'improbabile coppia dai nomi Chuck&Dem, e una serie di comprimari di varie parti del mondo, i cui nomi sono in realtà espressioni dialettali milanesi. Io ne ho riconosciute meno di metà, ve lo dico subito. Un libro strano, che non so quanto potrà interessare chi a Milano non ci vive, ma che ha un suo certo fascino.
Le associazioni mentali interminabili come le corse della metro. Le associazioni mentali interminabili che senza accorgertene fai mentre viaggi in metro. Devi fermarti, riprendere la realtà. Il viaggio fisico e mentale. E invece no, riavvolgi il nastro ma alla fine parti sempre da un nome, da un ricordo, da sovrapposizioni onomastiche che creano confusione. I segnaposto della nostra città: puzzle essenziali della storia che nessuno ricorda. Il viaggio nella mente cercando di adattare il nostro essere, cercando di incastrarlo e farlo vivere e convivere in questo mondo che non vuole fermarsi.
«Il tutto - spazio, volte, marmi e grattacieli - parrà un unico monumento sproporzionato, incongruo, che riverisce un passato che fu tanto entusiasta della velocità sprigionata dalla meccanica. Il presente ha accelerato, non è più entusiasta della velocità che c'è ma si esaspera di quando non c'è più.»
Libro interessante per ragioni linguistiche dati gli innumerevoli casi di anagrammi e spiegazioni etimologiche di parole. Purtroppo la sterile storiella a puntate di Chuck & Dem e qualche divagazione eccessiva in alcuni capitoli rendono il libro meno riuscito di quello che sarebbe potuto diventare. L'immagine di Milano e della sua metropolitana è comunque in molti casi davvero interessante per chi come me deve cominciare a viverci!
Non mi ha convinto del tutto. Alcune parti sono noiose: a cosa serve elencare nomi di vie che si dipartono dalle fermate della metropolitana? Magari chi è familiare con Milano lo trova evocativo, a me che non lo sono non serve a niente... Altre parti interessanti ma in un bilancio complessivo non spenderei i 20€ del prezzo di copertina: per fortuna che ci sono le biblioteche!
buona l'idea, mediocre lo svolgimento. Non per difetti di scrittura ma per una eccessiva tendenza alla prolissità (francamente sfinente) e alla divagazione (vedi l'idea di inserire il duo Jack et al come motore narrativo). Limare, limare, limare
Invece di perdere tempo inutili guide della Milano dell'Expo, leggetevi questo favoloso volumetto. Bartezzaghi è il Pennac italiano, anzi il Perec italiano. No, tutti e due...
Concordo in pieno con la recensionp e di FedeOggio del 3 marzo 2016. Questo libro che potrà essere apprezzato dai milanesi che conoscono i luoghi descritti, ma per me è stata una noia. Peccato, perchè apprezzo Bartezzaghi.