In un primo momento Beppe Fenoglio aveva ideato un unico grande ciclo di Johnny, che partiva dagli anni del liceo di Alba, proseguiva con il corso ufficiali, l'8 settembre, il complicato e pericoloso ritorno in Piemonte, l'adesione alla guerra partigiana, il passaggio dai garibaldini ai badogliani. Successivamente però, su indicazione editoriale, Fenoglio riscrisse la prima parte di questo suo ambizioso progetto narrativo trasformando Primavera di bellezza in un libro autonomo: tagliò le prime ottanta pagine e aggiunse tre capitoli finali facendo morire velocemente Johnny al primo scontro a fuoco. La seconda parte, riscritta più volte, fu abbandonata e recuperata postuma con il titolo Il partigiano Johnny. In questa edizione Gabriele Pedullà ricostruisce per la prima volta il continuum narrativo del grande romanzo così come Fenoglio l'aveva pensato e concepito. E la saga di Johnny riemerge in tutta la sua forza epica.
Beppe Fenoglio (born Giuseppe Fenoglio) was an Italian writer. His work was published in a critical edition after his death, but controversy remains about his book Johnny the Partisan, often considered his best work, which was published posthumously and incomplete in 1968. The works of Fenoglio have two main themes: the rural world of the Langhe and the partisan war; equally, the writer has two styles: the chronicle and the epos. His first work was in the neorealist style: La paga del sabato (this was published posthumously too in 1969). The novel was turned down by Elio Vittorini who advised Fenoglio to carve out stories and then incorporate them into the The twenty-three days of the city of Alba (1952). These stories were a chronicle of the Italian Partisans or of rural life. One of such works was La malora (1954), a long story in the style of Giovanni Verga.
La nuova interpretazione filologica di Pedullà, che riunisce in un unico romanzo di formazione le varie redazioni di un corpus narrativo poi sfociato in 'Primavera di bellezza' e ne 'Il partigiano Johnny', aggiunge ulteriore coerenza e spessore all'opera fenogliana. Inedita, e davvero molto affascinante, la rispondenza del 'nuovo' romanzo con la struttura dell'Eneide. Devo tuttavia confessare che pur di avere la scusa di rileggere questo autore avrebbero potuto propormi paralleli con Beowulf o anche Strumtruppen. Pochissimi libri mi hanno dato una così perfetta, assoluta, totale felicità nel leggerli, cosa tanto più strana in quanto l'argomento è tutt'altro che allegro ed è palpabile a ogni rigo la fame, il fumo, il freddo che accompagnano la resistenza disperata dei partigiani allo sbando nell'aspro inverno delle Langhe piemontesi. Forse è per via della straordinaria prosa di Fenoglio - angloitalica, poetica, ricca di aggettivazioni strambe eppure perfette - o forse perché, in questi tempi devastati e vili, leggere l'epica umanissima e senza retorica di Johnny e dei suoi compagni riscalda il cuore e lascia un vago senso di speranza, di possibile salvezza per il futuro, nonostante tutto.
Il 21 gennaio 1957 Fenoglio scriveva a Italo Calvino di essere alle prese con un nuovo lavoro: «Un romanzo propriamente non è, ma certo è un libro grosso (alludo allo spessore)»; l’anno successivo entra in contatto con Livio Garzanti; e nel 1959 viene pubblicato Primavera di bellezza.
Il libro che segna il passaggio alla nuova casa editrice, dagli evidenti elementi autobiografici (il protagonista, Johnny, è studente appassionato dell’Inghilterra, compie il corso d’addestramento per ufficiali, è sorpreso dall’8 settembre a Roma, dove assiste impotente e irato allo sbando del regio esercito, avventurosamente torna in Piemonte ed entra nelle bande partigiane, per morire in una delle prime azioni), ha caratteri che possono ambire a dar voce a un’intera generazione ma di certo non è quel “libro grosso”.
Il progetto si era ormai scisso in quest’opera molto più ristretta, chiusa nel modo più definitivo, con la morte del protagonista, e in un coacervo di materiali aperti che sono, al tempo stesso, uno dei libri più indimenticabili del Novecento italiano, leggibile in diverse versioni a partire dal 1968, quando Lorenzo Mondo costruì un romanzo unitario con prelievi alternati da due diverse redazioni e gli diede il titolo Il partigiano Johnny.
Nel 1978 la monumentale edizione critica delle Opere di Fenoglio, dirette da Maria Corti (tre volumi di complessivi cinque tomi), propose integralmente, a cura di Maria Antonietta Grignani, le due redazioni che Mondo aveva contaminato, alle quali si aggiunse una versione ancora precedente, totalmente in inglese, proposta come Ur-Partigiano Johnny, che cronologicamente spinge ancora un po’ più avanti la narrazione.
Ora Gabriele Pedullà ha l’ambizione di offrire l’opportunità di leggere, nella sua gittata lunga, proprio quel “libro grosso” mai portato a termine in modo definitivo da Fenoglio, ma progettato, almeno per un periodo, proprio su queste ampie e coerenti dimensioni. L’operazione non ha intenti filologici, partendo dichiaratamente dai materiali messi a disposizione dall’edizione critica, senza cercare di vendere scoop testuali, ma storici ed ermeneutici. Accostando la prima redazione di Primavera di bellezza (che comprende i capitoli iniziali su Johnny studente, prima dell’ingresso nell’esercito, eliminati da Fenoglio per l’edizione Garzanti, ma non ancora quelli finali, con la sua morte) e la prima redazione del Partigiano Johnny anche per i capitoli per i quali sarebbe disponibile quella più recente, ci si vuole avvicinare quanto più è possibile non all’ultima volontà dell’autore ma alla fase iniziale del progetto complessivo, prima che le perplessità dei garzantiani spingessero Fenoglio in tutt’altra direzione.
La continuità narrativa è evidente, anche se la seconda parte inizia comunque con una breve ellissi narrativa: non è raccontato il ritorno a casa di Johnny, che ritroviamo già “imboscato” in collina dai genitori, per evitare il bando della Repubblica sociale.
Se prendiamo in parola gli intenti del curatore, non si tratta tanto di discutere i criteri di edizione del testo, ma di leggere questo Libro di Johnny come uno dei percorsi possibili nella multiforme opera lasciata da Fenoglio, edita e inedita. Un percorso che permette di avvicinarsi ad una fase precisa della faticosa lavorazione ma soprattutto di affinare gli strumenti dell’interpretazione. La lettura integrata delle due parti, in effetti, mostra un personaggio più completo: Johnny arriva alla guerra partigiana con alle spalle l’esperienza della scuola ufficiali; dalla lettura dei primi capitoli si comprende a fondo la sua anglofilia, che non è desiderio esotico di un altrove ma “esigenza di un’Italia diversa, migliore”; diventa più chiaro il pendolo tra desiderio di solitudine e desiderio di contatto umano e anche l’alternanza di azione e noia, di frenesia e stasi, di pieno e vuoto: “Questo cadenzatissimo avvicendarsi di quiete e eccitazione che non conosce un punto di equilibrio è il vero ritmo segreto del Libro di Johnny.”
L’introduzione di Pedullà propone anche interessanti spunti interpretativi su alcune delle caratteristiche più discutibili dell’opera, dalla sua natura di “macchina ideologica” anticomunista (il vero personaggio negativo, il commissario politico Némega, è l’unico totalmente inventato, pura “proiezione dei sentimenti politici del narratore”) alla descrizione delle figure femminili, che “si polarizzano soprattutto attorno ai due archetipi fondamentali della ragazza fatua e della protettrice dai tratti vistosamente materni”. Ma senza dubbio l’enfasi interpretativa è posta in particolare sull’epica. E fin qui niente di stupefacente: molti critici hanno da tempo messo in rilievo la caratura epica della scrittura di Fenoglio (ad esempio Giorgio Bárberi Squarotti per Il partigiano Johnny parlava di “romanzo epico moderno”, che reinterpreta “la tradizione di Omero, di Virgilio, del Tasso, di Milton, ma alla luce dell’esperienza attuale dell’eroicità, che non è più quella solare e trionfale dei vincitori, ma quella di chi si batte per dovere, per onore, per dignità, e riesce, allora, costantemente sconfitto in tutte le battaglie che combatte e negli assedi, ma antifrasticamente in questa condizione dimostra la sua superiorità di difensore del bene contro il male”). Pedullà non si limita a ribadire questa evidente epicità, ma la declina in una chiave più specifica, virgiliana. Il preciso modello architettonico del libro ricostruito diventa allora l’Eneide, con la bipartizione nei primi sei libri ispirati all’Odissea e i secondi sei all’Iliade: anche qui seguiamo prima le peregrinazioni del protagonista e il suo ritorno a casa, poi le vicende di una guerra intorno ad una città (Alba quindi come Troia o Lavinio), con il suo “fiume sacro” e “i due eserciti che interpretano a turno il ruolo dell’assediato e dell’assediante”.
Questa chiave di lettura è insomma la vera motivazione della proposta del Libro di Johnny: leggendo soltanto Primavera di bellezza non si può comprendere appieno “la prorompente vocazione epica dello stile e del raccontare” fenogliano, la sua diffidenza per le “dimensioni contenute e per la velocità”, il “preciso gusto per la ripetizione”; senza la prima parte, al Partigiano Johnny mancano molte riprese e parallelismi. Presi da soli, Primavera di bellezza e Il partigiano Johnny sono romanzi dell’immobilità, insieme invece mostrano il percorso di un’iniziazione riuscita, un romanzo di formazione, da adolescente a uomo. Ed è sicuramente una chiave di lettura affascinante ed efficace, ma aggiungerei che in questa nuova epica, dai molti caratteri virgiliani, manca però il pathos per chi sta dall’altra parte. L’epica moderna di Fenoglio è un’epica “totalitaria”, dove lo scontro è assoluto e nessuna forma di simpatia è possibile per i nemici, che già nella prima parte sono brutti, inferiori culturalmente e fisicamente ma vanagloriosi e violenti, e dove i partigiani sono sì i vincitori storici, ma all’interno del racconto assumono su di sé tutte le caratteristiche patetiche di debolezza, inferiorità numerica e di mezzi, di lotta contro una natura ostile e schiacciante. È impensabile, riprendendo una fortunata formula relativa a Tasso, immaginare un “bifrontismo fenogliano”.
Il libro di Johnny, insomma, è un potente invito al confronto delle interpretazioni: il suo stesso titolo, ancora più che i libri di Giobbe e di Giona, richiamati dal curatore, può ricordare The Book of J, che Harold Bloom ottenne mettendo insieme le parti del Pentateuco attribuite allo Jahvista dalla teoria delle quattro fonti: non una nuova edizione critica della Bibbia ebraica, ma l’opera del primo grande scrittore (anzi, secondo Bloom, una scrittrice), da interpretare letterariamente.
Con Il libro di Johnny siamo arrivati alla quarta redazione, in neppure cinquant'anni, del romanzo postumo di Fenoglio. Questa nuova edizione presenta delle novità molto forti sia dal lato filologico che d'interpretazione. Il curatore - Gabriele Pedullà - parte dall'ipotesi - in passato assi dibattuta in sede critica - di un rapporto diretto tra Primavera di bellezza e Il partigiano Johnny: i due testi farebbero parte di un unicum poi smembrato e aggiustato per politiche editoriali. Sono quindi stati presi i manoscritti autografi delle prime stesure e uniti in un unico libro. Il risultato è un testo praticamente nuovo e inedito. Primavera di bellezza presenta 60 pagine iniziali mai pubblicate e l'eliminazione dei tre capitoli finali (quindi Johnny non perde la vita al suo primo scontro partigiano) aggiunti in fretta da Fenoglio per mandare in stampa un libro concluso, mentre Il partigiano corrisponde per i primi venti capitoli all'edizione curata da Isella (l'ultima e più nota) e la seconda parte è totalmente inedita (neppure qui Johnny muore a un soffio dalla Liberazione)(ormai esiste un immaginario iperspazio dove convivono Johnny differenti, vivi, morti, resuscitati). Sulla liceità di una simile operazione non possiedo gli strumenti per poter metter bocca e alla fine, come lettore, poco m'interessa - la gioia di un nuovo Fenoglio supera qualunque ortodossia critica - se non per quel libro nel libro che da sempre accompagna i testi di Fenoglio, quell'appassionante giallo che riguarda la sistemazione cronologica dei suoi scritti e le effettive volontà dello scrittore, solo ipotizzabili a causa della prematura scomparsa. Mi son quindi improvvisato per qualche ora filologo della domenica e munito dei pochi materiali a mia disposizione - le bellissime lettere edite da Einaudi un paio di anni orsono, un testo che raccoglie più o meno tutta la letteratura critica intorno a Fenoglio (La critica e Fenoglio, Cappelli Editore, se lo occhiate su qualche bancarella non lasciatevelo sfuggire) e ho infine consultato in Biblioteca l'edizione critica alla opere di Fenoglio di Maria Corti (una vera miniera per qualunque onanista Fenogliano). Ovviamente non son giunto ad alcuna conclusione, per limiti miei e per l'oggettiva impossibilità di capire quale destino l'autore riservasse al "libro grosso" come lo chiama in alcune lettere indirizzate a Calvino. Da un punto di vista interpretativo Il libro di Johnny mette in campo un paio di novità, tira fuori due assi nella manica che potrebbero rivelarsi vincenti o avere la consistenza di un deprecabile soufflè sgonfio. La prima è che ci troviamo di fronte, in questa nuova veste, a un lungo romanzo di formazione che prende a modello la struttura de L'Eneide di Virgilio. A leggere gli argomenti rivendicati da Pedullà nel corposo e brillante saggio iniziale le ragioni di tali ipotesi risultano solide e affascinanti, ma in quel crogiuolo di fascinazioni letterarie che permea Il partigiano si può ritrovare la qualunque. La seconda ipotesi, a mio parere inutile e pencolante, è che il libro può essere letto sotto la lente del testo politico a tesi, ovvero non si starebbe parlando fino in fondo delle langhe o dell'esperienza partigiana ma saremmo in presenza di una trasfigurazione della guerra fredda, non sono i ricordi del Fenoglio partigiano ma le tesi del Fenoglio degli anni '50, convintamente socialista nenniano e di conseguenza visceralmente anticomunista. Ma alla fine, superato il saggio e le tesi del brillante curatore (c'è da dire comunque che è la migliore edizione del Partigiano, oltre al saggio, la bibliografia critica, l'indice dei luoghi e dei nomi, la citazione puntuale di ogni testo letterario evocato da Johnny, la redazione sintattica e l'uniformazione dei nomi dei personaggi comuni nei due testi sciolgono moltissimi nodi, misteri e lacune presenti nelle edizioni passate, per una volta tanto Einaudi sembra tornare ai fasti di un tempo)il lettore si dimentica tutto e può immergersi per l'ennesima volta nell'epopea più straordinaria e originale della letteratura italiana moderna. Certo, per alcuni versi, la percezione della lettura cambia. Forse quel tratto così alieno della lingua di Fenoglio viene in qualche modo ridimensionato, o meglio cambiano le prospettive. Laddove il lettore tendeva prima a vedere un passaggio repentino da una forma alla fin fine tradizionale, presente nelle prime opere come Primavera di bellezza o La paga del Sabato, verso quella libertà espressiva del Partigiano a fronte di queste prime stesure la percezione viene ribaltata: è il Fenoglio prima bozza a possedere una penna ardita che probabilmente si sarebbe chetata in fase di revisione. Così gli anglicismi o quell'uso "creativo" dell'aggettivazione potrebbero non essere altro che materiale residuale al suo vezzo di stender la prima in inglese, forse, se mai il libro grosso fosse terminato in vita, molte originalità risulterebbero stemperate. Ma per fotuna così non è stato. Rimane nel leggerlo per l'ennesima volta il piacevole mistero del perché proprio Johnny, badogliano, piccolo borghese e individualista, sia l'unico ad aver avuto al forza di assurgere a simbolo resitenziale, di tracimare oltre il libro e le celebrazioni, oltre la retorica, ma questo nessun critico saprà mai dircelo, sociologia, marxismo e tantomeno la filologia hanno la forza di comprendere il mito nello loro categorie, meglio lasciarli indietro e voltare lo sguardo, con ingenua banalità riconquistata ad ogni lettura, verso quel luogo immaginario dove Johnny combatte da solo contro il destino.
Non perdete tempo con le mie chiacchiere: date una possibilità a questo Libro anche se avete detestato Il partigiano Johnny perché questa è tutta un'altra Storia.
Acquistato d'impulso dopo aver letto questo articolo ma letto solo grazie alla prima manche della Sfida a tema. Sono stata molto fortunata perché il mio primo incontro con Beppe Fenoglio è avvenuto con l'edizione più fedele del suo libro più importante: Fenoglio è celebre per Primavera di bellezza e soprattutto per Il partigiano Johnny ma nelle intenzioni iniziali dell'autore queste due storie non dovevano esistere autonomamente perché erano parti di un unico grande libro sulla resistenza. Il libro di Johnny è il tentativo (riuscito) di riportare a galla l'opera originale. La lettura si è rivelata difficile (perché tutte quelle parole inglesi infilate qua e là sono irritanti, perché Johnny sembra il peggiore di tutti eppure , perché non succede nulla eppure niente è immobile) eppure è stato un viaggio meraviglioso perché questo libro non è solo un'importante testimonianza sulla resistenza ma anche un'opera letteraria degna di essere conosciuta ed apprezzata (un poema epico scritto nel '900 chi l'avrebbe potuto immaginare?). Dopo quasi 800 pagine continuo a non apprezzare la scelta linguistica di infarcire il testo di parole inglesi ma sento ancora la pioggia, la neve, il freddo, il puzzo di fumo, la nostalgia del fiume e ancora mi ritrovo a pensare a questi ragazzi che hanno scelto di rischiare la propria vita per regalare a noi un mondo migliore. L'opera è arricchita dal saggio Le armi e il ragazzo di Gabriele Pedullà che oltre a spiegare la genesi e le scelte che hanno portato alla pubblicazione del testo, rilegge l'opera mettendo in evidenza tutti quegli elementi che permettono di comprendere la grandezza letteraria di questo libro. Conclusa la lettura si ha voglia di leggere Un Fenoglio alla prima guerra mondiale ma anche l'Eneide.
Don't waste time with my review: give a chance to this Book even if you hated Johnny The Partisan because this is a whole different Story.
Bought after reading this article but read only thanks to the first round of Sfida a tema. I'm very lucky because my first encounter with Beppe Fenoglio has been this book that is the most accurate edition of his most important book: his most famous books Primavera di bellezza and especially Johnny The Partisan shouldn't exist as independent books because they were only two parts of the same big book about the Italian resistance movement. This novel is the successful attempt to restore the Fenoglio's initial purpose. It has been a tough journey (because the English words scattered for the novel bother me, because Johnny seems the worst of all and yet , because nothing seems to happen but nothing is motionless) and yet it has been a magnificent experience because this isn't only a great proof about the Italian history but it's especially a great masterpiece that deserves to become well-known (who can imagine that is an epic poem of the XX century?). After almost 800 pages I still don't like Fenoglio's choice to blend Italian and English but I still feel the rain, the snow, the cold, the stink of smoke, the wistfulness of the river and I still think about these young men that chose to endanger theirs life to give us a better world. The book is enriched by the essay Le armi e il ragazzo by Gabriele Pedullà that explains how this book has been built and he rereads the novel enlightening all that elements that show how important this book is. When the book is over you want to read Un Fenoglio alla prima guerra mondiale and the The Aeneid.
"E nell'inizio della marcia gli venne a fianco e a fianco gli marciò, e Johnny si sentì bene come non più da secoli, e la gioia era doppia per sapere che anche Pierre stava bene come non più da secoli. Ma, più avanti, Pierre s'aggrottò e disse a Johnny che era stato un pasticcio. - Ma andava fatto, - disse Johnny, guardando il cupo, ma non ostile cielo."