«Cento pagine divulgative di uno scrittore affascinante e antropologo di qualità, per smontare un valore forte della nostra cultura: la rivendicazione di sé etnica, politica, religiosa, localistica che fissa il confine tra noi e gli altri.» Ferdinando Albertazzi, Tuttolibri«Oggi che la psicologia e la psicoanalisi ci hanno resi avvertiti della natura plurale dellIo e dunque del carattere problematico della sua identità, è urgente che anche al livello del noi dei gruppi, dei popoli, forse persino della specie umana questa coscienza si imponga e contribuisca a gettare una luce critica sulla nozione stessa di identità. È questa la tesi di Francesco Remotti che documenta con numerosi (e spesso gustosi) richiami a esperienze sul campo i paradossi e le contraddizioni dellidentità.» Gianni Vattimo, LEspresso
Francesco Remotti insegna Antropologia culturale all’Università di Torino. Si è occupato delle principali opzioni teoriche in ambito antropologico e ha condotto ricerche sul campo tra i Nande dello Zaire. Tra i suoi scritti: Lévi-Strauss. Struttura e storia (Einaudi, 1971); Antenati e antagonisti. Consensi e dissensi in antropologia culturale (Il Mulino, 1986); Contro l’identità, Prima lezione di antropologia e Contro natura. Una lettera al papa (Laterza, 1996, 2001 e 2008). Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato Luoghi e corpi. Antropologia dello spazio, del tempo e del potere. Con Ugo Fabietti ha curato il Dizionario di antropologia. Etnologia, antropologia culturale, antropologia sociale (Zanichelli, 1997).
Vi sono società che, non troppo ossessionate dalla loro identità, sono disposte a riconoscere la loro "particolarità", e quindi i loro limiti: per forgiare "veri uomini" (maschi adulti) i Bakonjo vanno dagli Amba; per avere donne con cui sposarsi e fare figli i Mae Enga si rivolgono ai nemici che di solito combattono. È un'ammissione non solo di particolarità, ma anche di "incompletezza". Non ci si limita a dire "Pazienza, noi siamo fatti così, cosa possiamo farci?"; si riconosce invece che anche per essere così, per continuare a essere così, occorre rivolgersi all'alterità […]. Un'identità che sopporta un'intrusione così intima dell'alterità non può essere un'identità particolarmente ossessiva: è un'identità che accetta la propria particolarità.