What do you think?
Rate this book


240 pages, Paperback
First published March 1, 2015
C'è un che di masochistico nell'amore, quando pensi di non meritartelo davvero. È qualcosa che credo abbia origini remote. Se cresci senza nessuno che ti dica che sei bello o che sei bravo, senza una parola di conforto che ti rassicuri dandoti il tuo posto al sole nel mondo, niente sarà mai abbastanza per ripagarti di quel silenzio. Dentro resterai sempre un bambino affamato di gentilezza, che si sente brutto, incapace e manchevole, qualsiasi cosa accada. E non importa se, nel frattempo, sei diventato la più bella delle creature.
[...] ci sono amori che sanno unire la forza gentile della tenerezza alla potenza di fuoco della passione. Che ti travolgono e non smettono più di farlo. Amori che aiutano a restare vivi l’uno per l’altro, qualsiasi cosa succeda. Mentre ti affido questi pensieri mi ripeto per l’ennesima volta quanto siamo stati fortunati, tu e io. Sei arrivato in punta di piedi, con la discrezione di un ospite di passaggio. Ho dovuto insistere perché sistemassi le tue cose negli armadi. Eppure, fin dalla prima notte ho avvertito la tua presenza dappertutto. Da subito mi sei entrato nel sangue come una medicina necessaria, di cui prima paradossalmente nemmeno sospettavo l’esistenza. Una settimana dopo che abitavamo insieme già mi chiedevo come avevo fatto fino ad allora. Come avevo potuto sopportare quel silenzio, senza che le nostre voci si inseguissero tra le stanze e poi tacessero del tutto, abbandonandosi in un unico respiro. Il tuo accappatoio ancora umido in bagno. La lama di luce che la domenica mattina gioca sul tuo viso addormentato. Le nostre pantofole accanto al letto, i dolci alle rose che ci piacciono tanto, la tazza sbeccata che ti scegli sempre a colazione, per lasciare a me quella intatta. È il nostro mondo, l’alfabeto della felicità. Quando vivevo solo e avevo quasi smesso di credere nell’amore, nemmeno immaginavo in che maniera la mia esistenza sarebbe cambiata. Tu hai reso la mia vita migliore. Mi hai restituito la stessa spensieratezza di quando avevo vent’anni e guardavo il mondo dall’alto senza avere la certezza di riuscire a realizzare i miei sogni.
Ci siamo separati ancora un’altra volta, per due giorni appena, in occasione di un mio breve viaggio a Istanbul per una questione di famiglia. Poi non è più successo. E non succederà più. Perché noi due siamo una cosa sola, lo sai. Beviamo dallo stesso bicchiere, mangiamo dallo stesso piatto. Respiriamo la stessa aria, occupiamo lo stesso spazio. Non smetto di ringraziare gli dei per averti messo sul mio cammino. Sembra assurdo, ma non è da tutti. Non è da tutti riconoscere la felicità, quando la incontri. Capire che è proprio quella la persona che ti cambierà la vita, e che senza di lei ora nulla avrebbe più senso.
«E allora, quando l’ho saputo, ho voluto tutto da lui, anche la malattia» aggiunse. Nel dirlo, mutò espressione e l’ombra di un sorriso gli addolcì il volto. Quel giorno aveva smesso di giocare con Sergio come il gatto con il topo, mettendone alla prova la pazienza, approfittando di una relazione dove lui era quello che si faceva pregare, mentre il suo compagno soffriva in silenzio. Aveva chiuso per sempre con la vita frivola di un tempo quando, insaziabile, passava da una festa a un’altra, da un amante all’altro. Il virus lavora freneticamente, portandosi via ogni giorno qualcosa. Mancava poco tempo ormai e lui l’avrebbe tutto dedicato al suo uomo. «Per qualche mese ci siamo amati come mai prima di allora. Sembrava che la malattia ci avesse concesso una tregua. Poi, ha iniziato a farsi sentire. Lo accompagnavo in ospedale per gli esami, e a sottoporsi a una cura sperimentale che lo riduceva a uno straccio. Intanto, pregavo che il virus avesse preso anche me. Desideravo solo stargli accanto. Condividere tutto. Il dolore, l’annichilimento, la morte.» Dopo qualche mese, arrivò per Adriano il momento di ripetere il test. Il referto, questa volta, non lo deluse. «Ero raggiante. L’infermiera che mi aveva appena dato la notizia mi guardava attonita, non riuscendo a capacitarsi della mia reazione. Probabilmente, avrà pensato che la malattia mi aveva già ottenebrato la mente» osservò, recuperando per un attimo il suo antico gusto per le battute. Sergio aveva lottato a lungo, ma ormai l’infezione si era propagata ovunque. Un tempo era un uomo alto, dal fisico asciutto ma atletico. Alla fine, era diventato una larva, pelle e ossa. La sua bocca si era riempita di afte. Aveva le braccia e il collo ricoperti di sfoghi cutanei. Non mangiava più, faticava a respirare, restava sdraiato immobile a letto, senza più la forza di mettersi seduto. Adriano si era preso cura di lui come di un neonato. Lo imboccava, lo lavava, gli leggeva il giornale, gli dava le medicine, lo accarezzava per farlo addormentare. Non l’aveva mai abbandonato, neppure per un attimo, fino all’ultimo.