La storia di Yang Jiang riguarda l'esperienza di rieducazione in campagna, sua e di suo marito: Quian Zhogshu, tentata negli anni della rivoluzione culturale. La narrazione si concentra su piccoli episodi della vita quotidiana, dove i lavori a cui ciascuno era destinato, pulizia del cortile, dei bagni, lavori domestici, dovevano avere un fine pedagogico. Ma, alla resa dei conti, il risultato era relativo. "... in fondo a me stessa, continuavo a sentirmi la coscienza pulita... I colpi, gli insulti, le umiliazioni, non erano riusciti a piegarmi."
poetico e essenziale raccoglie una prefazione una postfazione e un racconto sulla rieducazione
Jiang Yang è una traduttrice e scrittrice che usa toni surreali per raccontare in maniera lieve, rispetto ai colleghi rieducati più duramente, la sua esperienza di rieducazione e il passaggio delle Guardie Rosse nell'università dove lavorava con il marito, a sua volta grande letterato
il tè dell'oblio è la sola cosa che forse dovrebbero bere questi poveretti, la cui vita è stata segnata indelebilmente dal passaggio delle furie rosse e degli insegnamenti un po' a vento del Grande Timoniere...
Ho dovuto leggere questo libricino per il corso di lingua cinese che sto seguendo, ed ero partita con basse aspettative ma mi sono ricreduta molto! Lo stile della scrittrice è godibile e soprattutto racconta di un aspetto oscuro della Rivoluzione culturale che non tutti conoscono, perché noi occidentali siamo portati a ricordare -giustamente- con sentimento le vicende nazi-fasciste, senza sapere che fatti simili sono accaduti anche in altri luoghi e altri momenti. Consiglio la lettura a tutti, per ampliare il proprio bagaglio culturale.
Recensione difficile da fare. Credo sia un libro (racconto?) stratificato, denso che per me è rimasto davvero sfuggente. Ho capito solo in parte e poco, nonostante fossi davvero curiosa di sapere. Vorrei informarmi meglio e magari rileggerlo in futuro. Si tratta di un racconto ricco di riflessioni, brandelli di ricordi, con un susseguirsi di eventi passati autobiografici.
Il prologo è la parte che ho preferito, mi è sembrato un breve accenno distopico / fantascientifico del quale, però, non ho saputo coglierne la motivazione. Dovrebbe essere un testo per preparare il lettore al resto del racconto...ma in che modo esattamente? Ecco la prima cosa che non ho capito con certezza. In questa parte la protagonista, insieme a molti altri, si dirige in treno verso la "Sala da tè della Signora Meng", un luogo dove potranno bere del tè e rimuovere i ricordi dolorosi, precipitando nell'oblio, mentre chi si rifiuta rimarrà per sempre in una sorta di limbo. Questa narrazione surreale è forse una metafora di quanto raccontato a seguito? Quindi lei sceglie di non dimenticare, di non rimuovere, e di riportare la sua esperienza in questo racconto?
Infatti, a seguito inizia la parte principale del libro: "Memoria autobiografiche", dove l'autrice ripercorre la Rivoluzione Culturale filtrata dalla sua esperienza e da quella del marito.
Infine, la Postfazione (Il manto dell'invisibilità) l'ho apprezzata. Una riflessione finale con un ragionamento per assurdo in cui l'autrice si interroga sul ruolo della memoria (che poi collega difatti tutte le parti del testo).
In generale ho apprezzato questo scritto e sono certa di poterne trarre ancora tanto, avrei voluto però essere più informata ancor prima di iniziarne la lettura (N.B. un ringraziamento a chi ha inserito le diverse note esplicative che sono state fondamentali per capire molte parti!).
Dal libro: "Ma il Don Chisciotte era nero o no? Don Chisciotte è un proprietario fondiario e Sancio Panza un contadino: l'opera non esaltava forse la proprietà fondiaria, mettendo in ridicolo i contadini? E i giganti e gli animali fantastici, non erano tutte superstizioni? Di fronte all'enorme influenza della fazione ribelle, era meglio essere estremamente prudenti. Per salvare il testo, pensai che era meglio sottoporlo al giudizio delle masse rivoluzionarie, tanto più che non arrivavo a immaginare che avrebbero finito per considerarlo un «manoscritto nero»."
Yang traduce il Don Chisciotte, ma è un manoscritto nero e deve essere rieducata. Il motivo per cui non si aspettava venisse bollato in questo modo, è il seguente: "Tuttavia, lavorare duecento giornate l'anno è veramente difficile, non ci si riesce, perché a starsene tutto il tempo sui libri, e immersi nel lavoro, si trascura la politica, e ci si stacca dalla realtà."
Un libro davvero prezioso, mi ha aiutato a capire la rivoluzione culturale nei suoi meccanismi più umani e quindi meschini.
“[…] Si dice che «le nuvole rosa si disperdono facilmente». Ma anche quelle nere non durano in eterno. Per quanto penoso sia volgere il pensiero a quegli anni in cui il cielo era coperto di nubi, un'immagine però resta impressa nella mia memoria: una frangia dorata che splende e riscalda il cuore.”