A renowned German novelist's memoir of his brother, who joined the SS and was killed at the Russian front.
Uwe Timm was only two years old when in 1942 his older brother, Karl Heinz, announced to his family he had volunteered for service with an elite squadron of the German army, the SS Totenkopf Division, also known as Death's Heads. Little more than a year later Karl Heinz was injured in battle at the Russian front, his legs amputated, and a few weeks after that he died in a military hospital. To their father, Karl Heinz's death only served to immortalize him as the courageous one, the obedient one, the one who upheld the family honor. His childhood was marked by the mythology of his brother's lost life; his absence-the hole he left in the family-just as palpable as if he were still alive. His mother's sadness and his father's rage over the loss of Karl Heinz ultimately defined Uwe's relationship with his parents. But while they eulogized the boy, Uwe who really had his brother been?
The life and death of his older brother has haunted Uwe Timm for more than sixty years. His parents' silence was one of the most painful aspects of his family history. Not even after the war ended, and details of unspeakable horrors emerged, did his parents ever acknowledge Germany's guilt and Karl Heinz's role in it. They simply We didn't know. After the deaths of his parents and older sister Timm set out in search of answers. Using military reports, letters, family photos and cryptic entries from a diary his brother kept during the war, he began to piece together the picture, discovering his brother's story is not just that of one man, but the tragedy of an entire generation. In the Shadow of My Brother is a meditation on German history and guilt, one that is both nuanced and measured.
Uwe Timm was the youngest son in his family. His brother, 16 years his senior, was a soldier in the Waffen SS and died in Ukraine in 1943. Decades later, Uwe Timm approached his relationship with his father and brother in the critically acclaimed novel In my brother's shadow.
After working as a furrier, Timm studied Philosophy and German in Munich and Paris, achieving a PhD in German literature in 1971 with his thesis: The Problem of Absurdity in the Works of Albert Camus. During his studies, Timm was engaged in leftist activities of the 1960s. He became a member of the Socialist German Student Union and was associated with Benno Ohnesorg. From 1973 to 1981 he was a member of the German Communist Party. Three times Timm has been called as a writer-in-residence to several universities in English-speaking countries: in 1981 to the University of Warwick, in 1994 to Swansea and in 1997 to the Washington University in St. Louis. He has also been a lecturer at universities in Paderborn, Darmstadt, Lüneburg and Frankfurt.
Timm started publishing in the early 1970s and became known to a larger audience in Germany after one of his children's books, Rennschwein Rudi Rüssel, was turned into a movie. Today he is one of the most successful contemporary authors in Germany. His books Die Entdeckung der Currywurst (The Invention of Curried Sausage) and Am Beispiels meines Bruders (In my brother's shadow) can both be found on the syllabi of German schools. His readers usually appreciate Timm's writing style, which he himself calls "die Ästhetik des Alltags" ("the aesthetics of everyday life"). Timm imitates everyday storytelling by using everyday vocabulary and simple sentences and generally tries to imitate the way stories are orally told. His works often indirectly link with each other by taking up minor characters from one story and making this character the main character of another work. For example, a minor character like Frau Brücker from Johannisnacht is taken up as a main character in his book Die Entdeckung der Currywurst. Timm's works also tend to have autobiographical features and often deal with the German past or are set in the German past.
Einsatzgruppen, letteralmente “Unità Operative”, i reparti di cui tratta il saggio di Cristopher Browning “Uomini comuni”.
Essere sollevato in aria – riso, esultanza, una gioia irrefrenabile – questa sensazione accompagna il ricordo di un attimo, un’immagine – la prima immagine che mi si è impressa nella mente – con la quale comincia per me la consapevolezza di me stesso, la memoria… È l’unico ricordo di mio fratello, sedici anni più grande di me, che pochi mesi dopo venne ferito gravemente in Ucraina.
Karl-Heinz Timm perse entrambe le gambe e qualche settimana dopo l’amputazione morì – i medici militari pensavano a salvare soprattutto quelli con più speranza e meno mutilati. Proprio da qui inizia la ricerca di Uwe Timm, dai ricordi, le lettere e il diario dal fronte del fratello: come se avesse una di quelle spine che ogni persona si porta dentro, appena la tocchi provi fastidio, e se cerchi di estrarla, il dolore aumenta.
Se il titolo nomina il solo fratello, l’indagine di Timm include anche il padre e la madre - meno la sorella: e curiosamente Timm ribalta la grammatica e usa l’articolo determinativo per indicare i familiari al centro della sua attenzione ("il" padre, "il" fratello, "la" madre), ma l’aggettivo possessivo per la sorella, che rimane sempre un po’ a margine della narrazione, così come era il suo ruolo in famiglia.
I Timm, al pari di tante famiglie uscite a pezzi dalla guerra, poggiavano i piedi su una lastra di cristallo: sotto c’è l’Europa capovolta e un’idea dell’essere umano che avrebbero voluto cancellare.
Volenterosi carnefici di Hitler.
Quello che Timm cerca di capire è il nocciolo della grande colpa collettiva tedesca, la responsabilità di un’intera nazione: come è stato possibile? Perché così pochi hanno detto no e così tanti invece hanno partecipato? Perché così tanti volenterosi carnefici di Hitler?
Anche il fratello? Anche il padre? si chiede Timm. La prima scoperta sembra positiva, perché né il padre (che nonostante le ripetute richieste, non entrò mai nel partito perché riteneva i nazisti “troppo teppisti”) né il fratello parteciparono direttamente all’uccisione di civili, ebrei, ostaggi.
Ma la domanda cui Timm cerca davvero risposta è come hanno potuto non accorgersi di quello che succedeva intorno a loro, come hanno potuto non prendere la posizione che si vorrebbe e ci si aspetterebbe, come hanno potuto pensare che quello che succedeva fosse “normale”.
Volenterosi carnefici di Hitler.
Timm si decide a scrivere questo libro solo dopo la morte dei suoi familiari. Intraprende un percorso spirituale dentro se stesso, una ricerca fatta col cuore in mano, appassionata e profonda, lunga, meditata – che contempla anche il viaggio nei territori dove aveva combattuto il fratello e dove ci sarebbe dovuta essere la sua tomba (Ucraina, Russia occidentale), quasi a cercare radici spezzate.
Una risposta, se tale può essere considerata, è questa: … mio padre, mio fratello avrebbero dovuto sapere, secondo il significato della parola ‘sapere’, racchiuso nella radice dell’antico alto tedesco ‘wizzan’, cioè ‘scorgere’, ‘vedere’. Non hanno saputo perché non volevano sapere, perché hanno allontanato lo sguardo.
…quando venne l’ordine di sparare agli ebrei, uomini, donne e bambini, sarebbe stato possibile rifiutarsi di eseguirlo senza timore di sanzioni disciplinari. Nel battaglione 101 di cui parla Christopher Browning solo dodici dei circa cinquecento soldati si fecero avanti per consegnare le loro carabine e ricevere altri incarichi. Quelli – cioè la maggioranza, e bisognerebbe dire quasi tutti – che non si fecero avanti, non dissero di no, quelli che obbedirono e uccisero, dopo iniziali scrupoli, in maniera di volta in volta sempre più naturale, brutale, meccanica – descrizioni che bisogna farsi forza per leggerle – qui c’è qualcosa che sfugge alla comprensione.
La domanda più delicata rimane ovviamente senza risposta, mistero insoluto: probabilmente perché l’unica vera risposta possibile risiede nell’intensità della domanda.
Con grande sorpresa degli ufficiali americani che li interrogavano quegli uomini non erano bruti primitivi ma persone con una cultura letteraria, filosofica e musicale, uomini – si vorrebbe che non fosse così – i quali ascoltavano Mozart e leggevano Hölderlin… E nulla – questa è la terribile conclusione – non l’educazione e la cultura, non la cosiddetta vita spirituale ha impedito ai carnefici di commettere le loro atrocità.
Ma pure senza approdare alla soluzione, Timm non sospende il giudizio, non volta lo sguardo, la condanna del binomio ordine e obbedienza, abusata giustificazione nazionale, è assoluta: Dopo la guerra l’obbligo di eseguire gli ordini lasciò in libertà gli autori dei massacri, permise che ritornassero a essere giudici, periti medici, poliziotti, professori.
Piccolo grande bel libro importante.
Un’immagine da "Il nastro bianco", magnifico film di Michael Haneke del 2009.
"L'hai protetto, sei rimasta sveglia ogni volta che aveva la febbre ; quanto amore, quanta dedizione e fatica ti sono sostate farlo crescere, e poi viene spedito là, semplicemente, viene mutilato e muore".
Dalla Germania giunge questo interessantissimo libro di U. Timm, uno dei più grandi autori della narrativa contemporanea. Alla base dell'opera , gli scritti (diario, lettere) del fratello , arruolatosi come volontario nelle SS e morto diciannovenne sul fronte russo nel '43. Lo scrittore aveva allora tre anni e di lui ricorda solo un ragazzo alto e biondo che lo sollevava da terra. L'opera è anche un resoconto sulla responsabilità delle persone comuni, oltre che ovviamente del potere, nelle tragedie della Seconda Guerra Mondiale. Ci sono domande 'senza sconti' e dettagli che, pur nella pacatezza della narrazione, sgomentano. Si tratta di un'indagine impietosa nel microcosmo della propria famiglia, quasi specchio della società tedesca ; uno scavo che approda, senza giustificazionismo alcuno, a un senso nuovo della pietas per delle persone acritiche, responsabili e vittime di un'immane catastrofe.
Com'è stato possibile che quel ragazzo trasognato, "a cui non è mai piaciuto giocare con i soldatini", si sia catapultato nel gorgo della tragedia? Secondo la madre, contraria all'arruolamento, i capi "avevano abusato dell'idealismo" del giovane. E il padre ? Qui il discorso deve inoltrarsi fra varie e pericolose ambiguità. Timm sa indagare molto in profondità : scandaglia i 'valori' che serpeggiano nella mentalità comune, trasmessi nella formazione del Super-Io di famiglia. Il padre, che pur non si era mai iscritto al Partito nazista e non ne amava i "modi troppo da teppisti", non metteva affatto in discussione "dovere e tradizione"; e neppure il 'coraggio', che però non contemplava il coraggio di dire di no.
Gli scritti del fratello paiono piuttosto reticenti, ma come una pugnalata giunge la frase: "a 75 metri Ivan fuma una sigaretta, un boccone per la mia mitragliatrice". Lo scrittore, mentre conduce le proprie indagini, legge libri di Primo Levi e altri autori che raccontano gli orrori subiti dalle vittime : è l'occasione perché lui, di una generazione cui era proibito piangere, pianga "tutte le lacrime soffocate". Un testo necessario, che non può lasciare indifferenti. Per molti, imperdibile.
short review for busy readers: German author Uwe Timm investigates the life of his much older brother, Karl-Heinz, who volunteered for the SS Totenkopf division and was killed in action in 1943, as seen against the backdrop of his family and society of the time. Translated into English with the rather misleading title of In My Brother's Shadow: A Life and Death in the SS. (The original German title is more accurately: "Taking My Brother As An Example")
in detail: The Timm family was not National Socialist, so why Karl-Heinz volunteered for an elite Nazi division instead of just joining up with the normal Wehrmacht has always been a mystery. Uwe, who was only 3 years old when his brother died, hopes to discover the answer by reading his war diary -- but comes up with nothing.
And that is the entire tone of this slim, biographical investigation: a mournful nothing.
At the end, Uwe knows little more than he did at the beginning. He can see the direct relationship between their father's Prussian values and Karl-Heinz's decision. He can see how the attitudes from WW1 -- how could we have lost?? -- echoed back strongly in WW2, and how the attempt to sublimate guilt or cowardice was handled differently in the East and West, making hypocrites out of many.
He looks sharply at their father and mother, their fur coat shop and how he and his (unwanted) sister grew up, but that still doesn't answer the primary question. Why did Karl-Heinz do what he did?
One of the most unusual parts of the narrative were the spooky occurrences surrounding Karl-Heinz's death and grave. Which as a ghost story fan, I very much enjoyed hearing about.
"Am Beispiel meines Bruders" is a melancholy, rather depressing, dive into a typical German family's typical story of confusion, loss and struggle against the background of a devastated, but still proud nation. It doesn't have much to do with the SS.
The German language audiobook is gorgeously narrated by Gerd Heidenreich. One of the best readers I've run across.
Fermo immagine. Un bambino sollevato in aria, capelli biondi. Forse nel mondo di oggi sarebbe una gif, con i capelli che svolazzano e il bambino che fluttua appena. È questo l’unico ricordo che Uwe Timm conserva del fratello Kurdel (Karl-Heinz) di sedici anni più grande morto in Russia durante la guerra a diciannove, quando lui ne aveva solo due, dopo aver subito l’amputazione delle gambe. Timm aspetta la scomparsa della madre e della sorella prima di poter pensare di scriverne e di iniziare le sue ricerche (il padre era già morto trent’anni prima), che nessuno dei suoi cari, sia più in vita. La sua scelta è dovuta a una forma di pudore sentimentale così forte che non si può che cercare di comprendere, alla natura contraddittoria del suo percorso interiore: lui che è stato così in contrasto con il padre, arruolato nella Luftwaffe durante la guerra, lui che di questo fratello, amatissimo e idealizzato, non ricorda e non condivide la scelta di arruolarsi nelle SS-Totenkopfdivision (che come segno distintivo portavano sul berretto e sulle mostrine un teschio), lui che è legato, nonostante tutto, alla sua famiglia, le cui donne, come spesso accade, sono distanti da certe scelte e ostili alla guerra capace di portare solo morte e distruzione, dalla tenerezza di uno sguardo che arriva a posarsi fin dove lui non poteva avere coscienza di nulla.
Tutto quello che resta di suo fratello, tutto quello che conserva, dopo oltre sessant’anni dalla sua morte, sono i ricordi tramandati dalla madre e dal padre, che adoravano questo figlio (diciott’anni, non dimentichiamo, per quanto nazista, che aveva soli diciotto anni quando fu risucchiato nell’inganno ideologico del nazionalsocialismo), e da una scatola di cartone, restituita dopo la sua morte dalle SS, con le lettere, le decorazioni, un paio di foto, un tubetto di dentifricio e un pettine. E sul pettine c’è quel che rimane del suo corpo, qualche capello biondo.
Il taccuino, brevi appunti scritti frettolosamente a matita durante la guerra in Russia, il fatto che sia stato scritto e poi consegnato alla famiglia, è di per sé un miracolo: era proibito farlo - questioni di sicurezza, sarebbe potuto cadere in mani nemiche e rivelare indicazioni preziose - e anche il fatto che sia stato successivamente inviato ai familiari, insieme al mozzicone di matita e al dentifricio seccato nel tempo, è da imputare a un eccesso di burocratico adempimento alle pratiche di evasione e restituzione degli effetti personali.
Uwe Timm che cerca di prendere le distanze da tutto ciò, più di quanto non abbia mai fatto nel suo stupore e nella sua estraneità alle scelte di padre e fratello, parlando dell’uno e dell’altro usando l’articolo indeterminativo - “Il padre”, il fratello”, talvolta anche “la madre” e “la sorella” - ma che spesso tradisce l’affetto per tutti loro usando il pronome possessivo, la tenerezza di chi, cinquant’anni dopo la fine della guerra, adulto egli stesso, si trova a cercare di comprenderne gesti, azioni, ma soprattutto, sentimenti. È un’elaborazione del lutto e dei sensi di colpa, quella di Timm, molto diversa da quella già affrontata durante la lettura di Storia naturale della distruzione di W.G. Sebald, che analizza le cause, gli effetti e le reazioni del popolo tedesco tutto, mentre quella di Timm parte dal privato, cercando di riempire un buco che si consuma dentro di lui, che come un’ulcera lo consuma e lo dissangua da dentro.
Sono due le frasi intorno alle quali Uwe Timm si blocca, che gli impediscono di capire, nel primo caso di accettare forse l’evidenza. «A 75 metri Ivan fuma una sigaretta, un boccone per la mia mitragliatrice», scrive Karl-Heinz durante l’avanzata in Russia: una frase agghiacciante, che non lascia trasparire alcuna esitazione, né timore, ma indifferenza nei confronti della morte che si appresta a seminare; così come non c’è pentimento, né alcuna altra forma di dissociazione o di dubbio nei confronti di quanto la sua divisione, che semina morte e distruzione fra i civili nelle città russe subito dopo il passaggio della Wehrmacht, nelle lettere che scrive ai genitori, in cui invece si dispera e si arrabbia, indignandosi, per quanto gli alleati compiono bombardando le città tedesche e la sua amata Amburgo.
Com’è stato possibile, si chiede Timm, com’è potuto succedere? Com’è stato possibile che persone come lui, carne della sua carne, sangue del suo sangue, com’è stato possibile che una nazione intera abbia abdicato alla ragione o abbia fatto finta di non sapere, di non vedere? Ripercorre la vita della sua famiglia, quella del padre pellicciaio, mai iscritto al partito nazista, ma incapace di prenderne le distanze, dopo la guerra sempre in cerca di qualcosa che gli restituisse una promessa di futuro, la storia del suo nucleo familiare per cercare di estendere a tutta la nazione il processo attraverso il quale si è deciso di non guardare, di non vedere, di non capire.
E poi l’ultima, sorprendente, Qui chiudo il mio diario perché trovo assurdo fare un resoconto delle cose orribili che succedono»: senza una spiegazione, senza che nessuno, nessuno, avesse più il tempo per potergli chiedere quali fossero le cose orribili che stavano succedendo: le migliaia di ebrei trucidate a Babij Jar senza che nessuno, se non poco più di una decina di soldati, si rifiutassero di sparare, nonostante gli avessero detto che potevano farlo senza conseguenze? I russi sterminati lungo il cammino? I compagni feriti o morti in combattimento?
Mi sono chiesta a lungo, continuo a chiedermi, quale sia l’esatto significato del titolo: Come mio fratello, a indicare che siamo fatti della stessa carne, ma diversi? Oppure, più correttamente, Sull’esempio di mio fratello (Am Beispiel meines Bruders), come lo stesso Matteo Galli, Germanista e traduttore, traduce più correttamente nella postfazione al romanzo La scoperta della currywurst? E in questo caso, allora, qual è l’esatta sfumatura che spiega il suo significato?
Commovente, toccante, importante, come la lettura successiva de La scoperta della currywurst, in cui tornano sotto forma di romanzo alcuni elementi autobiografici della vita della famiglia dell’autore, mi ha confermato. Un autore che voglio continuare a leggere e a scoprire, una voce che desidero continuare ad ascoltare.
Kardeşimin Gölgesinde, yazar Uwe Timm’in trajik aile tarihi temelinde Nazizimin damga vurduğu Alman yakın tarihini ve toplumunu sorgulayan müthiş bir anlatı. Yazarın 2. Dünya Savaşı sırasında elit bir SS birliğine gönüllü olarak katılan ve savaş sahasında ölen - babanın favori oğlu - abisinin hikayesi eksene oturtulmuş. Abinin cephede tuttuğu günlükler, gönderdiği mektuplar da alıntılanıyor. Bu kısa alıntılar savaşın gerçeklerini içinize işliyor, darmadağan ediyor. (Bu arada abinin Ukrayna sahasında savaşmış olması, şu sıralarda bu ülkede yaşanan diğer bir savaş bağlamında acı bir şekilde tanıdık geliyor.) Savaşta düşmana yapılanların normalleştirilmesi ya da görmezden gelinmesi, buna karşılık düşmanın yaptıklarının öne çıkarılması, empati eksikliği yalın ama etkili bir şekilde vurgulanıyor. Savaş sonrasında Alman toplumunun Nazilerin yaptıklarından haberdar olmadıkları veya sadece verilen emirlere uydukları iddiaları da özlü bir şekilde yerle bir ediliyor. Aile bireylerinin (baba, anne, abla, abi ve “tekne kazıntısı” 1940 doğumlu yazar) portrelerinin çok iyi çizilmiş olması, yaşananların ideolojik bir bakışla değil, nesnel ve tarafsız bir gözle aktarılması ve analiz edilmesi, Almanya örneği bakımından anlatılanların ne yazık ki bugün hala birçok ülke ve toplum için de geçerli olması kitabı çok değerli kılıyor. Ayça Sabuncuoğlu’nun çevirisi de çok iyi.
«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare» Martin Niemöller
Gran brutto ruolo quello del fratello minore quando quello che viene prima di te è perfetto. Se poi è morto da eroe, in guerra, arruolato volontario in uno dei reparti più feroci delle SS non hai scampo. Così a Uwe Timm, il figlio rimasto, quello piccolo, non rimane altro, finita la guerra in quel modo che sappiamo per il terzo Reich, che farsi quelle domande che da decenni ci poniamo tutti nei confronti dello sterminio di migliaia di uomini: “come abbiamo potuto? Davvero non abbiamo saputo? Cosa potevamo fare che non abbiamo fatto?” Lo fa riprendendo in mano il piccolo diario di appunti arrivato a casa alla morte del fratello, ponendo delle domande al padre, alla madre, alla sorella più grande, analizzando la propria storia famigliare per comprendere cosa accade al suo popolo. Come mai pochissimi si ribellarono, perché in tanti così inclini alla violenza fino a renderla un fatto normale. Con grande sorpresa degli ufficiali americani che li interrogavano quegli uomini, (gli ufficiali tedeschi – ndr) non erano bruti primitivi, ma persone con una cultura letteraria, filosofica e musicale, uomini – si vorrebbe che non fosse possibile – i quali ascoltavano Mozart e leggevano Holderin. Erano pienamente consapevoli dei loro crimini.. Quindi nemmeno la cultura, né l’educazione, non la cosiddetta vita spirituale ha impedito ai carnefici di commettere le loro atrocità. Dietro c’era un popolo intero abituato alla violenza da sempre: E’ la lingua appresa che rende più facile uccidere: uomini inferiori, parassiti, insetti nocivi la cui vita è sporca, degenerata, animalesca. Sterminare tutto questo col gas è una misura igienica E’ un popolo cresciuto nel mito del sangue e della purezza della razza, perfino al più modesto dei paria era stato inculcato che era meglio sorvegliare con un fucile in mano il lavoro di dodici uomini inferiori piuttosto che lavorare. Era l’elemento coesivo di quell’ideologia di dominatori. E non è vero che non ci si poteva rifiutare. Timm cita il massacro di Babij Jar, in cui furono sterminati 33.771 ebrei, tra cui vecchi, donne e bambini: nel processo che ne seguì decenni dopo fu chiaro che sarebbe stato possibile rifiutarsi di eseguire l’ordine senza timori di sanzioni disciplinari. Ma solo 12 dei circa cinquecento soldati si fecero avanti e consegnarono le loro carabine ricevendo altri incarichi. All'avvicinarsi dell'Armata Rossa, nell'agosto del 1943 i nazisti cercarono di occultare le prove del massacro. I reparti speciali delle SS impiegarono 327 prigionieri per esumare e bruciare i corpi. I prigionieri portarono a termine il compito in sei settimane, e poi vennero a loro volta uccisi. Nascondersi dietro agli ordini da eseguire era una scappatoia che permise alla maggior parte di non prendersi la responsabilità, di trovare delle scuse, reagendo con la pretesa saccente di avere ragione: la colpa fu degli alleatiperché gli inglesi e gli americani non avevano bombardato i binari che portavano ai Lager? Visto che ne erano a conoscenza fin dal 1943. Perché non avevano bombardato i forni crematori? Perché non avevano accolto tempestivamente gli ebrei negli Stati Uniti? … invece di interrogarsi sugli autori, sulla colpa, sulle cause della crudeltà e della morte. Timm si interroga sulla sua generazione, fatta di ragazzi a cui era stato proibito piangere, a cui si chiedeva il costante controllo, e l’abitudine a obbedire. Obbedire senza discutere, perché conveniva, perché era più comodo, perché era meglio non cercare guai, come si può ben comprendere dal libro di Hans Fallada Ognuno muore solo: un popolo in divisa. “Avremmo dovuto chiederci dove erano finite le due famiglie ebree nostre vicine, ma non l’abbiamo fatto” Solo una cosa ci può salvare, riflette Timm: Il coraggio di dire di no, senza il sostegno degli altri. Non servo. Il peccato originale nella religione e in ogni sistema totalitario fondato su ordine e disciplina. Dire no, anche contro la pressione della collettività. Un tedesco che ha avuto il coraggio di interrogarsi. Un libro che apre uno spiraglio per comprendere. L’ho letto tutto d’un fiato, e ringrazio chi me l’ha consigliato.
… E mentre scrivo questo commento mi scorre l’occhio sulle news del cellulare: “Sparano a uno straniero e esultano”
Uno dei più bei libri sull’elaborazione dell’adesione al nazismo.
comperato in cartaceo, e riletto. E la capacità di scavo di analisi di introspezione "famigliare" colpisce ancora di più. Timm non cerca scusanti per i suoi famigliari, per le vicissitudini umane e l'adesione alle SS del fratello diciottenne, inquadrata esattamente per quello che è stata. Morto in un ospedale da campo forse poco dopo aver compreso l'orrore. Forse. Da poche righe del diario, che potrebbero essere interpretate in questo modo. Però Timm non si crogiola in questa illusione. Si dice lucidamente che potrebbe essere così. Oppure no. Il libro non cerca assoluzioni, o auto-assoluzioni. Cerca di capire. Cerca di rendere onore alle vittime dell'orrore ripercorrendone pochi passi - le parallele vicissitudini famigliari e quelle dei territori occupati - e riconoscendo le colpe individuali e collettive di una nazione.
من بدون هیچ پیش زمینهای رفتم سراغ این کتاب، ابتدا تصور میکردم رمان یا داستان بلند باشه، اما اصلا چنین چیزی نیست. برادر نویسنده که ازش ۱۶ سال بزرگتره به شاخهی نظامی اس.اس ارتش آلمان پیوسته و به جنگ رفته حالا یادداشتها و نامههاش دست برادرشه و اون ضمن نوشتن و صحبت از اون یادداشتها نظرات خودش رو هم میگه. اولین چیزی که ما در این کتاب از زبان برادرش میخونیم نامهای هست که در زمان مجروح شدن فرستاده و گفته هر دو پاش، یکی از زانو و یکی از ران، قطع شده و به زودی برمیگرده، اما هرگز برنمیگرده و چند روز بعد میمیره. این کتاب خیلی پراکنده است. به نظر من هر کتابی به جز کتابهای تخصصی، باید حداقلی از جذابیت برای خواننده داشته باشه تا شما رو همراه کنه برای ادامه دادن در غیر این صورت هرچقدر هم حرفهای مهم و عمیقی داشته باشه وقتی کسی رغبت به خوندنش نکنه چه فایده؟ این کتاب برای من جذابیت حداقلی رو نداشت و به سختی تا انتها خوندم با اینکه صفحات زیادی هم نداشت و همین باعث شد اونقدری که باید عمیق نشم توی مطالب. در نهایت دید متفاوت کتاب از نگاه آلمان نکتهی خوب و جالب کتاب بود.
Una volta di più ringrazio tutti gli amici di GR che mi hanno segnalato Uwe Timm che ho conosciuto ed apprezzato già con “ la scoperta della Currywurst “ (in particolare Capobanda , lei-sa-perché-) Piccola pausa, ma non vedo l’ora di leggere “ la volatilità dell’amore “ e di prendere “ un mondo migliore “ Stavolta le 5 stelle mi sento di darle: mi piaciuto tutto di questo libro !
Uwe Timm was born in 1940; his brother Karl-Heinz, sixteen years his senior, volunteered in 1942 for the SS Death Head's Division. One year later his older brother died on the Russian front (near Kiev). From that time forward, within his family, the author lived in his brother's shadow:
"He accompanied me through my childhood, absent and yet present in my mother's grief, my father's doubts, the hints my parents dropped when they were talking to each other. They told stories about him, little tales of situations that were always similar, showing how brave and decent he was. Even when he wasn't the subject of discussion he was still present....in anecdotes and photographs, and in the comparisons my father drew with me, the younger son, the afterthought" (4).
But the author was only 3 at the time of his brother's death, and thus has just a few memories of the big brother, whose death defined his life.
Roughly sixty years later, the author sets out to understand his brother's life and find out what role he may have played in Nazi war crimes -- a task which for years he had dared not tackle, in part because he did not wish to upset his mother and sister and in part because he feared that he would learn that his brother took part in the massacre at Babi Yar.
The author begins the process of discovery by reading the diary that his brother kept while at the front -- one of the items returned to the family by his commander after his death. But the diary tells him little about how his brother felt about what he saw or did on the Eastern Front. There are no mentions of "clean-up" actions or any references to Russian prisoners or to Jews: "I find no express justification of killing in my brother's diary, nothing resembling the ideological instruction given to the SS. It is just a normal view of daily life in war" (85). But what is almost absent from the journal is empathy. His brother fails to see the parallels between the German destruction of homes in the Ukraine and the bombed building in Hamburg, where his family lives. The former he describes as normal war action; the latter, he labels murder. This distinction unsettles his younger brother:
"It is hard to comprehend and impossible to trace the way sympathy and compassion in the face of suffering could be blanked out, while a distinction emerged between humanity at home and humanity here in Russia. In Russia, the killing of civilians is normal, every day work, not even worth mentioning; at home, it is murder" (84).
This distinction in his brother's writings prompts the author to explore the dynamics that informed Nazi war crimes and the rationales used in the immediate postwar years to absolve oneself and one's nation of responsibility:
"My father's generation, the generation of perpetrators, lived by either talking about it or saying nothing at all. There seemed to be only those two options: either you kept discussing it or you never mentioned it, depending on how oppressive and disturbing you felt your memories to be...The terror was broken down into details, made comprehensible, domesticated" (93).
Both the silence and the verbal acrobatics of perpetrators haunt the author -- defining his conflicted postwar relationship with his father and his memory of his brother:
"If he had survived, what would my brother have thought of that book Ordinary Men ? How would he now see his time in the army? Would he be a member of one of the SS veteran's associations? What would he say if he could read that sentence of his today: 75 m away Ivan smoking cigarettes, fodder for my MG?" (142).
This casual, impersonal attitude defines much of the diary. In fact, only the last entry hints that the horror of the front has become too much for his older brother: "I close my diary, because I don't see any point in recording the cruel things that sometimes happen." And yet as the author anxiously notes, this cryptic message does not make clear what constitutes a cruel act in his brother's eyes:
"Does that insight, his knowledge that he cannot write of such cruel things, extend to his enemies and victims too, to Russian soldiers and civilians? To Jews? The diary contains no anti-Semitic remarks...On the other hand, there is no phrase betraying anything like sympathy...His notes show neither a killer by conviction nor incipient resistance" (140).
Instead his diary depicts someone who is committed to obedience and to the group, and hence to the contemporary understanding of valor. Courage did not mean abjuring obedience or standing alone against the group for what is right.
Raw in its emotion, this memoir offers a compelling account of a second-generation German trying to come to terms with Nazi war crimes and his family's role in their perpetrations.
E’ solo nel 2003 che lo scrittore tedesco Uwe Timm riesce a pubblicare questo libro di memorie. Morti tutti i componenti della sua famiglia si sente libero di fare riflessioni che partono dal fratello maggiore Karl-Heinz maggiore di sedici anni. La penna di Timm esprime i pensieri conflittuali della seconda generazione tedesca che si è trovata, suo malgrado, a dover sostenere il peso di una colpa.
Karl-Heinz si era arruolato volontario nelle Waffen-SS, ossia il reparto SS specializzato in chirurgiche operazioni militari.
Volontario eppure già da li nascono i dubbi:
” Era stata solo la realizzazione silenziosa di quel che il padre desiderava, in sintonia con la società”?
I ricordi di un bambino di tre anni non sono sufficienti e quindi si serve di un diario, delle lettere spedite dal fronte orientale e di alcuni racconti fatti nel tempo.
Il diario si ritrova miracolosamente nelle sue mani quando in realtà alle SS era vietato lasciare tracce scritte. Fu restituito dopo la morte del fratello (a seguito dell’amputazione delle gambe) assieme ad una scatola
“una piccola scatola di cartone con le lettere, le decorazioni, un paio di foto, un tubetto di dentifricio e un pettine.”
Parlare del fratello significa soprattutto parlare del padre per far luce sia sul contesto domestico sia su quello nazionale. Sono tante le domande che martellano Uwe Timm che si chiede come fosse possibile non rendersi conto delle atrocità che si stavano commettendo.
” Come vedeva se stesso il fratello? Quali sensazioni provava? Riconosceva qualcosa come la responsabilità dei crimini, la colpevolezza, l’ingiustizia?”
Un libro importante perché in modo intelligente riesce a decostruire la consueta messa in scena dove si snocciolano mille giustificazioni e dietro alla quale molti tedeschi si sono rifugiati.
Timm ricolloca i tasselli morali dove le responsabilità sono di tutti: dal Fuhrer, ai generali ad ogni soldato...come suo fratello.
” Qui chiudo il mio diario perché trovo assurdo fare un resoconto delle cose orribili che a volte succedono.”
"Wissen, to know, derives from an Old High German root, wizzam, to see, to look. They did not know because they would not see, they looked away. Hence the frequent excuse: we didn't know about it. They did not want to see, they looked away."
This quote from page 134, of the edition I read, tells you more about what this short biographical/memoir novel is about than all the synopsis provided by publishers and reviewers. Yes it is the story of the author's older brother Hans who died of his wounds in Ukraine in October 1943 told from Hans letters to his parents and brief entries in a diary he kept. The author has virtually no memory of the brother who was sixteen years older than him we died. His brother is present as an absence, but one that dominated his childhood and stands in for the inability of his parents generation to come to terms with, or admit to responsibility for, what happened during the entire Nazi period, and that was the greater absence that ended up defining who and what Germany became as the children of the authors generation, those born during the war or just after, who had no real memory of it, and would grow into maturity in the late 1950's and early 60's started questioning their parents generation and forcing the nation to face up to what had happened.
It is a startlingly brilliant and moving account because it is a story of family and its small struggles and tragedies all played out within the larger course of German history. I deliberately did not start reading this book until I had finished Nicholas Stargardt's 'The German War' (a history of the German people in WWII) and I am glad I did. Stargardt does not mention Uwe Timm's book as a source, as it is a novel and not strictly a memoir this makes sense, but so much of what Stargardt explores and tries to make plain on a broad canvas is here in Timm's exploration of his brother and family's experience.
I could go on and provide examples but that would be reductive of Stargardt's monumental work and pointless in terms of Timm's incisive miniature response to the same themes and challenges. In ways though Timm's is more excoriating and honest, he doesn't have to present a historian's balanced perspective. He can interject and cut through to the heart of a matter, such as his parents generations inability to see that what Germany did to the cities and peoples of the Soviet Union was what allied bombings were doing to Germany. Do not look for or expect any equivocation over responsibility in Timm's account, but that doesn't mean his portrait of his family and never known brother is lacking in passion and emotional depth.
Il periodo più tragico del nostro ultimo cinquantennio almeno un aspetto personalmente positivo lo ha avuto: MoglieRiccia, con il commuovente anelito professionale ed educativo che mi ha fatto innamorare – insieme a tutto il resto – ha abbracciato la didattica a distanza, il che mi ha consentito di godermi per la prima volta la sua (pur virtuale e certamente non paragonabile) presenza in classe. Così, fra una call e l’altra, o mentre cercavo di vergare una mail, dal piano di sotto giungevano echi di terzine dantesche o scenari storici, e io mi interrompevo un attimo e mi beavo.
Deve essere anche per questo che ho letto un sacco di roba storica, ultimamente. Alcuna di livello, altra rivedibile, e il tempo è sempre più tiranno. Per cui dovrò accoppiarli a due a due e proverò a farvi risparmiare qualche topica.
Ad esempio, Ultimo. Il memoriale inedito della guardia del corpo di Hitler (1940-1945), che avevo in wish list da un po’, è stata una cocente delusione. Livello letterario bassino (e ci può stare), ma soprattutto un continuativo sottolineare il “passavo qui per caso e non ho visto nulla di particolare” che, francamente, dopo un po’ supera il fastidioso e approda al ridicolo. Non mi spingo a definirlo revisionista, per carità, ma se ne può serenamente fare a meno.
Di una pasta to-tal-men-te diversa Come mio fratello, racconto autobiografico dello scrittore tedesco Uwe Timm che ha scalato pagina dopo pagina la mia top five dei libri migliori letti in questo primo semestre particolare. Temo non sia semplicissimo da reperire ma vi assicuro che vale ogni stilla di sudore impiegato per recuperarlo: la vicenda di un soldato tedesco nella seconda guerra mondiale e, soprattutto, della sua famiglia che attende notizie dal fronte e del fratello minore, cresciuto nella memoria di uno che aveva combattuto dalla parte sbagliata della Storia. Emozionante, onesto, regala uno sguardo sulla condizione morale tedesca nel secondo dopoguerra con una semplice umanità che tocca il cuore. Bellissimo.
كما أن الشيطان يكمن في التفاصيل فإن الفن الجميل يكمن أيضا في ملاحظة وتسجيل التفاصيل الإنسانية البسيطة والحميمة، كما في هذا الكتاب البديع. هذا كتاب عن الذاكرة، وعن الوعي، وعن حياة البشر، وكيف يتأثرون ويتغيرون بالأحداث الجسيمة المحيطة بهم. سيرة ذاتية جميلة وعذبة
Uwe Timm was 2 years old when his brother died on the Eastern front, as part of the Waffen-SS. All he has of his brother is a tiny memory fragment of someone blond, a frustratingly vague diary his brother kept, and the word of his parents that his brother was a good kid. An idealist who didn't hate anyone, who couldn't be a coward and refuse to do his part, who definitely wouldn't have been part of... y'know, that. Who just wanted to serve his country like his father had before him. And sure, his father was a difficult person to live with, but his mother was a truly kind person who could never have raised someone who would do... well, that.
So how come that diary doesn't mention any details? How could a good kid - and by extension, a country full of good people - witness all that, even if they weren't actively part of it, and choose not to see it, and later to see it as something that happened to them? Where does that come from? Isn't that the most cowardly thing of all?
We lost both our home and our boy, was one of the sentences they used to not have to think about the reasons. They thought that with this suffering, they'd done their part in atoning for what happened. Everything was dreadful, partly because they were supposedly victims, victims of an incomprehensible collective destiny.
Timm had to wait until the rest of his family had died to write this; not because he couldn't ask them, but because he'd already heard their answers a hundred times and they didn't tell him anything new. His father who became a bitter drunk mumbling about how they could have won the war honourably if not for Hitler, his mother who kept wondering what really happened to her son, his sister who only remembered him as a... kid. He digs into it, tries to find out what he can about his brother, tries to figure out what Gitta Sereny called the German Trauma. Other writers have written more about that, but he sticks to the personal angle. There are no easy answers there, and in the end the book sort of peters out - as it probably should. But the way there is a fascinating, painful read.
A Uwe Timm non è bastato questo percorso, bello e doloroso, per perdonare a suo padre e al suo Paese la colpa di aver continuato a chiedersi per anni se la guerra si sarebbe potuta vincere, per perdonare a suo padre e al suo Paese la colpa di non aver disobbedito quando si poteva, per perdonare a suo Padre e al suo Paese la colpa di aver vestito di parole reboanti modeste ambizioni piccolo borghesi. E men che meno gli è bastato per perdonare a suo padre e al suo Paese il ricordo di un fratello morto volontario in Russia a diciannove anni, amputato delle gambe e di ogni parvenza di umanità.
Questa è una storia di padri, figli e fratelli e forse più di quanto lo stesse autore prevedesse, emerge alla lettura una caratteristica che accomuna queste colpe imperdonabili e le pone sotto il segno del maschile. Ne resta alla fine l'impressione che, più ancora di tutte le cause socio/politiche, a determinare nella coscienza dei singoli la possibilità di quelle mostruosità sia stata la perdita dell' equilibrio essenziale tra maschile e femminile. Al di là dei meriti del libro, molto toccante, uno spunto di riflessione prezioso.
Odlična knjiga! Ovo je priča o nemačkoj porodici smeštenoj u periodu pre, tokom i posle WW2. Autor govori o svom bratu, pripadniku SS-a koji je poginuo tokom rata, a koga nije dovojlno poznavao. Priča se osvrće i na njegov odnos sa ocem, majkom i sestrom. Pored pe porodične priče, paralelno se provlači i pitanje samog rata, nacionalsocijalizma i pitanje krivice. Zrelim razmišljanjem i iznošenjem argumenata, ovo je jedna od knjiga koju svako treba da pročita kako bi bolje shvatio ulogu koju je u životima ljudi ostavio najveći rat u ljudskoj istoriji.
مشکل کتاب این است که فکر میکنید با یک رمان طرفید ولی در واقع این کتاب یک زندگینگاره است و پُر از خاطرات پراکنده با محوریت برادر نویسنده و راوی. نوع روایت پرکشش و جذاب است اما گاهی شرح وقایع کسلکننده میشود به خصوص وقتی که راوی به جای زندگیاش به بیان تاریخیِ جنگ میپردازد!
Erst als seine Nachforschungen niemanden mehr wehtun können, beginnt der Autor mit der Annäherung an seinen sechzehn Jahre älteren Bruder. Karl Heinz wurde 1924 geboren und starb 1943 im Lazarett nach einer schweren Kriegsverwundung. Er hatte sich freiwillig zum Militär gemeldet, war zur Ausbildung in Frankreich und wurde dann an die Ostfront in der Ukraine versetzt. Nach seinem Tod bekommt die Familie sein Tagebuch und seine Briefe sind erhalten. Doch was hat er wirklich über den Krieg und seinen Einsatz gedacht, was hat er gefühlt. Das wenige, was bekannt ist lässt keine eindeutigen Schlüsse zu.
An den Bruder kann er sich kaum erinnern, zu klein war Uwe Timm als der Ältere in den Krieg zog. Zunächst wohl sogar mit Vorfreude und Enthusiasmus. Doch Jahre später versucht der Autor mehr zu ergründen. Zwar nimmt er das Leben seines Bruders zum Anlass und zum Ansatzpunkt. Doch er versucht auch das Verhalten seiner Eltern und der vielen Verwandten und Bekannten, ja, aller Deutschen im dritten Reich, im zweiten Weltkrieg und auch danach zu deuten, zu ergründen. Der Vater haderte mit dem verlorenen Krieg, der Sohn gefallen, aber keine Gedanke an die Juden, kein Gedanke, dass man vermutlich selbst Schuld war an dem Leid, das die Familie zweifellos erfahren hat.
Vielleicht ist es an der Zeit, dass Personen, die einigermaßen mit Vernunft gesegnet sind, anfangen, die Vergangenheit ihrer Eltern und Großeltern zu hinterfragen. Eine Diktatur kann nicht entstehen, kann keinen Krieg vom Zaun brechen, wenn nicht eine erhebliche Anzahl von Menschen mitmacht. Über die Schuld der Vorväter sollte man wenigstens Bescheid wissen. Und es sollte das Möglichste getan werden, um eine Wiederholung zu verhindern. Zwar kommen einem beim derzeitigen Zustand der Welt, auch ehemals vernünftiger Nationen, Zweifel auf, ob überhaupt noch etwas verhindert werden kann. Aber einen Versuch ist es wert. Dem Schriftsteller Uwe Timm ist vor vor längerer Zeit aufgefallen, dass diese Aufarbeitung für ihn notwendig ist. Damit geht er, an dem man sich ein Beispiel nehmen kann, voran und fördert einiges zutage, was vielleicht auch für einige Leser interessant sein kann. Viele werden in der eigenen Familie ähnliche Lebensverläufe haben wie den des Bruders und des Vaters. Es hilft, wenn auch aus Ähnlichkeiten Erkenntnisse ableiten kann. Ein beindruckendes und nachdenklich stimmendes Buch, von dem eine ältere Ausgabe gelesen wurde.
Pagina 86: Da quando lavoro a questo libro, da quando continuo a leggere e rileggere le lettere, il diario ma anche i documenti, i resoconti, i libri, di nuovo Primo Levi, Jorge Semprun, Jean Améry, Imre Kertész e Uomini comuni di Browning, da quando giorno dopo giorno leggo dell’orrore, dell’inconcepibile, mi fanno male gli occhi, prima l’occhio destro, uno scollamento della cornea, poche settimane dopo l’occhio sinistro e la cosa si è ripetuta, ora per la quinta volta, un dolore insopportabile, atroce. Non sono particolarmente sensibile al dolore, ma questo dolore non mi lascia dormire, mi rende impossibile leggere e scrivere, un dolore che non solo fa lacrimare l’occhio interessato ma anche l’altro, io che appartengo a una generazione alla quale era stato proibito di piangere – un ragazzo non piange – io piango, come se dovessi piangere tutte le lacrime soffocate, piangere anche per l’ignoranza e per la volontà di ignorare di mia madre, di mio padre, di mio fratello, per quel che avrebbero potuto, dovuto sapere, secondo il significato della parola “sapere”, racchiuso nella radice dell’antico alto tedesco wizzan: “scorgere”, “vedere”. Non hanno saputo perché non volevano sapere, perché hanno allontanato lo sguardo. L’affermazione continuamente ripetuta viene perciò giustificata: non lo sapevamo – non si voleva vedere, si era allontanato lo sguardo.
Niektórzy pisarze noszą w sobie historię, która po przelaniu na papier staje się książką ich życia: dosłownie i w przenośni. Ta pozycja jest przykładem tego rodzaju opowieści - wyrastającej z osobistych doświadczeń pokolenia naznaczonego wojną, które jednak bezpośrednio nie brało w niej udziału, opowieści utkanej ze wspomnień, spostrzeżeń, obserwacji, niewygodnych pytań, rozczarowujących odpowiedzi, krytycznych osądów i bezkompromisowych opinii. Te kłopotliwe pytania i niesatysfakcjonujące odpowiedzi dotyczą przyczyn, dla których brat autora, osiemnastoletni chłopak, mocno chorowity w dzieciństwie i przekładający lekturę nad zabawę ołowianymi żołnierzykami zdecydował się dobrowolnie wstąpić do Waffen-SS. Co skłoniło tego zdystansowanego od polityki marzyciela, będącego charakterologiczną antytezą żołnierskiego ideału do zgłoszenia się na ochotnika, bez czekania na mobilizację, i to nie byle gdzie, bo do elitarnej dywizji Totenkopf? Bratu autora nie było dane odpowiedzieć na te pytania - zginął na Ukrainie w 1943 r., kiedy Uwe Timm był zaledwie trzyletnim brzdącem, niewiele rozumiejącym z otaczającej go rzeczywistości. Błyskawicznie jednak dane mu było przekonać się o fałszu świata dorosłych, gdy stukanie obcasikami i rzymski salut, które jeszcze niedawno w wykonaniu małego smyka budziły wesołość i aplauz jego rodziców, nagle są mu surowo wzbraniane pod groźbą klapsa lub innej, równie dotkliwej dla takiego malucha, kary.
Mimo że wiek autora przekreślił jakąkolwiek możliwość posiadania wspomnień z osobą brata, był on stale obecny w jego dorastaniu: pod postacią zdawkowych rozmów między rodzicami, ukradkowych spojrzeń i wymownych westchnień. Kolejne wiosny jego życia spowodowały narastanie w nim niewygodnych pytań dotyczących osoby brata. Najbardziej dręczące z nich, "dlaczego?", spotykały się z różnymi odpowiedziami - że brat wstąpił do Waffen-SS z idealizmu. Że nie chciał odstawać z boku. Że do wojska zapędziła go presja ze strony rówieśników. Że nie chciał się wykręcać od służby, która i tak była nieuchronna... Zrozumienia postawy i decyzji brata Uwe Timm poszukuje w autentycznych listach i zapiskach frontowych brata, których istotne fragmenty cytuje w swojej książce. O ile zapiski frontowe niewiele mówią, poza zdawkowym opisem żołnierskiej rzeczywistości i relacją z postępu ruchu wojska, o tyle listy zdradzają o wiele więcej. Choćby sam fakt, jak brat je zakańczał. Listy do matki podpisywał żartobliwym pseudonimem, nadanym sobie w dzieciństwie. Korespondencję dla matki obejmował autocenzurą. W listach do ojca nie krył zaś niczego z niebezpieczeństw, na jakie wystawiona była jego dywizja, a każdy list kończył "Twój druh Karl-Heinz". No właśnie... "Twój druh". Konsekwentnie stosowane listowne pozdrowienie, zdradzające chęć nawiązania męskiego braterstwa, dorównania (a raczej przypodobania się) ojcu, który walczył w obu wojnach światowych.
Bo w istocie analizując listy brata oraz wydarzenia powojenne, Uwe Timm dochodzi do wniosku, że to nie żaden idealizm ani presja rówieśnicza, tylko niezwerbalizowane, acz oczywiste oczekiwanie ze strony ojca pchnęło osiemnastolatka do dobrowolnego zaciągnięcia się do armii. Większość książki jest swoistym aktem oskarżenia pod adresem pokolenia jego ojca, pokolenia - dodajmy - pozbawionego poczucia winy i chęci przyjęcia odpowiedzialności za okrucieństwa wojny. Wciąż szokujące są relacje autora mówiące o tym, jak rozgrzeszano czy bagatelizowano m.in. udział jego brata w wojennej machinie Zagłady - przecież Waffen-SS nie uznano za organizację zbrodniczą, a Wehrmacht uchodził za normalne, regularne wojsko. Organizacją zbrodniczą były NSDAP, SS czy SD, ale nie dywizja, w której służył jego brat. Wina zawsze leżała po stronie innych - dowódców i przełożonych, a nie trybików w dobrze naoliwionej nazistowskiej maszynie. Stan wyższej konieczności spowodowany rozkazem wojskowym stał się magiczną formułą, na jaką powoływał się każdy, od szeregowca zaczynając na feldmarszałku Keitlu kończąc. Nie mniej szokujące są ewokowane z pamięci opisy wspomnień nocnych Niemców rozmów, kiedy to ojca autora odwiedzali dawni towarzysze broni, by ponarzekać na smutne powojenne czasy, ale również, by ponownie przenieść się np. na pola Stalingradu czy na łuk kurski - i odsuwać od dowództwa nieudaczników, rzucać kolejne dywizje naprzeciwko Sowietów, pozbawiać dowództwa Hitlera, korygować strategiczne decyzje - wszystko ze świadomością tego, że te odtwarzane gry wojenne nierozerwalnie wiązały się z Holokaustem. Trudno pojąć, że po wojnie, gdy wiedza o systematycznym zabijaniu Żydów stała się powszechna, można było toczyć, nawet w prywatnym zaciszu, dywagacje na temat tego, jak było można tę wojnę jednak wygrać.
Nawet najszlachetniejszy charakter i najbardziej marzycielska postawa brata nie zmienią tego, że stał się częścią koszmaru Zagłady. Mimo to stale stawiany był autorowi za wzór do naśladowania. Wzór dzielności, posłuszeństwa, męstwa, odwagi, honoru. Należało okazać posłuch nauczycielowi w szkole. Być posłusznym wobec rodziców. W konsekwencji zaś, być posłusznym w wojsku, choć jak odnotowuje autor, ci którzy odmówili wykonania rozkazu zabicia Żydów, nie zostali postawieni przed sądem wojennym, ba - nie zostali nawet zdegradowani! W mniemaniu autora posłuch i porządek są kluczem do zrozumienia niemieckiej mentalności. Istnieje spora grupa żartów na temat deutsche Ordnung i coś musi być na rzeczy w tych dowcipach. Nawet szyk zdania w niemieckim na ustaloną kolejność, która nie toleruje odstępstw. Nakazowi posłuszeństwa uległ również sam autor, zmuszony do pójścia w ślady ojca i przejęcia rodzinnego biznesu, mimo przemożnej chęci dalszej nauki i poświęcenia się literaturze. Co zresztą uczynił, ale dopiero po śmierci nestora rodu Timmów.
Jak dalece taka postawa profilowała na członków rodziny, Uwe Timm ilustruje na przykładzie swojej siostry. Sporo po wojnie poznała mężczyznę, szarmanckiego dżentelmena. Był tylko jeden szkopuł - jego wyznanie, mojżeszowe. Mimo regularnych spotkań i obopólnego zainteresowania, siostra autora nie zdecydowała się na żaden śmielszy krok. Być może dlatego, że dżentelmen nie do końca odpowiadał jej oczekiwaniom. Być może. Ale być może również dlatego, że niemal dwie dekady życia w narodowym socjalizmie wdrukowały jej antysemityzm w podświadomość.
Odtwarzając wojenne i powojenne losy swojej rodziny, Uwe Timm próbuje również dociec, czy rzeczywiście przeciętny Niemiec w czasie wojny mógł nie wiedzieć o zbrodniach nazistowskich. Pod tym kątem analizuje różne zasłyszane i naocznie zaobserwowane epizody z życia swojej rodziny, ale najciekawszych odpowiedzi na to pytanie udziela, sam o tym nie wiedząc. Pisząc w zupełnie innym kontekście o przepustce wuja w czasie wojny autor wspomina, jak na słowa tegoż wuja o wykonywaniu przez Trzecią Rzeszę dobrej roboty w stosunku do Żydów, zostaje on zdzielony przez matkę świeżo wypranymi firankami. Jeśli przeciętny Niemiec faktycznie nie mógł o tym wiedzieć, to za co ten wuj dostał od matki po głowie? Wszak użył słów "dobra robota". Skąd zatem ta kobieta wiedziała, jaka robota faktycznie skrywa się za tym określeniem?
Ta książka jest osobistą spowiedzią autora, wyznaniem grzechów w imieniu pokolenia swych przodków, które usilnie wypierało z pamięci i zrzekało się wszelkiej odpowiedzialności za okrucieństwa wojny i ideologię kryjącą się za nią, z którą sympatyzowało lub milcząco się jej podporządkowywało. Myślę, że odpowiedzi na pytania stawiane przez autora są bardziej zniuansowane, bardziej problematyczne, dużo bardziej złożone. W niczym to jednak nie umniejsza jego dziełu. Pamiętać trzeba, że to nie jest analiza socjologiczna, ale osobisty obrachunek z bolesną przeszłością, z fragmentem dziejów, który zabijanie podniósł do rangi fabrycznej, przemysłowej, metodologicznej. I z horroru którego zdawali sobie sprawę uczestnicy tych wydarzeń - wszak brat autora kończy swe zapiski wojenne słowami: "Niniejszym kończę ten dziennik, gdyż uważam za niedorzeczne pisanie na temat rzeczy, jakie się tu czasem zdarzają".
Um relato emocionante de uma família alemã depois da segunda grande guerra. Karl Heninz morre aos 19 anos combatendo numa divisão nazista em 1943, em que se tinha alistado anos atrás. É seu irmão que conta a história dele tentando compreender de facto a sua natureza e os motivos daquela guerra.
Teria Karl se alistado voluntariamente? Gostaria ele daquela "matança" sem limites? Seria o irmão de Uwe capaz das mesmas atrocidades dos comandantes nazis? Ou poderia ele ser mais uma das vítimas daquela guerra?
Este livro permitiu como que eu tivesse outra perspectiva sobre a segunda grande guerra. Não foram só os judeus, os prisioneiros de guerra e os mais desfavorecidos que sofreram. Os soldados tanto os aliados como os outros padeceram e se viram no meio de uma guerra devastadora. É interessante ouvir esta história através dos olhos de um alemão, e entender o seu sofrimento. Perceber que alguns alemães sofreram e queriam mudar o que acontecer.
" La nobiltà è parte della persona, determinata dalla nascita, dal sangue, e non importa se sei un fallito, condannato dalla società, se hai perso i diritti civili, sei comunque un nobile. Il borghese, invece, rovinato, fallito, in bancarotta, non è più nulla, perde il suo simulacro sociale."
Il popolo tedesco fa i conti con la storia. La colpa dei padri da espiare divisa tra chi tace e chi ne parla di continuo.
Non lo sapevamo, obbedivamo agli ordini, eravamo costretti a causa della brutalità della guerra contro la nostra patria.
Uwe Timm riflette con ampio respiro e con franchezza, complice un diario di guerra del fratello, su di un periodo buio e orrendo nella storia dell'umanità.
Un periodo che purtroppo non è il solo e non è l'unico ma tragicamente contemporaneo. L'atrocità della guerra è un animale insaziabile.
Ma da quando qualche testa fina ha impedito di inserire nuovi libri e nuove edizioni non c'è verso di vedere l'aggiornamento e non si sa neanche a chi chiederlo.
"Ein mutiger Offizier. Aber ein so ganz anderer Mut als der in Deutschland erwartete, der sich immer im Verband mit anderen beweisen musste, dessen Voraussetzung Gehorsam war, eine der preußischen Tugenden, die den Mut zu Gewalt einschloss, Gewalt gegen andere, Gewalt auch gegen sich selbst [...] der Mut zu töten, der Mut sich töten zu lassen. Was nicht galt, war der Mut Nein zu sagen, zu widersprechen, Befehle zu verweigern."
In diesem Werk spürt Uwe Timm dem Schicksal seines in der Ukraine gefallenen Bruders nach, der 1943 seinen Kriegsverletzungen dort erlag. Doch mit dem Bruder, über den es kaum etwas zu erfahren gibt, setzt er sich auch mit dem Vater und der Frage nach Krieg und Gewalt und Mitläufertum auseinander. Es ist ein bewegendes und erschreckendes Stück Literatur, das ohne Schonung, aber auch ohne Provokation hinterfragt. Er vertritt klare Positionen, ohne moralisierend zu sein, streut Fakten wie beiläufig ein, die einem den Magen umdrehen, wenn man daran denkt, dass sie Realität gewesen sind und sich nach wie vor Menschen darauf beziehen, als wäre es eine bessere Zeit gewesen und als müsste es nur wieder so werden.