Una ricerca completa sui modi in cui le società, spinte da innata curiosità, hanno interagito con il mare, la vasta distesa che ha allo stesso tempo unito e diviso gli uomini. Gran parte della popolazione mondiale abita sulla costa o nei suoi pressi, vivendo e affrontando il mare nelle maniere più disparate. Storia del mare esplora le diversità insite nei mari stessi, le tecnologie marittime, e in particolar modo la pratica della navigazione, nonché le varie culture che circondano il mare.
La separazione fra terra e mare si individua nelle trasformazioni comportamentali di un marinaio quando torna a terra e nello status intermedio dei luoghi nei quali i due regni si fondono e contrappongono, come le spiagge e i porti, dove le navi sono dispiegate anche in contesti simbolici.
John Mack osserva il mare attraverso la lente della cultura, componendo con straordinaria agilità uno studio sulle influenze artistiche e mitologiche, con riferimenti che spaziano dai “soliti noti” (Shakespeare, Melville, Conrad, Turner) a scrittori “insospettabili” come Victor Hugo, Bruce Chatwin e Samuel Johnson. La sua carrellata di immagini marittime spazia così dalla letteratura alle arti visive, dalle stampe di Hokusai alle opere di Jonathan Raban.
Gettando un’ampia rete, Storia del mare attinge a storie, archeologia marittima, antropologia, storia dell’arte, biografia e letteratura per fornire un resoconto innovativo delle acque che ci circondano.
Questo libro può agevolmente essere accostato al bellissimo “Il mare intorno a noi”, di Rachel Carson, che lessi e recensii tempo fa (e ho inaspettatamente ritrovato il nome dell’autrice nella Storia della castità recentemente letta, vedi anche in questo caso la mia recensione) Quello era un affascinante libro sul mare visto sotto il profilo geologico, naturalistico e ambientale. Quest’altro, invece, parla del mare nella prospettiva antropologica: cosa significa il mare per le diverse persone e popolazioni che l’hanno vissuto e che lo vivono; che siano gruppi etnici costieri o isolani, o che siano marinai e navigatori di ogni genere. Il testo è magnificamente informato sotto il profilo antropologico; nello stesso tempo adotta una prospettiva piuttosto originale, scegliendo di dare molto spazio alle opere letterarie scritte a proposito del mare o da gente di mare, e alle raffigurazioni pittoriche, supponendo che i significati veicolati dalle forme artistiche possano “dire” molto di più e meglio degli studi antropologici, spesso compiuti da gente di terra, quindi non del tutto capace di immedesimarsi in profondità nell’oggetto del suo studio. Esso è suddiviso in sei grandi capitoli: Mari diversi? (cosa cambia da un mare all’altro, partendo da quello storicamente più antico, il Mediterraneo); Concezioni del Mare (cos’è il mare per soggetti diversi, e visto da prospettive diverse), La navigazione e le arti nautiche, Mare come società, Spiagge (il punto di confine tra terra e mare), Il mare sulla terra (qual’è la visione e la coscienza del mare da parte di chi non vi fa parte). All’edizione italiana si aggiunge un ulteriore capitolo molto bello, a cura dell’Istituto di Culture Mediterranee della provincia di Lecce (di fatto non è firmato), dedicato al mare visto attraverso le opere letterarie di autori italiani. Lbro interessante, pieno di stimoli, scritto con grande intelligenza e capacità anaitica, con svariate illustrazioni. Mi ha lasciato solo una preoccupazione. Si parla molto delle popolazioni del Pacifico e della loro capacità di “sentire” il mare nella navigazione: sapersi orientare in uno spazio immenso non soltanto guardando la posizione del sole e delle stelle, ma anche percependo i movimenti delle barche, la riflessione delle onde da parte di un’isola lontana, le correnti, la temperatura dell’acqua… Sono abilità che una volta erano possedute anche alle nostre latitudini e longitudini, e che poco per volta si vanno perdendo. Che bisogno c’è di sapersi orientare con le stelle, se esiste il GPS…? In questo come in molti altri campi, la tecnologia facilita le cose ma ammazza le capacità sensoriali e culturali e si rende insostituibile. E se un giorno la spina si staccasse, sarebbe ancora possibile arrangiarsi in qualche modo? Non credo ad un futuro distopico in cui le macchine prendono il potere e schiavizzano o eliminano gli uomini. Ma pare non sia più così fantascientifico un futuro in cui l’uomo possa “delegare” la sua cultura e le sue conoscenze alle macchine, più perfezionate dell’uomo, rese in grado di riprodursi e di colonizzare altri mondi quando il Sole si spegnerà. Non vivo questa prospettiva con particolare angoscia. Ma è il nostro perderci come esseri umani, nel frattempo, che mi lascia perplesso...
THE MOST UNFORTUNATE feature of John Mack’s new book is its subtitle. I can only hope that “A Cultural History” was the work of an editorial assistant who feared that Mack’s effort would be sequestered on a shelf of academic or scientific tomes unless some popular tag were attached. Since cultural histories are all the rage, Mack’s book at least has a fighting chance of sharing a display with the most recent profundities of David Brooks.Read more...