To podróż, której początek i koniec tkwi w morzu, a trasa wędrówki, wynurzywszy się z głębin, unosi się w górę – nad wyłaniającym się archipelagiem.
Paolo Rumiz przemierzył tysiące kilometrów wzdłuż górskiego garbu Włoch – wieloryba. Droga wiodła przez Alpy i Apeniny, od zatoki Kvarner aż do Capo Sud, najbardziej wysuniętego na południe punktu półwyspu.
Wędrował przez doliny, w których żyły muflony. Mijał domy dróżników, przemierzał słynne górskie serpentyny. Biwakował w jaskiniach, chroniąc się przed ulewnym deszczem, odwiedzał sanktuaria, gdzie pogańskie bóstwa wciąż pojawiają się za plecami świętych. Spotykał kłusowników, strażników legendarnych schronisk, muzyków, którzy w tej niezwykłej krainie poszukują swoich korzeni. Rumiz przedstawia Włochy, których zazwyczaj się nie dostrzega i do których nie docierają turyści.
Paolo Rumiz è un giornalista e scrittore italiano. Inviato speciale del "Piccolo di Trieste" e in seguito editorialista di "la Repubblica", segue dal 1986 gli eventi dell'area balcanica e danubiana; durante la dissoluzione della Jugoslavia segue in prima linea il conflitto prima in Croazia e successivamente in Bosnia ed Erzegovina. Nel novembre 2001 è stato inviato ad Islamabad e successivamente a Kabul, per documentare l'attacco statunitense all'Afghanistan.
Diciamo la verità, io faccio parte di quella nutrita schiera di fantozziani che le vacanze le passa per lo più in fila in autostrada. Nei momenti migliori, mi trovate spiaggiato sulla rena limacciosa di Grado a giocare con i figli. In genere, per una settimana di vacanze (rigorosamente in agosto) spendo un fottìo di soldi e almeno uno dei figli ha ritualmente la febbre o vomita. Quindi, potrete capire che non amo molto le coppie che a cena ti raccontano che in vacanza hanno speso un'inezia per trovare paradisi terrestri totalmente disabitati, acque cristalline, fate, sirene e cornucopie di felicità, cibi sani e prelibati. Allo stesso tempo, provo pure un pizzico di invidia ma in fondo non riuscirei mai a condividere un viaggio con quegli amici sportivi che partono con zaino, pedule e tendina montabile alla volta di mostruose catene rocciose, dove il più loquace dei compagni che incontri è il gufo e l'acqua dei torrenti rischia di trasformare un rigenerante pediluvio in una cancrena da congelamento. Rumiz è un tipo così. Un po' burbero, misantropo con la gente di città e compagno di bevute di orsi felici alla Mauro Corona, allergico ad autogrill e stabilimenti, inforca la bici e sale per il Carso fino a farsi inghiottire da qualche farra, grotta, osteria di Macondo. Della scuola dei Terzani e dei Kapuscinski, ma formato anche dagli incontri con alpinisti leggendari come Walter Bonatti o mitici custodi di rifugio come Ulysse Borgeat, il giornalista randagio Rumiz dall'inconfondibile accento giuliano ha il vizio delle carte geografiche, la passione per i toponimi ed una scrittura bella carica, ricca di immagini e tornanti (chè il rettilineo non accorcia un bel niente). In questo viaggio sulla spina dorsale italiana, dall'estremità orientale delle Alpi all'Aspromonte, a piedi in bici o su una Topolino del '53 (che fa un po' troppo snob vintage, a dir la verità) Rumiz accende il focherello della nostalgia romantica nei nostri cuori, quel senso di malinconica bellezza che ci scalda dentro come un grappino, svelando gli avamposti più inimmaginabili di un'Italia segreta e poco battuta, alternando chiaccherate vip con Guccini, Rigoni Stern o Capossela a racconti di vecchi montanari sconosciuti, barbuti locandieri & affini. Un viaggio topografico che solletica l'immaginazione di noi che stiamo molto a valle di quei gelidi torrenti d'alta quota, e ne raccogliamo le infinitesime particelle rimaste col secchiello incrostato di sabbia e alghe. Noi poveri carovanieri dell'A4, padri di famiglia un po' fuori forma che durante i tragitti a pieno carico, mentre l'autoradio ci spara impietosamente Laura Pausini o il coccodrillocomefà, con la coda dell'occhio seguiamo il percorso sinuoso di un sentierello che sparisce dietro la collina a lato dell'autostrada, e il nostro Indiana Jones interiore sospira un pochino. Anche se pure si mette in pace quando dallo specchietto retrovisore vediamo il demonietto che ronfa a bocca aperta sul seggiolone, e pensiamo che non c'è Rio delle Amazzoni nè Kilimangiaro che possa valere quei pomeriggi passati a giocare a Batman (made in China) contro la tigre (made in China), in un epico scontro con crema e cappellino sotto lo zenit a ferragosto.
E' la cronaca del famoso reporter Paolo Rumiz di un viaggio a bordo di una improbabile Topolino d'epoca alla riscoperta delle nostre montagne e delle nostre valli, alpine ed appenniniche. E' un mondo parallelo, che ha percorso una evoluzione sociale e culturale diversa da quella comune: e questo non stupisce, perchè il mondo della superconnessione, dell'alta velocità, della globalizzazione non può accettare di essere frenato da vincoli grandi come montagne e finisce col tagliarle fuori. Può quindi essere arricchente ritrovare anche solo attraverso il racconto di un buon giornalista il significato di una vita dai ritmi diversi, di un silenzio fatto di rumori, di un viaggio che non è solo tempo e destinazione ma anche incontro e scoperta di una umanità diversa, che non si rassegna ad uniformarsi. Da questo punto di vista mi è piaciuto questo libro, perchè da buon disadattato mi sono sempre separato dalla massa dei vincitori in corsa, alla ricerca delle piccole cose che nessuno apprezza ma il cui valore vale la pena ricordare. Al pari di Rumiz trovo davvero scandaloso che ci si dimentichi quanto possono essere belli una siepe in una strada di campagna in Primavera, il rumore du un ruscello gonfio dopo che è piovuto, il rombante cinguettio di un vecchio albero pieno di uccelli di ogni tipo. Il libro scade invece in una deludente ristrettezza di vedute quando affronta l'aspetto politico-ecologico del racconto delle nostre montagne: che si trovano ad affrontare la minaccia reale ed invasiva del cambiamento climatico, della cementificazione che sconvolge l'assetto idrogeologico, di scelte economiche che non tengono conto di particolarismi preziosi ma che non fanno massa critica. Si nota da subito un'esterofilia che suona molto più come slogan che come un approfondimento: gli svizzeri, gli austriaci e gli sloveni sono più bravi a priori nel tutelare le loro montagne, non ci si pone domande nè si danno possibili spiegazioni nè politiche nè economiche nè culturali sul perchè questo accada. Allo stesso modo a fianco della giustificata denuncia ecologica dello sfruttamento delle montagne non è nemmeno accennato il punto critico che esso è solo un aspetto del problema più grande di una nazione molto popolosa ma cronicamente povera di risorse, che perciò difficilmente può rinunciare alla leggera a prendere quelle poche che ci sono (senza trascurare l'effetto deleterio della corruzione che pure invece è denunciata in lungo ed in largo). Per dare un significato politico a questo bel racconto, a mio parere Rumiz avrebbe dovuto dare alle sue riflessioni un respiro assai più ampio; questa ristrettezza di vedute che si limita pur doverosamente a dar voce ad una umanità dimenticata ed ad un bellissimo ma minacciato ambiente, finisce con l'inquinare anche il ritratto della vita di questi luoghi. Una rappresentazione arcadica ed agreste della vita pastorale montanara, che abbastanza esplicitamente allude ad un ritorno almeno parziale ad una Italia pre industriale, somiglia troppo ad un "si stava meglio quando si stava peggio": senza tener conto che tra quelle bellissime cime incontaminate si moriva di pellagra, le donne erano costrette dalla fame a salutare i mariti che partivano per lavorare all'estero come salariato subumano, l'analfabetismo sfiorava l'80%. Fosse stata la cronaca di una Italia tagliata fuori e dimenticata, sarebbe stato un gran bel libro. Ma se vuole anche essere una denuncia politica e sociale, ci vedo ancora un sapore polemico ed una giornalistica ristrettezza di vedute: Ryszard Kapuscinski è ancora lontano.
Resoconto di due viaggi: il primo in bici e a piedi a cavallo (modo di dire, l'equino non c'entra niente...) delle Alpi, da est a ovest; il secondo sulla groppa degli Appennini, da nord a sud con vecchia Topolino anni '50. Il resoconto è l'elogio della lentezza e dei bei tempi andati (anche troppo, in certi punti - certe filippiche contro la modernità e taluni suoi capisaldi come il rumore, la frenesia, la velocità, l'inquinamento e l'appropriazione del territorio mi sono parse un po' troppo ideologizzate e ipocrite, visto che Rumiz, come tutti noi, in quelle cose c'ha allegramente e beatamente sguazzato per decenni, finché c'erano soldi, lavoro e le cose andavano bene...) e forse, alla lunga, perde un po' la presa sul lettore.
Pensandoci, credo che quest'ultima sia la pecca principale di tutti i racconti di viaggi, che non essendo né romanzi con fili e trame narrativi né raccolte di racconti brevi (quindi romanzi in piccolo) con l'andare delle pagine hanno la tendenza ad acquietarsi e a far perdere la curiosità e l'ansiogeno desiderio di chi legge di sapere come va a finire la storia...
Pur non essendo assolutamente esperto su questo genere di libri, certamente si può dire che Rumiz scrive benissimo e le sue riflessioni estemporanee, dettate dall'incontro con una persona o da un paesaggio, sono raramente banali (anche se forse un pò troppo ben scritte, frutto più della rielaborazione fatta ex post a tavolino che del lampo istantaneo - ma, ripeto, davvero ben scritte e ben pensate); ha inoltre una grande capacità nel passare da uno stile lirico e intimista a uno più volutamente rustico e ruspante, che s'adatta perfettamente alle situazione e ai montanari che incontra (e lo dico da orgoglioso montanaro). Libro ricchissimo d'aneddoti molto interessanti, che mostra come questo disgraziatissimo paese abbai risorse inimmaginabili in posti introvabili e che ha sacrificato nel nome d'una modernità che ora, in qualunque modo la si possa pensare, sta mostrando tutti i suoi limiti. Ripensare a quei luoghi e ridefinirli a livello politico, magari favorendone economia e ripopolamento in maniera sostenibile, non può che essere giusto, così come ricordare il nostro passato contadino e le nostre origini, seppellite da un ridicolo sudario di vergogna piccolo borghese.
Complimenti a Rumiz, alla fine...
Fra l'altro, ricordo che per il ripopolamento dell'appennino calabro ci sono circa un migliaio di braccia ignominiosamente sottratte al pascolo e all'aratura che aspettano, ansiose di dare finalmente un contributo concreto al patrio suolo, sedute in una certa aula grigia e sorda bivacco di manipoli (lo sarà fra poco agli ordini del Webmaster - non so se avete colto l'ironia)... e molte di più attendono in simili aule lungo tutta le penisola...
(oddio....alla prossima luna piena mi trasformerò in un grillesco mannaro...troppa indignazione, troppo smarrimento...AIUTATEMI!!!)
Opowieść płynie jak górska rzeka. Raz niespokojnie i bystro, raz rozlewa się i uspokaja. Czasem tajemnicza i trudna, czasem jasna i konkretna. Wątkiem łączącym niemal wszystkie reportaże jest smutek, poczucie utraty czegoś ważnego, może nawet złość na polityków i innych decydentów. Można miejscami odnieść wrażenie, że Rumiz jest antynowoczesny, ale nie sądzę żeby tak było, jest raczej po prostu rozczarowany powolnym umieraniem Italii, takiej jaką była przez stulecia. Tłumaczenie jest fantastyczne, nie znam włoskiego, ale tekst jest poetycki i bogaty i nie kuleje jak to niekiedy ma miejsce z tłumaczeniami.
L'Italia a passo d'uomo. L'italianità riscoperta attraverso lo scheletro vertebrale del paese: alpi e appennino. Le prime raccontate in bicicletta, un' overture concitata e che parla della durezza e della frustrazione del nord. Le seconde raccontate con Nerina, la topolino blu anni 50, che impone lentezza e fa scoprire la colonna vertebrale dimenticata del paese. Un viaggio lungo e pieno di scoperte. Grazie a questo libro ho incontrato un'Italia nascosta. Ho provato rabbia e frustrazione per la poca attenzione verso ciò che siamo stati e ciò che abbiamo. Scritto agli inizi del 2000 è ancora estremamente attuale. Impone una lettura lenta, come il viaggio raccontato.
Ho avuto un boost di lettura nelle due serate passate causa insonnia. Devo ammettere che la lettura è scorrevole e appasionante. Il racconto della storia, delle storie, delle nostre montagne da Trieste alla Sila è utile: sia per conoscere la nostra storia che la nostra natura.
Un libro che non lascia indifferente. Attraverso le Alpi in bicicletta e poi giù per gli Appennini fino all'Aspromonte in Topolino, tutto per raccontare un'Italia dimenticata e trascurata da uomini e istituzioni: pastori erranti, consorzi di ragazze allevatrici di pecore, boscaioli solitari, taverne dove si raccontano le gesta di Annibale e guardiani di rifugi rubati all'Odissea. Paolo Rumiz dà il meglio di se e tira fuori dal cilindro fraseggi e soliloqui di grande poesia, riuscendo a far sognare pur mantenendo i piedi per terra e non risparmiando anche decise stoccate al "sistema Italia" di burocrati e palazzinari. A me ha fatto molto pensare e anche rivalutare tanti aspetti di un'Italia che non conoscevo. Dieci euro spesi benissimo, consigliato!
Due incredibili viaggi lungo le due grandi catene montuose che reggono la nostra penisola. Una serie di articoli che mettono ciascuno la voglia di partire, riuniti in un libro che è un inno a un'Italia diversa da quella del grande traffico e delle autostrade, un'Italia da decrescita felice, anche se spesso non accettata. Una serie di incontri magici con grandi personaggi, conosciuti, sconosciuti e misconosciuti, che di queste montagne sono abitanti, figli e rappresentanti. Una scrittura deliziosa, veramente un grande libro.
Un viaggio di settemila chilometri che cavalca la gobba montuosa della balena-Italia lungo Alpi e Appennini, dal Golfo del Quarnaro (Fiume) a CapoSud (punto più meridionale della Penisola) per scoprire un'Italia silenziosa, operosa e ricca di piccole storie. In alcuni parti troppo dettagliato al punto da essere noioso, ma, nell'insieme, ogni passo è come il tassello di un puzzle che, incastrato tra il precedente e il successivo va a formare un quadro meraviglioso.
Un altro viaggio per Paolo Rumiz, che ha l’incredibile capacità di andare a incontrare l’inusuale appena oltre la porta di casa, che sia sulle tracce di Annibale, di un confine o di un lungo percorso in bicicletta. Questo viaggio, che in realtà sono due, lo porta lungo l’asse delle montagne italiane, le Alpi dall’Istria a Nizza, e poi gli Appennini dalla Liguria all’Aspromonte. Ovviamente non è un viaggio solo di chilometri e di paesaggi; Rumiz ha l’eccellente capacità di entrare in empatia con tutte le persone che incontra, note o meno note. Possono essere amici, viandanti, gente incontrata per caso, o personalità note (o anche famigerate, almeno in un caso) ma ciascuno di loro ha una storia da raccontare, e gliela racconta. Così, viaggiando lungo le alpi Rumiz incontra tra gli altri Rigoni Stern, Mauro Corona, ascolta il violoncello di Mario Brunello in una foresta di conifere alla ricerca di una risonanza ideale; Walter Bonatti (Messner no, stranamente) e anche Haider (il famigerato di cui sopra) che, più che uno xenofobo (non peggiore dei tanti che abbiamo a casa nostra, puntualizza Rumiz) gli sembra uno affamato di piacere e di ottenere il consenso. Incontra anche personaggi meno noti o del tutto sconosciuti che pure hanno molto da raccontare, come Francesco Bider, che sarebbe poi andato a combattere in Bosnia contro Milosevic e vi sarebbe morto. Rumiz racconta anche storie poco edificanti. Come quelle di una cooperativa agraria in Veneto, nata nell’ambito delle Acli e fatta fallire dall’ostilità delle gerarchie politiche ed ecclesiastiche che vi vedevano troppo “rosso” in controluce (e stiamo parlando degli anni Ottanta, mica del 1948 con i cosacchi in piazza san Pietro); come la scoperta dell’uomo di Similaun, la nota mummia restituita dal ghiacciaio, del cui onore il reale scopritore, il tedesco Helmut Simon, è stato “espropriato” dall’Alto Adige, desideroso di avocare a se tutto del misterioso reperto, compreso l’onore della scoperta (i coniugi Simon dovettero andare per vie legali ricevendo soddisfazione dall’Alto Adige solo nel 2010, posteriormente alla pubblicazione di questo libro; ma Helmut era morto nel 2004 in seguito a un incidente in montagna - Rumiz parla di un qualche tipo di identificazione tra lui e la mummia); del traforo della TAV tra Firenze e Bologna, che ha devastato il sistema idrogeologico di tutta la zona, inaridendo campi e sorgenti. Rumiz aveva percorso il tunnel durante i lavori e ne aveva parlato con ammirazione su Repubblica, venendo duramente attaccato dagli ecologisti che lo invitarono a vedere come stavano realmente le cose; lui ha visto e ha cambiato idea (e infatti parlando della Valsusa sta dalla parte dei NO TAV senza se e senza ma - ce ne fossero...) Il viaggio sulle Alpi - in realtà un collage di viaggi e di reminiscenze, come dimostra il fatto di saltare avanti e indietro nel tempo - prosegue più linearmente lungo l’Appennino, diventando un vero e proprio rally su una vecchia Topolino decappottabile. Anche qui incontri e avventure; tra gli altri Francesco Guccini e Vinicio Capossela - Tonino Guerra non c’è, per Tiziano Terzani è troppo tardi - e molto altro. Bellissimo libro. La bellezza e la verità di descrizioni e paesaggi fanno perdonare, qua e là, troppe ripetizioni, per quanto motivate - l’impoverimento e l’imbarbarimento delle campagne per procurare braccia alla nascente industrializzazione; un mondo devastato, abbandonato e quasi irrecuperabile; la forza delle madri, divinità precristiane di cui in Appennino si respira l’afflato, eccetera - mentre dall’altro lato ci sono episodi quasi divertenti, come quando si prende a botte con un lombardo che vorrebbe applicare agli orsi sloveni gli stessi principi di cui agli extracomunitari, “devono restare a casa loro”; o come quando, arrivando a Nizza in bicicletta dopo essersi smazzato tutti i valichi alpini del Tour de France, dall’Agnello in poi, viene scippato del marsupio e pensa che gli sia stato rubato un coltello a cui era molto affezionato donatogli da Mauro Corona; gli telefona; Corona pronuncia una terribile maledizione che cadrà su chi toccherà il coltello; il coltello viene ritrovato in fondo a uno zaino; Rumiz non lo tocca e ritelefona a Corona, il quale deve prodursi in una contro-maledizione per la quale occorrerà una settimana... Ma perché diavolo i triestini sono tutti così avventurosi, socievoli e colti, e noialtri dell’altro lato siamo invece chiusi, ristretti e poco comunicativi???
Ho finito proprio ora di leggere questo spettacolare diario di viaggio. E' stata un'avventura lenta, un libro che ha necessitato di tempo, perché ogni singola pagina è così ricca di spunti, storie, immagini, sensazioni... porta alla memoria suoni, profumi. Ho dovuto dedicare del tempo non solo alla lettura, ma al successivo assorbimento di tutta la ricchezza riposta tra le righe. Ma, d'altronde, il ritmo della lettura non poteva essere diverso da quello del viaggio di Rumiz in bicicletta, a piedi e a bordo della "Topo". E così, da un lato, mi tornano in mente emozioni da passo lento, da Alta Via, da solitudini che si trasformano in una strana nostalgia (come direbbe un caro amico: quella sensazione che è un po' l'unità di misura di quanto intensamente viviamo)... A pagina 328, quasi alla fine del viaggio, Rumiz cita una frase che dice di aver letto "chissà dove": "Vai e quello che vedi ricordalo, altrimenti tornerà nel vento". Non so se è quello che ha spinto l'autore a questa avventura, ma io la descriverei così: una sete di vivere, di conoscere, di vedere, di portare con sé qualcosa e successivamente trasmetterlo in qualche modo, affinché non si perda, affinché la meraviglia e l'incanto che a volte ci lasciano senza parole possano in qualche modo prendere forma anche per qualcun altro. C'è una grande gioia nel battere una traccia libera da vincoli e poterla condividere...
È un viaggio di faglia quello che Paolo Rumiz fa da est a ovest sulle Alpi e poi seguendo tutto il saliscendi appenninico fino a Capo Sud. Nel suo viaggio di confine, lento e tortuoso, Rumiz racconta le storie di questi luoghi dimenticati dalla storia , dalla politica e dalla cronaca e che si svuotano inesorabilmente verso le pianure e le città. Quello che rimane è un mondo antico, radicato e resistente, una spina dorsale che è anche depositaria di tradizioni e culture. La prima parte del libro, dedicata alle Alpi, paga un po' il prezzo di essere una collezione di spunti e articoli con una certa frammentarietà. La seconda parte, dedicata agli Appennini, è più organica, trasuda tenerezza e nostalgia per un mondo bello e maltrattato. L'autore ci porta alla scoperta di storie curiose, del mondo dietro casa, anche se a tratti semplifica le dinamiche politiche e sociali che stanno dietro ai complessi problemi del territorio montano. A volte i concetti si ripetono e in alcuni momenti si rasenta l'invettiva, ma è tutto facilmente perdonato ad una penna che ha la capacità di guardare dove pochi guardano e di scoprire mondi sotto casa da cui tutti passiamo attraverso senza fermarci.
Un viaggio dalle Alpi del nord est fino agli Appennini, dai confini con l'Austria al punto più a sud della Calabria. Incontri e visioni, il vecio Rigoni Stern che aspetta nella sua casa rifugio ad Asolo, Bonatti con negli occhi i riflessi dei ghiacciai e poi il freddo e il Rosa, il Bianco e gli altri giganti. Il viaggio prosegue con la Topolino che si arrampica lungo l' Appennino, tra monti boschi e altipiani, i racconti di Guccini e quelli dei carbonai poeti, il regno delle sibille e l' Abruzzo del freddo e dei re pastori. Un' occasione anche per conoscere strade periferiche e isolate, continenti misteriosi chiamati borghi e passi appenninici, locande e osterie dietro la curva della casa Cantoniera. Fino ai racconti del magico religioso di Marino Niola, dove il sud comincia davvero e si conclude il viaggio. Bello.
Rumiz ha questa grandissima capacità di portarti in viaggio con lui e in questo caso su una topolino per scorrazzare da nord a sud della nostra bella Italia insieme a diverse persone per scoprirne leggende e curiosità. Paesi ma di più genius loci atteti e appassionati, prontissimi a raccontare aneddoti e storie (vere o presunte è uguale) al nostro Rumiz che ben si presta a riportare tutto nel libro. Devo anche citare l'enorme rispetto nei confronti del grande Terzani, perchè proprio da quelle parti si è soffermato per un pensiero. Un grande uomo, un grande viaggiatore Rumiz che racconta il bello e il brutto della nostra Italia. Consigliatissima lettura
Rumiz, nel suo viaggio con la Topolino da Est ad Ovest sulle Alpi e da Nord a Sud lungo gli Appennini, racconta un'Italia minore ma forse per questo più vera. Se le Alpi sono storia nota, notissima, fatta anche di turismo invadente e di storie alpinistiche che nascono lì e portano il suo essere nel mondo, la parte che ho trovato più sincera ma amara è quella del racconto di un paese che si è dimenticato di sé, che la modernità e l'autostrada ha portato ad abbandonare, quella degli Appennini. Rumiz è molto bravo, inoltre, a ricollegare l'Italia che vede ai suoi molteplici viaggi, a vedere pezzi di Iraq, di Afghanistan o di Provenza anche in paesini sconosciuti ma non per questo meno veri.
Bravo Rumiz, mi piace chi racconta l'inesplorato, l'abbandonato, il non-vale-la-pena, 'che in fondo quello che non è città, costa col bel mare, o montagna con le piste o i begli alberghi non vale più niente ma proprio per questo resta autentico e interessante. E Rumiz ce lo racconta e ci invoglia ad andarlo a vedere da soli, questo e tutto il resto che non ha visto lui.. Magari con una vespa dell' '83, perché no?
Trudno mi jednoznacznie ocenić tą książkę... stąd takie nijakie trzy gwiazdki.
Część o Alpach przeczytałem z przyjemnością. W części o Apeninach męczyłem się i finalnie odpuściłem.
Może dlatego, że Alpy są mi jednak bliższe (geograficznie i historycznie) i wszelkie nawiązania do wydarzeń historycznych nie były tak do końca nieznane? Pewnie tak. Apeniny natomiast to terra incognita. Dodatkowo odczuwałem, że autor w każdej dolinie przeżywa właściwie to samo...
Geografia, taka szczegółowa, jest tylko tłem dla opisu gór. I chociaż to zdanie może brzmieć trochę dziwnie, czytając książkę rzadko czułem się zagubiony, choć nie do końca wiedziałem gdzie autor (i czytelnik!) jest. Gubienie się w przestworzach Alp i Apeninów jest całkiem poetyckie, brakowało mi tylko tego wizualnego elementu Gdyby przy każdym rozdziale była choćby jedna fotografia, byłoby pewnie 5 gwiazdek.
Da nord a sud. Mappe geografiche, anche interiori. La storia, il passato e il presente raccontati come Rumiz sa fare magistralmente. "Viaggio come epifania di un'Italia vitale e segreta. Meraviglia per la fiabesca bellezza del paesaggio umano e naturale; rabbia per il potere che lo ignora. Un libro bellissimo.
Interessante panoramica delle catene montuose italiane. Tanti aneddoti e spunti di ricerca, dalla musica alla Grande Dea. L’unico neo forse è il ritmo della narrazione, ma forse rispecchia quello del viaggio.
Adoro viaggiare, è con Rumiz il viaggio è sempre straordinario Sei con lui, vedi attraverso i suoi occhi, senti il vento, la pioggia, il caldo il freddo.... Incontri le persone, le senti li vicino.
È semplicemente straordinario Ti viene voglia di cercare quella Italia che lui descrive
Avete presente Strade Blu di Least Heat Moon? Ecco, la stessa cosa in un'italia minore, nascosta e dimenticata. Un viaggio che spiega molti del disastro culturale e sociale in cui ci troviamo oggi.