Quando, nel luglio 2001, Concita De Gregorio mette piede a Genova per raccontare ai lettori del suo giornale il vertice del G8 non sa che, nei tre giorni successivi, assisterà a una delle pagine piú tristi della storia del nostro Paese. In una città blindata, oppressa da una cappa di tensione, le forze dell'ordine e i manifestanti si scontreranno in una sanguinosa guerriglia urbana. E la morte di Carlo Giuliani riporterà le lancette della storia indietro di qualche decennio. A distanza di quindici anni, il diario di cronista dell'autrice diventa un modo per ricordare un evento che ha segnato un prima e dopo Genova. Per restituire l'andamento di quei giorni, l'inizio lieve, la sorpresa, lo spavento e lo smarrimento. E, insieme, l'occasione per tracciare il bilancio di una vicenda che brucia ancora nel ricordo di tutti.
Nata a Pisa nel 1963, da madre spagnola (di Barcellona) e padre toscano, è cresciuta a Livorno. In questa città studia al Liceo Classico Niccolini Guerrazzi; successivamente consegue la laurea all'Università di Pisa in Scienze Politiche. Frattanto inizia la professione nelle radio e TV locali toscane, entrando a Il Tirreno nel 1985, dove, per otto anni, lavora nelle redazioni di Piombino, Livorno, Lucca e Pistoia. Nel 1990 approda a la Repubblica, dove si è occupata di cronaca e politica interna. Nel luglio 2008 è al centro di una curiosa polemica. La rivista Prima Comunicazione rende note le anticipazioni di una sua intervista in cui ammette di aver accettato la proposta del neo editore de l'Unità, Renato Soru, di diventare direttrice del quotidiano fondato da Antonio Gramsci; nella stessa intervista Concita De Gregorio espone le linee guida della sua direzione. La notizia suscita clamore in redazione: il comitato di redazione protesta contro la via dell'«annuncio del cambio di direttore attraverso intervista». Il 22 agosto 2008 viene ufficializzata la nomina a direttrice de l'Unità, carica che ha ricoperto fino al 7 luglio 2011,quando ritorna a la Repubblica. È sposata con il giornalista Alessandro Cecioni, ed è madre di quattro figli maschi.
"Sono stati i carabinieri del battaglione Lombardia a compiere questi atti di eroismo contro giovani inermi e privi di qualsiasi difesa. A Pavia una guardia carceraria mi ha poi detto: 'Di quelli violenti non ne hanno arrestato mezzo, hanno preso i più fessi o quelli che hanno inciampato.'. Il metodo è semplice ed efficace nella sua perversione: si lanciano lacrimogeni prima che inizino i possibili atti di violenza a scopo diciamo dissuasivo, si prende chi è colpito, chi è accecato, chi cade e - come per la mattanza delle foche - arrivano i randellatori. Non mi si venga a raccontare che questi atti di depravazione sono stati compiuti sull'onda di una reazione emotiva. Il ferimento e il pestaggio di mio figlio sono avvenuti prima degli scontri che sono culminati con l'uccisione di Carlo Giuliani. Il modo feroce e vigliacco in cui è stato trattato mostra che la violenza era preordinata. Si voleva lo scontro allo scopo di alzare il livello della provocazione e della risposta, e a quello di lanciare un messaggio inequivocabile: le manifestazioni sono ormai solo una questione di ordine pubblico, chi vi partecipa lo fa a rischio della sua incolumità fisica e penale. I diritti civili e le garanzie sono stati fatti a pezzi."
Un resoconto lucido, preciso. Un vero pugno nello stomaco per il lettore.
“Di quelli violenti non ne hanno arrestato mezzo, hanno preso i piú fessi o quelli che hanno inciampato”. Il metodo è semplice ed efficace nella sua perversione: si lanciano lacrimogeni prima che inizino i possibili atti di violenza a scopo diciamo dissuasivo, si prende chi è colpito, chi è accecato, chi cade e – come per la mattanza delle foche – arrivano i randellatori. Non mi si venga a raccontare che questi atti di depravazione sono stati compiuti sull’onda di una reazione emotiva. Il ferimento e il pestaggio di mio figlio sono avvenuti prima degli scontri che sono culminati con l’uccisione di Carlo Giuliani. Il modo feroce e vigliacco in cui è stato trattato mostra che la violenza era preordinata. Si voleva lo scontro allo scopo di alzare il livello della provocazione e della risposta, e a quello di lanciare un messaggio inequivocabile: le manifestazioni sono ormai solo una questione di ordine pubblico, chi vi partecipa lo fa a rischio della sua incolumità fisica e penale. I diritti civili e le garanzie sono stati fatti a pezzi».
Don Vitaliano Della Sala, il prete del movimento: «Abbiamo visto Black Bloc scendere da un furgone della polizia e parlare pacificamente con gli agenti». Agnoletto: «Abbiamo le prove, le foto, i filmati, che Black Bloc e polizia sono d’accordo». L’accusa è grave, in questura qualcuno si innervosisce. Arriva un comunicato: «Affermazioni insensate». E poi dove sono queste foto, vediamole. Tiratele fuori.
Vicolo buio. La scuola Diaz è uno scheletro con tre file di finestre accese... Saranno duecento. Caschi, protezioni rigide addosso, scudi nella sinistra e manganelli nella destra, fazzoletti sul viso, dal naso in giú. Si vedono solo gli occhi, dietro le visiere. Sono tutti a volto coperto. La prima fila è di carabinieri. «Cosa succede dentro?» «Perquisizione». «E cosa sono queste urla?» «Non lo so». «Sono un giornalista, posso passare?» «No». «Io sono un medico». «No». «Un avvocato». «No». «Sono un parlamentare, Luigi Malabarba, ecco il tesserino. Voglio assistere alla perquisizione». «No». «Sono Agnoletto, sono il responsabile di questa struttura, devo entrare». «No. Non passa nessuno. Qui non può entrare nessuno. Entrate dopo». Arrivano degli sms, messaggi di testo sui telefonini dei ragazzi del Media Centre. Vengono dall’altra parte della strada, da quelli dentro. «Help», dicono. Aiutateci. Enrico, di Venezia, tiene il telefonino in mano e lo guarda. «In una situazione cosí», dice, «bisognerebbe chiamare la polizia». Quasi quasi gli viene da ridere. ... Sei minuti, trecentosessanta secondi per costringere a terra 93 persone. D’altra parte non dev’essere stato difficile. Erano già a terra quasi tutti, nei sacchi a pelo. Dormivano, o si preparavano a farlo. Due ore dopo sono usciti in barella, con le teste spaccate, i polmoni perforati dalle costole, le milze spappolate, i denti saltati per sempre insieme al sonno. Era l’ultimo sonno della vigilia. Domattina, domenica, c’era il treno per tornare a casa.
Mettez un psychopathe à la tête du pays. Faites-le seconder au pouvoir par l'extrême-droite. Payez des casseurs qui sont des néo-nazis et/ou des nihilistes. Faites appel aux services secrets de renseignements les plus puissants du monde occidental pour qu'ils attisent la rage chez les casseurs susmentionnés. Manipulez les policiers de première ligne en leur racontant des mensonges sur les gens pacifistes pour qu'ils se mettent en mode guérilla. Discréditez tous les témoins quel que soit leur métier surtout si celui-ci est tourné vers l'autre : médecin, infirmier, pompier, journaliste, avocat, magistrat, parlementaire, comédien, cinéaste, syndicaliste, etc.
Le 11 septembre 2001 a balayé dans les esprits ce qui s'était passé lors et après le G8 de Gênes. Grossière erreur.
"è come quando devi descrivere un paesaggio a un cieco: a cosa somiglia, dimmi a cosa somiglia. Non somiglia a niente che abbiamo già visto. Non in Europa, non in questi anni"
Pagine importanti che riescono a far rivivere l'atmosfera dei quei giorni anche a chi non li ha vissuti, e raccontano una violenza che fa star male solo a leggerla
Oggi sono venuti di nuovo a perquisire il Centro stampa del Gsf (Genoa social forum - controvertice). Dentro non c'era quasi più nessuno. Hanno sequestrato qualcosa, cassette e floppy disk, poi hanno evacuato il palazzo e messo i sigilli. La scuola di fronte, invece, la Diaz, è ancora aperta. È tutto lì come lo hanno lasciato stanotte. C'è un solo cartello, di nuovo. È un pezzo di cartone scritto col pennarello, in inglese "per favore, non lavate questo sangue". È attaccato con lo scotch a un mobiletto di metallo, sopra la chiazza più grande di sangue rappreso. Please, don't clean up the blood. E anche quando sarà sparito, perché lo laveranno un giorno, ricordatevi com'era.
I fatti pubblici sono più o meno noti, soprattutto a 16 anni da quell'estate fatidica, eppure tante cose non sono affatto cambiate. Nonostante tutto la polizia italiana aggredisce ancora folle di inermi manifestanti o turisti, no global o semplici cittadini che bevono una birra in una piazza di Torino. Cosa spinge chi dovrebbe garantire sicurezza ed ordine pubblico a seminare i terrore e l'odio nei propri riguardi non riesco a capirlo, detesto chi con ghigno dispregiativo li chiama "sbirri" ma troppo spesso le immagini che i tanti telefonini ci riportano sono proprio quelle di uomini che trasformano i loro compiti da protettori in aggressori. La nostra Genova del 2001 non potrà mai scordare, o rivivere senza angoscia, le rievocazioni di quei tragici giorni, inutili e scintillanti di vacuità, da una parte, e di odio e violenza gratuita sia dei Black Blocs che delle Forze dell'Ordine dall'altra. Emotivamente sconvolgente
Ho poco da dire. Sinceramente credo che tutti noi dovremmo leggerlo e dovrebbe essere fatto leggere nelle scuole perché fatti così vicini a noi e così orrendi, brutali e abominevoli non possono e non devono essere dimenticati.
Libro ben scritto. Racconto sull'esperienza di inviata durante i famosi fatti di Genova del G8. In questo libro c'è la paura, c'è l'arroganza, c'è la poesia di chi quel giorno il mondo voleva cambiarlo davvero.
É una testimonianza dolorosa ed estremamente necessaria, racconta di violenze che hanno cambiato un' intera generazione. Quel sangue magari sarà stato lavato, ma noi non dimenticheremo.
“Mai come a Genova si è avuta una tale sproporzione fra costi e risultati. I costi: 1 morto, 600 feriti (208 gravi o gravissimi), più di 300 fermati, quasi 300 arrestati di cui la metà stranieri, richieste di chiarimento e indignazione di tutti i governi europei,alcune proteste formali di capi di Stato, tra cui l’Austria, 350 miliardi di spesa, 40 miliardi di danni alla città, un discredito incancellabile agli occhi del mondo. I risultati: meno di 2 miliardi di dollari per la lotta all’AIDS, che Berlusconi chiama “l’inconveniente dell’Africa”. Stanziamento deciso prima dell’inizio del vertice a fronte di una sollecitazione di Kofi Annan di almeno 8 miliardi. Nessuna intesa, fra i Grandi, sul futuro delle fonti energetiche, sui cibi transgenici, sul l’effetto serra e sul protocollo di Kyoto. Lontanissime le posizioni di Bush e Chirac. Confermati gli impegni già presi sulla riduzione del debito ai paesi del Terzo Mondo, ben lontano dall’essere annullato. Sui cibi transgenici, impegno a facilitare “un uso responsabile” delle biotecnologie. Che cosa voglia dire “uso responsabile” lo deciderà ciascuno, secondo i suoi criteri e le sue convenienze.”
Da leggere. Perché Carlo Giuliani non lo si può definire un punkabbestia o un mendicante e la violenza non può essere attribuita solo al Black Bloc. La verità non può essere taciuta.
Un'immersione totale in quei giorni, nel clima politico e nell'emozioni di chi c'era e di chi, come me, guardava dalla tv. La De Gregorio scrive veramente bene, è riuscita a raccontare i fatti integrando quelli non vissuti in prima persona con le testimonianze raccolte sia tra le forze di polizia che tra i manifestanti, con le interviste uscite sui giornali più importanti del mondo, con i video e le centinaia di foto diffuse. Una ricostruzione obiettiva, emotivamente coinvolgente. Da leggere e rileggere perché mi rendo conto che mi ero un po' dimenticata di tutto quello che era successo e della sua gravità.
“Per favore non lavate questo sangue” e anche quando sarà sparito, perché un giorno lo laveranno, ricordatevi com’era. Un piccolo libricino, un piccolo saggio da leggere assolutamente! Voto 9