«Vincere è una breve felicità» e questa è la storia di un pugno di uomini che la conquistarono e se la videro svanire tra le mani. Quarant’anni dopo, tocca alla letteratura quel che la cronaca evitò: raccontare la finale di Davis del 1976 nella Santiago del regime di Pinochet, il trionfo oscurato della squadra italiana. Non c’erano telecamere Rai al seguito, pochi gli inviati dei giornali, i filmati cileni sono bruciati, restano appena 26 minuti e 42 secondi di pellicola tremolante. «Silencio, por favor» intima il giudice di sedia, poi Adriano Panatta va al servizio indossando una maglietta rosso-sfida e un destino inatteso, senza precedenti né seguiti, si compie: vincono. Dario Cresto-Dina ha ricercato quegli uomini e quell’atmosfera. Ci restituisce un’Italia come sempre divisa e sei personaggi che altrettanto furono e restano. Sei chiodi storti, come quelli che Panatta portava con sé per scaramanzia. Lui, il figlio del custode del circolo che batté tutti i maestri. Paolo Bertolucci, il gregario pigro come un panda. Corrado Barazzutti, cuore di ussaro. Tonino Zugarelli, il talento di riserva. Capitanati da Nicola Pietrangeli, che voleva la coppa per dimenticarla. Più il «padre paziente» Mario Belardinelli che profetizzò: «Tra dieci anni qualcuno si stupirà nel guardare la fotografia di questi quattro strani giocatori stretti a una grossa insalatiera d’argento». Altrettanto nel ritrovarli oggi, davanti a un tramonto oltre la rete, senza nostalgia, come se vincere fosse stato semplicemente il loro dovere.
La polo rossa di Panatta e Bertolucci a Santiago del Cile. Per un libro ben scritto, che descrive perfettamente sia quello che si respirava in Italia negli anni '70 che la storia individuale dei protagonisti sul campo. Con Tonino Zugarelli da applaudire.
Se come me fate i pendolari da quasi dieci anni capirete bene come le prime ore del mattino spesso siano associate al viaggio e al riposo. Dormire in treno è fondamentale, soprattutto se lo si prende alle 6 del mattino. Raramente mi è capitato di sacrificare la mia ora di sonno, ma a questo giro ho dovuto abdicare.
Questo libro è appassionante, racconta un pezzo di Storia dell’Italia che in pochi conoscono, parla di tennis, dei suoi protagonisti e che protagonisti. Personalmente la figura di Zugarelli, il quarto di cui nessuno si ricorda, è quella che più mi ha affascinato. C’è un altro libro,citato dall’autore, che racconta la sua storia e lo recupererò sicuramente. Ma soprattutto rimangono impresse le parole di Panatta: “Se potessi tornare indietro di quarant’anni forse vincerei Wimbledon, forse studierei Confucio, forse spiegherei a un paio di giornalisti famosi i motivi reali dell’odio che nutrivano nei miei confronti: l’invidia per il mio talento, l’impossibilità di perdonare al figlio di un custode di aver avuto successo e la sorpresa nello scoprire che non sbagliavo i congiuntivi nelle conferenze stampa. Certamente andrei di nuovo a Santiago.” E poi le foto all’interno del libro che ti raccontano di un’altra epoca, l’illustrazione di Luigi Scarabottolo in copertina (non ne sbaglia una da anni, per 66th & 2nd ha sfornato dei veri e proprio capolavori) e l’aneddoto meraviglioso su Bertolucci che prese undici chili in sei mesi subito dopo il ritiro perché amante della buona tavola, gioia che durante gli anni da professionista aveva dovuto tenere a freno per mantenere una forma presentabile.