Ci sono treni che inseguono l’odore del mare e treni sottosopra. Treni che uniscono città separate da tutto ma che non sanno vivere l’una senza l’altra. Treni a cui basta poco per portarti in un altro mondo e treni che girano su se stessi per farti ritrovare qualcosa che pensavi di aver perduto per sempre.
Londra-Parigi, Venezia-Atene, Cagliari-Olbia, Porto-Lisbona, Bergen-Oslo, Nizza-Marsiglia… Attraverso il Brennero e sull’orlo dell'Oceano. Città, mondi e vite che si incontrano sul filo di una ferrovia. Federico Pace riunisce in ciascun capitolo viaggi in treno che si assomigliano, come possono assomigliarsi i fratelli e le sorelle di una stessa famiglia. Qualcosa li tiene insieme, qualcosa di essenziale, eppure sono diversissimi tra loro. Per le geometrie con cui procedono, per le persone che incontrano e quelle che ti fanno incontrare, per i luoghi in cui ti portano e per i pensieri che ti fanno venire in testa. Racconti per tirare il filo di tante storie e riscoprire il viaggio nella sua forma più sublime, antica e modernissima. Perché quando si parte in treno, si parte davvero.
Insomma. Vogo severo, merita un 3,5. L'ho preso perché amo i treni e amo la letteratura di viaggio. Devo ammettere come attenuante che il confronto coi mostri sacri del genere è proibitivo, perché questo diario intimo di viaggio lungo varie ferrovie europee assomiglia a certi testi di Rumiz o Brokken. Rumiz non è certo un allegrone, ma nei suoi viaggi riesce a calarsi talmente nell'ambiente e con le persone da creare comunque, con l'instaurarsi di una sorta di comunione, un antidoto alla malinconia estrema. Quindi c'è il lirismo, anche pessimismo, ma esiste sempre un incontro, una conversazione, un popolo che rende il viaggio un valore proprio per quell'incontro. Brokken è più simile, più intimista nelle sue osservazioni, ma ha una scrittura di capacità superiore che rende la riflessione profonda e che colpisce come un pugnale, quando tira fuori dal cilindro storie, recensioni soprattutto letterarie, descrizione di paesaggi. Questo testo imita lo stile di Brokken ma l'ho trovato inferiore. Prezioso come invito al viaggio, ma non trasporta. Poche descrizioni frammentate, persone viste per qualche attimo ma mai conosciute, si immagina un viaggiatore silenzioso e solo che osserva senza mai avere il coraggio di stabilire un contatto, con una sorta di scienziato che osserva gli altri ma non vuole (o non può) uscire da sé stesso. Ne emerge quindi una specie di soliloquio, in cui le citazioni sono spesso di letterati a me non noti, con storie promettenti riassunte in poche righe, paesaggi che proprio come in treno vedi un attimo e scorrono via. Anche nei capitoli (tutti brevi, non so decidere se è un limite o un pregio) deducati alle due ferrovie che ho percorso anche io tra quelle citate, non ho ritrovato il fascino del paesaggio e della condivisione. Paragone impietoso, lo so. Non è un cattivo testo. Ma gli manca qualcosa per catturare veramente, me almeno. Ho trovato invece l'epilogo più sentito e caldo, forse proprio perché la nostalgia di un ricordo si lascia intravedere tra le righe e coinvolge nello spirito del viaggio, così come lo intende l'autore.